Prospettive assistenziali, n. 162, aprile-giugno 2008

 

 

PREOCCUPANTE SENTENZA DEL TRIBUNALE PER I MINORENNI DI TORINO SULL’ADOZIONE NEI CASI PARTICOLARI

FRANCESCO SANTANERA

 

 

Purtroppo le leggi italiane prevedono due forme di adozione. In base alla prima, la cui approvazione da parte del Parlamento è dovuta soprattutto alle iniziative dell’Anfaa, Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie, i minori, dichiarati adottabili in quanto privi di assistenza morale e materiale da parte dei loro genitori e degli altri parenti d’origine, diventano a tutti gli effetti figli legittimi della coppia adottiva. Questa adozione viene quindi definita “legittimante”.

Dalla legge 184/1983 è stato malauguratamente introdotta nel nostro ordinamento giuridico un’altra modalità di adozione, riguardante alcune situazioni particolari, fra le quali rientrano quelle di fanciulli nei cui riguardi «vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo»; detta legge stabilisce che, qualora i minori dichiarati adottabili non siano inseribili presso una coppia di coniugi mediante l’adozione legittimante (perché malati o colpiti da grave handicap o per altri motivi), essi possano essere adottati «in casi particolari» anche da persone singole.

Quindi, secondo le norme stabilite dal Parlamento, l’adozione, sia quella legittimante che quella “in casi particolari”, deve essere pronunciata esclusivamente nei riguardi dei fanciulli dichiarati in stato di adottabilità e cioè solo dopo che è stato accertato che essi non ricevono dai loro genitori e dagli altri congiunti di origine le cure e l’attenzione indispensabili per la loro crescita.

 

La dichiarazione di adottabilità

Si tratta di una decisione disposta dal Tribunale per i minorenni al termine di indagini, che dovreb­bero essere condotte con la massima diligenza, volte ad accertare le condizioni di vita del minore ed i comportamenti dei loro genitori e dei congiunti (1).

I genitori e gli altri soggetti coinvolti possono prendere parte attiva nei riguardi di detto procedimento allo scopo di evitare dichiarazioni di adottabilità di fanciulli aventi rapporti validi con il proprio nucleo familiare d’origine.

Per impedire l’indebita sottrazione dei minori dai propri congiunti, i genitori e gli altri parenti di origine possono opporsi all’adottabilità pronunciata dal Tribunale per i minorenni, presentando ricorso alle Corti d’appello e di Cassazione.

 

L’allarmante sentenza del Tribunale per i minorenni di Torino

Con sentenza del 31 gennaio 2008, depositata in Cancelleria il 15 aprile scorso, il Tribunale per i minorenni di Torino ha deciso l’adozione in casi particolari del minore A. figlio della signora B., nato nel 1995, a favore dei coniugi C.

Nel provvedimento viene segnalato che «le valutazioni relative alla madre rimandano ad un quadro che è evoluto, ma che non presenta le risorse per uno sviluppo ulteriore» e che «i curanti della signora B. sottolineano i miglioramenti della stessa nell’attivarsi per la costruzione di un proprio progetto di vita, ma che non ha determinato modificazioni sostanziali per quanto attiene alle competenze genitoriali».

Nella sentenza non vi sono elementi che convalidano dette affermazioni con la descrizione degli interventi effettuati dai servizi competenti per aiutare la signora B. a superare le sue difficoltà, ma viene solamente rilevato che «con successivi decreti emessi nel 1997 e nel 1999, il Tribunale provvedeva con la finalità, da un lato, di una tutela del diritto del minore ad una stabilità di vita funzionale ad una crescita equilibrata, in grado di soddisfare le sue esigenze sul piano affettivo e cognitivo, dall’altro all’individuazione di un assetto che permettesse alla madre sia di occuparsi della cura di sé che di mantenere uno spazio di relazione con il figlio in cui entrambi potessero sperimentarsi».

Mentre per il minore c’è stata una continuità rappresentata dalla sua permanenza presso la stessa famiglia affidataria, è inquietante rilevare che l’ultimo provvedimento del Tribunale per i minorenni riguardante la madre risale al 1999. Sono quindi trascorsi – fatto a nostro avviso estremamente grave – ben otto anni senza che nei suoi confronti siano state assunte iniziative da parte della magistratura.

Dal testo della sentenza non risulta nemmeno quali siano state le prestazioni erogate dai servizi (sanitari? assistenziali? abitativi? ecc.) volte alla predisposizione del sopra richiamato «assetto che permettesse alla madre sia di occuparsi della cura di sé che di mantenere lo spazio di relazione con il figlio in cui entrambi potessero sperimentarsi».

Appare altresì singolare che nel provvedimento in oggetto non venga fatto alcun riferimento all’amministrazione di sostegno, misura individuata dal Parlamento mediante la legge n. 6/2004 per fornire un aiuto concreto alle persone in difficoltà.

Al riguardo ricordiamo che l’amministrazione di sostegno è rivolta alla «persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi».

Vorremmo pertanto sapere se è stata presentata l’istanza volta alla nomina di un amministratore di sostegno per la madre del minore A., tanto più che la legge 6/2004 stabilisce che «i responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona, ove a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l’apertura del procedimento di amministrazione di sostegno, sono tenuti a proporre al giudice tutelare il ricorso di cui all’articolo 407 [si tratta dell’istanza per la nomina dell’amministratore di sostegno, n.d.r.] o a fornire comunque notizia al pubblico ministero».

Da notare che la mancata segnalazione di cui sopra costituisce il reato di omissione di atti d’ufficio (articolo 328 del codice penale).

 

Aspetti etico-giuridici

Dalla sentenza del Tribunale per i minorenni di Torino risulta che l’adozione in casi particolari del minore A. è stata disposta nonostante non fosse intervenuta la dichiarazione di adottabilità, pronunciamento – come abbiamo in precedenza rilevato – stabilito dal Parlamento per evitare la sottrazione ai nuclei familiari in difficoltà dei minori non totalmente privi di assistenza morale e materiale da parte del loro nucleo familiare di origine.

Il Tribunale per i minorenni, con una affermazione del tutto sorprendente, rileva che la «impossibilità di affidamento preadottivo» posta dal legislatore quale condizione per l’adozione nei casi particolari presupporrebbe solo «di regola» l’accertamento dello stato di abbandono, mentre in realtà la legge lo prevede sempre e comunque, senza alcuna eccezione.

Inoltre – altro elemento allarmante della sentenza – il Tribunale per i minorenni di Torino aggira l’ostacolo, a nostro avviso invalicabile sotto il profilo giuridico, della mancanza della dichiarazione di adottabilità, con la semplicistica affermazione che la giurisprudenza «dà un’interpretazione estensiva che consente di ritenere ammissibile (…) che l’adozione in casi particolari ex articolo 44 lettera d) della legge 184/1983 possa aver luogo anche in caso di impossibilità c.d. “soggettiva” di affido preadottivo, cioè quando il minore sia seguito da tempo e in maniera valida e stabile da una coppia di affidatari, ai quali, per il protrarsi della relazione in atto, egli sia legato, in modo tale che un distacco da queste figure costituirebbe, per lui, l’esposizione ad un trauma ingiustificato e contrastante con le esigenze di uno sviluppo equilibrato» (2).

Le motivazioni addotte per scavalcare la dichiarazione di adottabilità sono tali – ulteriore aspetto inquietante della sentenza – per cui l’adozione in casi particolari potrebbe essere pronunciata nei riguardi di tutti gli affidamenti educativi che non si concludono con il ritorno del minore presso il suo nucleo familiare d’origine.

Tenuto conto che «il personale che ha in cura la madre sottolinea che è importante per la propria paziente il mantenimento del matronimico ed anche l’assetto degli incontri, così come stabilizzatosi nel corso degli anni», non è per nulla convincente l’affermazione del Tribunale per i minorenni secondo cui «il mantenimento dei rapporti madre-figlio secondo schemi che appaiono collaudati può soddisfare le esigenze reciproche che possono esservi da parte di entrambi», riguardanti cioè la madre e il figlio.

Infatti, con la pronuncia dell’adozione in casi particolari, gli adottanti assumono tutti i poteri relativi alla potestà parentale, compreso il diritto di trasferire la loro residenza ove ritengono, e quindi anche all’estero, diritto che non può essere limitato da alcuna autorità, compresa quella giudiziaria.

Inoltre – altro fattore inquietante – l’adozione in casi particolari è stata disposta dal Tribunale per i minorenni di Torino nonostante l’opposizione della madre che ha dichiarato quanto segue: «Non il mio consenso al fatto che A. venga adottato anche se sono consapevole che nella realtà concreta questo non porterebbe a dei cambiamenti nella relazione con A.».

Da un lato appare evidente che la madre di A. non conosce le possibili conseguenze, da noi sopra indicate, derivanti dall’assunzione dei poteri parentali da parte degli adottanti (ma questa informazione di fondamentale importanza per il futuro del bambino e della madre non doveva essere obbligatoriamente fornita dai giudici?), d’altro lato la legge 184/1983 sancisce all’articolo 46 che l’adozione in casi particolari può essere pronunciata solamente se c’è l’assenso dei genitori esercenti la potestà parentale.

Al riguardo – incredibile ma vero – nella sentenza viene semplicemente segnalato che «il Collegio rileva che l’unico aspetto peculiare della vicenda è rappresentato, sul piano squisitamente giuridico, dal mancato consenso all’adozione da parte di un genitore – la madre – la quale risulta tuttora nell’esercizio della potestà parentale».

Nonostante detta constatazione – che a nostro avviso costituisce sicuramente un insormontabile ostacolo all’adozione – il Tribunale per i minorenni la pronuncia con i seguenti insostenibili motivi: «Il Tribunale osserva inoltre che al di là del dettato dell’articolo 46 della legge 184/1983 modificato dalla legge 149/2001, negli anni è andato consolidandosi un orientamento giurisprudenziale secondo il quale il mancato consenso del genitore all’adozione del figlio minore non assume valore ostativo alla pronuncia nei casi in cui il minore stesso sia venuto a trovarsi, in sostanza, in una condizione equiparabile allo stato di abbandono materiale e morale, almeno se la situazione viene osservata ponendo l’attenzione agli apporti educativi forniti dalla famiglia di origine, e quando sia altresì accertato che ai compiti di cura e assistenza ha provveduto un’altra famiglia, quella richiedente l’adozione ai sensi dell’articolo 44, lettera d)».

In primo luogo osserviamo che nella sentenza non c’è alcun riferimento a provvedimenti dell’autorità giudiziaria relativi a detto «orientamento giurisdizionale».

In secondo luogo riteniamo che le interpretazioni giurisprudenziali non dovrebbero mai, come nel caso in esame, arrivare a negare le disposizioni stabilite dalla legge, tanto più quando esse sono redatte in modo chiaro e netto.

Inoltre, qualora fosse vero che la situazione del minore A. si fosse venuta «a trovare in sostanza, in una situazione equiparabile allo stato di abbandono materiale e morale», non si comprende per quali ragioni logiche il Tribunale per i minorenni di Torino non abbia intrapreso la procedura concernente lo stato di adottabilità, procedura – lo ripetiamo – che assicura al nucleo familiare di origine dei minori adeguate garanzie sia per la diretta partecipazione al relativo procedimento, sia per la possibilità di presentare ricorso alle Corti d’appello e di Cassazione.

 

Le dichiarazioni del minore

Nel corso della procedura il minore ha espresso il proprio parere sulla sua adozione da parte degli affidatari, affermando quanto segue: «Io approvo che mi adottino non per fare un dispiacere a mia madre B., che è mia madre, io rimango R., ma divento anche S., figlio a tutti gli effetti» (3).

A questo riguardo occorre precisare che, contrariamente a quanto scritto nella sentenza del Tribunale per i minorenni di Torino, il minore non ha dato il proprio consenso, in quanto detto pronunciamento è previsto solo quando l’adottando «abbia compiuto il quattordicesimo anno di età».

Dalla sopra riportata dichiarazione risulta che il minore non conosce – aspetto a nostro avviso assai grave – le conseguenze della sua adozione in casi particolari, in quanto non diventa «figlio a tutti gli effetti» dei suoi attuali affidatari, ma acquisisce soltanto lo status di adottato e non allaccia alcun rapporto di parentela né con gli adottanti, né con i loro congiunti.

 

Le precisazioni degli affidatari/adottanti

In una lettera inviata all’Anfaa gli affidatari/adottanti hanno precisato quanto segue: «Noi non eravamo assolutamente a conoscenza del fatto che la mamma naturale fosse ancora in possesso della potestà genitoriale perché mai ci era stato comunicato. Non ci era stato detto nemmeno il contrario (in pratica l’argomento non è mai stato toccato), ma considerato che A. aveva un tutore noi pensavamo che significasse per la madre naturale di non essere più in possesso della.potestà genitoriale e da questo punto siamo partiti. Allo stesso modo noi non sapevamo che con l’adozione ex articolo 44 “si acquisisce soltanto lo status di adottato e non si allaccia alcun rapporto di parentela né con gli adottanti, né con i loro congiunti”. Di questo non era a conoscenza nemmeno A. Questa informazione l’abbiamo saputa solo dall’assistente sociale dell’Anfaa, in quanto i servizi ci hanno detto solamente che l’adottato avrebbe acquisito uguali legami sia con la famiglia di origine che con la nostra, che sarebbe stato figlio nostro a tutti gli effetti e non avrebbe perso al contempo i diritti ed i doveri nei confronti della madre naturale e della relativa famiglia. Tanto più che in tal senso abbiamo agito, sempre su suggerimento dei servizi, anche per la nostra prima figlia, anch’essa adottata ex articolo 44 (ma con potestà genitoriale decaduta) e di cui solo ora sappiamo che non è nostra figlia a tutti gli effetti».

Hanno quindi aggiunto che «il Tribunale ha notificato la sentenza di adozione al tutore di A. in quanto io, quando sono andata a ritirare la sentenza, ho chiesto chiarimenti in relazione alla potestà genitoriale non decaduta ed ho chiesto come mai A. avesse un tutore. Solo allora, cercando nel fascicolo, gli operatori del Tribunale hanno trovato documentazione risalente ad anni addietro relativa alla nomina di un tutore (peraltro non più quello di allora) ed hanno chiesto alla sottoscritta chi fosse l’attuale tutore per poter procedere alla notifica. Credo che se io non ne avessi parlato, la notifica non sarebbe stata inviata e da quanto letto nella sentenza non credo nemmeno che il tutore stesso sia stato interpellato dal Tribunale durante la trattazione della pratica di adozione. Considerate tutte queste premesse, noi non dimentichiamo che “la legge non ammette ignoranza” e che quindi avremmo dovuto forse leggere più attentamente l’ex articolo 44 che – devo dire – in alcuni punti necessita davvero di chiarimenti dei quali noi – che non siamo né avvocati né legislatori – nemmeno saremmo stati in grado di interpretare nel modo più corretto e che quindi, a maggior ragione, credo avrebbero dovuto esserci spiegati in maniera più esaustiva. Di questo comunque ci assumiamo la giusta parte di responsabilità».

 

Conclusioni

È auspicabile che il nuovo Presidente del Tribunale per i minorenni di Torino abbia un orientamento diverso dal suo predecessore e che l’adozione in casi particolari venga disposta esclusivamente nei casi stabiliti dalla legge 184/1983.

Speriamo, inoltre, che detto magistrato assuma le necessarie iniziative, finora mai intraprese, affinché i Comuni singoli e associati del Piemonte recepiscano le disposizioni sancite dalla legge della Regione Piemonte n. 1/2004 (sono trascorsi più di 4 anni!), norme che prevedono diritti esigibili a favore delle persone e dei nuclei familiari in difficoltà come richiesto da tempo dal Csa, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base.

Detto recepimento è assai importante in quanto consente anche al Tribunale per i minorenni di accertare se gli enti gestori dei servizi socio-assistenziali forniscono effettivamente le prestazioni dovute a coloro che vivono in condizioni di grave disagio sociale.

Confidiamo, infine, che gli altri magistrati che operano nel settore minorile (Tribunali, Procure, Corti d’appello e di Cassazione) consentano l’adozione solamente ai fanciulli dichiarati in stato di adottabilità e agiscano affinché le istituzioni (Parlamento, Governo, Regioni a statuto ordinario e speciale, Province autonome di Bolzano e Trento, Comuni singoli e associati) forniscano ai nuclei in difficoltà le occorrenti prestazioni sociali, di modo che non si verifichino più sottrazioni indebite di minori.

 

 

 

(1) Salvo casi speciali, i minori non riconosciuti alla nascita sono dichiarati in stato di adottabilità dai Tribunali per i minorenni con una procedura molto semplice e rapida.

(2) Nel caso in esame non c’erano ostacoli di sorta alla prosecuzione dell’affidamento a scopo educativo in corso.

(3) Con R. abbiamo indicato il cognome d’origine del minore e con S. quello degli affidatari.

 

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