Prospettive assistenziali, n. 162, aprile-giugno 2008
Notiziario dell’Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie
SONO 191
I minori DICHIARATI ADOTTABILI E dimenticati dalle Istituzioni
Finalmente, dopo sette anni,
sappiamo che sono 191 i minori dichiarati adottabili e non adottati nel nostro
Paese. Il Capo dipartimento della giustizia minorile del Ministero della
giustizia, Carmela Cavallo, ha segnalato nella lettera inviata il 17 marzo 2008
al presidente dell’Osservatorio
nazionale sull’infanzia e l’adolescenza, Franco Occhiogrosso
che, secondo i dati forniti dai Tribunali per i minorenni, sono 191 i minori «adottabili in via definitiva per i quali
non era intervenuto da almeno sei mesi, per la difficoltà a reperire
una idonea collocazione familiare, un provvedimento di affidamento preadottivo». Il loro «mancato affidamento a scopo di adozione è
dovuto, in primo luogo, alle condizioni sanitarie gravi o gravissime del
minore, le quali, in alcuni casi, comportano la necessità di assistenza medica
specialistica e, in secondo luogo, all’età adolescenziale». Alcuni di loro
sono stati affidati a famiglie o inseriti in comunità, di moltissimi non viene specificata l’attuale collocazione (viene utilizzata
sovente la generica formula “in
struttura”) (1).
Prime considerazioni sui dati
possiamo quindi incominciare a
conoscere più da vicino le situazioni di questi minori, per i quali dal 2001
l’Anfaa (2) sollecita l’attivazione della Banca dati prevista dall’articolo 40 della legge 149/2001, non ancora operativa
a distanza di sette anni, anche per poter assumere le necessarie iniziative per
cercare loro una famiglia.
Scorrendo le brevissime
descrizioni fatte dai tribunali, sovente si constata che è contenuta solo una
diagnosi medica, che li “etichetta” ma che non
fornisce gli elementi necessari per capire le loro potenzialità e per poter
quindi attivare le eventuali disponibilità da parte di famiglie o di persone
singole.
Ad esempio, che prospettive possiamo immaginare per la minore di sesso femminile, nata
il 3 dicembre 2002, con «tramedilia-micrognazia ora-acral-syndrome, in struttura», segnalata dal
Tribunale per i minorenni di Bologna o per il minore nato il 4 aprile 1992
affetto da «colostomia
definitiva e cistostomia e problemi renali»,
segnalato da quello di Venezia?
L’indicazione di ben 67 minori da
parte del Tribunale per i minorenni di Catania pone preoccupanti interrogativi
in quanto buona parte di loro ha ormai un’età adolescenziale (molti i nati agli
inizi degli anni novanta), ma non si sa da quanti anni
sono stati dichiarati adottabili.
Lo stesso vale per quello di
Palermo: su 11 segnalati, due sono nati nel 1990, tre nel 1991, uno nel 1993, tre nel
1994, uno nel 1998 ed uno nel 1999; fra di cui sei sono stati dichiarati
adottabili negli ultimi anni, quindi già preadolescenti o adolescenti. Dei 16 minori
segnalati dal Tribunale per i minorenni di Napoli, 7 hanno dai 14 anni in su, due fratelli hanno 11 e 13 anni, tre fratelli un’età
non precisata; è anche preoccupante il fatto che il mancato inserimento
familiare di due di loro è attribuito dal Tribunale alla loro volontà «di non essere adottati».
Nelle schede, anonime, non viene indicato chi è il tutore dei minori segnalati: questa
è una grave lacuna, considerate le funzioni che dovrebbero svolgere a favore
del loro tutelato, prima fra tutte quella di
attivarsi, d’intesa con il tribunale competente, per trovare loro il più presto
possibile una accoglienza familiare secondo le priorità di intervento previste
dalla stessa legge 184/1983.
Le riflessioni di alcune famiglie che li hanno
accolti
Come rilevato nella lettera
aperta del 2 ottobre 2006 scritta da alcune famiglie adottive e affidatarie di
Torino contro la creazione di un repartino per
bambini malati e/o portatori di handicap gravi presso il Cottolengo
di Torino, «se tutti hanno diritto a essere amati e accuditi per poter crescere, questo vale,
anche e soprattutto, per i minori portatori di handicap o affetti da
patologie anche gravi che condizionano
le loro possibilità di vita. Le nostre esperienze ci hanno insegnato che bisogna superare
il pregiudizio che porta a definire un bambino “incurabile” , pregiudizio in
base al quale si stabilisce un limite di tempo oltre cui non sarebbe più
possibile ottenere risultati positivi. Uno degli stereotipi da combattere è
l’eterno ritornello “a questo punto, per lui, non c’è più nulla da fare”. Non
esiste nessun limite se non nell’idea di chi non sa come affrontare i problemi
o di chi crede di non poter fare di più. Non vogliamo certamente negare né
l’esistenza di limiti oggettivi nello sviluppo di determinati bambini né le
difficoltà conseguenti: intendiamo piuttosto affermare che qualcosa si può
sempre fare per spostare tali limiti, ma che questo è possibile farlo solo se i
bambini possono essere inseriti in un ambiente normale, familiare, che li
stimoli, li affianchi, regali loro il calore necessario perché si possa mettere
in moto la voglia di provare. Molti genitori di bambini handicappati sono oggi
attivi, hanno imparato a vivere la nascita di un figlio handicappato non come
una sconfitta ma come una sfida, e lottano per affermare i diritti dei più
deboli a vivere una vita degna di questo nome. Questi
genitori si sono ribellati all’“inevitabile”, hanno cercato percorsi nuovi mai
battuti prima: hanno lottato per una reale integrazione scolastica, per un lavoro,
per dare, insomma, ai loro figli una vita il più possibile normale e hanno
ottenuto risultati spesso insperati. In questa direzione si sono mossi anche genitori come
noi che hanno adottato o preso in affidamento un bambino handicappato o malato,
spinti dal desiderio di un concreto, quotidiano impegno, nella consapevolezza
che lottare per questo figlio “diverso” vuol dire dare un contributo alla realizzazione
di un mondo più giusto, più umano per tutti! Ci aspettavamo e ci aspettiamo più
aiuti dalle istituzioni, più impegno perché molti diritti affermati sulla carta
diventino finalmente esigibili; interventi concreti e mirati per sostenere a
domicilio le famiglie d’origine, adottive o affidatarie, sia a livello sociale che sanitario; più ascolto e attenzione dal mondo della
scuola, nella direzione dell’integrazione piuttosto che in quella della
segregazione; l’abolizione delle barriere architettoniche che ancora esistono
senza che nessuno se ne preoccupi. Il diritto alla vita,
tanto declamato in questi ultimi tempi, dovrebbe voler dire dare il diritto a
tutti i bambini non solo di nascere, ma anche di vivere una vita non priva di
quegli affetti e di quel calore che solo una famiglia può dare. Un
bambino per quanto menomato sente, soffre, si emoziona come o molto di più dei
bambini cosiddetti normali! Ma se le famiglie sono
lasciate sole possono arrivare alla disperazione e chiedere di poter ricoverare
il proprio figlio, sopraffatte anche dalle quotidiane difficoltà materiali e
psicologiche».
Che fare per dare loro una famiglia
Sono urgenti e necessarie
disposizioni (leggi e delibere) che rendano finalmente
obbligatorio il sostegno, anche economico, delle famiglie che hanno adottato o
adottano minori ultradodicenni o con handicap accertato, nati in Italia o
provenienti da altri Paesi. Purtroppo il comma 8
dell’articolo 6 della legge 149/2001 recita: «Nel caso di adozione dei minori di età
superiore a dodici anni o con handicap accertato ai sensi dell’articolo 4 della
legge 5 febbraio 1992 n. 104, lo Stato, le Regioni e gli enti locali possono
intervenire nell’ambito delle proprie competenze e nei limiti delle
disponibilità finanziarie dei rispettivi bilanci, con specifiche misure di
carattere economico, eventualmente anche mediante misure di sostegno alla
formazione e all’inserimento sociale, fino all’età di diciotto anni degli
adottati» e quindi non impegna le istituzioni a fornire gli aiuti previsti
in quanto gli stessi sono subordinati alle «disponibilità
finanziarie dei rispettivi bilanci».
Finora
Le famiglie che adottano questi
bambini non devono essere abbandonate a loro stesse! La loro disponibilità deve
essere accompagnata e sostenuta da tutta la società civile e, in primo luogo,
dalle istituzioni. E lo stesso principio dovrebbe
valere per gli affidatari. La necessità di un sostegno fattivo era stata ribadita anche da Giulia De Marco già presidente del
Tribunale per i minorenni di Torino, che nella sua relazione di apertura della
sessione “La famiglia che accoglie” all’interno della Conferenza della famiglia
del maggio
Alcune proposte
a) In base a
quanto esposto chiediamo quindi al Parlamento e al Governo di prevedere che,
nel caso di minori di età superiore ai 12 anni o con handicap accertato ai
sensi dell’articolo 4 della legge n. 104/1992, ai genitori adottivi venga
erogato, indipendentemente dal loro reddito, un contributo economico almeno
pari al rimborso-spese corrisposto agli affidatari fino al raggiungimento della
maggiore età dell’adottivo. Questo rimborso spese dovrebbe essere aggiuntivo
rispetto all’indennità di accompagnamento e di ogni
altra prestazione previdenziale. Per supportare inoltre i genitori o gli altri
parenti che provvedano direttamente al loro congiunto
minorenne con handicap accertato ai sensi dell’articolo 4 della legge n.
104/1992, e per prevenire l’allontanamento e l’istituzionalizzazione e/o
ospedalizzazione del bambino, dovrebbe essere
corrisposto loro un contributo di identico importo;
b) la stessa richiesta è estesa
alle Regioni e agli Enti locali;
c) è necessario che il Governo
attivi
d) è necessario che gli operatori socio-assistenziali e sanitari segnalino
tempestivamente all’autorità giudiziaria i minori in possibile situazione di
privazione di assistenza morale e materiale (quanti bambini sono ancora
lasciati in famiglie a scopo “terapeutico”?);
e) chiediamo alla magistratura
minorile di provvedere con la massima sollecitudine possibile alla
dichiarazione dello stato di adottabilità.
(1) Come è noto l’articolo 9 della legge 184/1983 prevede
al comma 2 quanto segue: «Gli istituti di assistenza pubblici o privati e le comunità di tipo
familiare devono trasmettere semestralmente al procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i
minorenni del luogo ove hanno sede l’elenco di tutti i minori collocati presso
di loro con l’indicazione specifica, per ciascuno di essi, della località di
residenza dei genitori, dei rapporti con la famiglia e delle condizioni
psicofisiche del minore stesso. Il procuratore
della Repubblica presso il tribunale
per i minorenni, assunte le necessarie informazioni, chiede al tribunale, con
ricorso, di dichiarare l’adottabilità di quelli tra i minori segnalati o
collocati presso le comunità di tipo familiare o gli istituti di assistenza
pubblici o privati o presso una famiglia affidataria,
che risultano in situazioni di abbandono, specificandone i motivi». Non è
prevista invece l’obbligatorietà della segnalazione dei minori ricoverati negli
istituti psicomedico pedagogici o in strutture
sanitarie (ospedali, case di cura, ecc.).
(2) Cfr. in
particolare i notiziari dell’Anfaa, n. 136, 2001 e 146, 2004.