La situazione delL’ASSISTENZA NEGLI ANNI
’60:
50mila enti e 300mila minori RICOVERatI in
istituto
Francesco Santanera (1)
Questo primo articolo ha lo scopo di ricordare,
soprattutto ai giovani, quali erano negli anni ’60 le condizioni di vita dei
fanciulli senza famiglia, la situazione del settore assistenziale e la
normativa allora vigente in materia di protezione dell’infanzia.
Nei successivi articoli – ne sono previsti una decina
– verranno prese in esame le innovazioni più significative realizzate negli
ultimi quattro decenni con particolare riguardo alla svolta prodotta dalle
nuove norme riguardanti l’adozione e l’affidamento familiare a scopo educativo;
dalla soppressione dei 50mila enti, organi e uffici operanti nel campo
dell’assistenza sociale; dalla riorganizzazione dei Tribunali per i
minorenni; dal superamento degli istituti di ricovero; dall’inserimento
prescolastico, scolastico, formativo e lavorativo dei soggetti con handicap;
dal rispetto delle esigenze curative delle persone colpite da patologie
invalidanti e da non autosufficienza; dalla questione dei contributi
illegittimamente imposti dagli enti pubblici ai congiunti degli assistiti.
I numerosi e spesso rilevanti risultanti raggiunti non
sono stati conseguiti a seguito di autonome iniziative delle istituzioni, ma
soprattutto in conseguenza dell’azione pressante del volontariato dei diritti
che ha agito con l’obbiettivo di ottenere il riconoscimento effettivo dei
diritti fondamentali alla famiglia, alla salute, all’istruzione, alla formazione
professionale, al lavoro, ai trasporti, ecc., nonché, per le persone più
deboli, anche all’assistenza sociale.
L’approvazione di idonee leggi e delibere e la loro
corretta e tempestiva attuazione hanno costituito e sono la base
imprescindibile per il reale rispetto delle esigenze basilari di vita di tutti
i cittadini comprese le persone incapaci di autodifendersi a causa dell’età o
di condizioni invalidanti, come può capitare a ciascuno di noi a seguito di
eventi anche improvvisi.
Le esperienze riferite sono altresì un riferimento per
valutare non solo gli aspetti positivi del volontariato dei diritti, le cui
finalità, metodi e attività sono estremamente diversi da quelli del
volontariato consolatorio, ma anche per individuare le carenze e le misure da
assumere per una migliore e maggiore efficacia delle iniziative da assumere per
l’effettiva tutela dei soggetti deboli.
1. Gli assistiti sono considerati dal
Governo
elementi
passivi e parassitari
Nella relazione allegata al bilancio dello Stato del
1969, il Ministero dell’interno, che all’epoca detiene a livello nazionale le
più importanti competenze in materia di sostegno alle persone e ai nuclei familiari
in gravi difficoltà, si esprime nei seguenti termini: «L’assistenza pubblica ai bisognosi (…) racchiude in sé un rilevante
interesse generale, in quanto i servizi e le attività assistenziali concorrono
a difendere il tessuto sociale da elementi passivi e parassitari».
2. Una
babele costituita da oltre 50 mila enti, organi e uffici di assistenza
Negli anni ’60 operano nel settore dell’assistenza:
• 14 Ministeri (tutti, compresa la Presidenza del
Consiglio dei Ministri);
• 8.050 Comuni;
• 8.050 Enti comunali di assistenza (Eca), autonomi
nei riguardi degli enti locali e delle altre istituzioni;
• 8.050 Comitati comunali dell’Opera nazionale per la
protezione della maternità e dell’infanzia (Onmi);
• 7.038 Patronati scolastici (stima), a cui è affidato
il compito di assistere i fanciulli frequentanti le scuole elementari;
• 2.173 Casse scolastiche (stima) incaricate di
soccorrere gli allievi bisognosi delle scuole medie;
• 95 Comitati provinciali dell’Onmi, più la sede
nazionale;
• 95 Uffici provinciali dell’Aai (Amministrazione per
le attività assistenziali italiane e internazionali), compresa la sede nazionale;
• 95 Sedi del Commissariato della gioventù italiana
(ex Gil - Gioventù italiana del littorio), più la sede nazionale;
• 95 Sedi provinciali dell’Ente nazionale per la
protezione del fanciullo, più la sede nazionale;
• 94 Comitati provinciali dei patronati scolastici;
• 94 Assessorati provinciali all’assistenza;
• 94 Uffici di assistenza presso le prefetture;
• 94 Comitati provinciali di assistenza e beneficenza
pubblica;
• 2.375 (stima) Sedi nazionali e provinciali dei 25
enti nazionali per gli orfani e assimilati (Ente nazionale per l’assistenza
agli orfani dei lavoratori italiani, Opera nazionale per gli orfani di guerra,
Opera nazionale per gli orfani di guerra anormali psichici, Opera nazionale di
assistenza agli orfani ed ai figli dei militari della guardia di finanza, Ente
nazionale di assistenza agli orfani degli agenti di custodia, ecc.);
• 142 Case di rieducazione, riformatori, uffici
distrettuali di servizio sociale;
• 154 Consigli di patronato per i liberati del carcere
e per l’assistenza alle famiglie di detenuti;
• 9.407 Istituzioni pubbliche di assistenza e
beneficenza (Ipab), le ex opere pie;
• 5.718 Centri assistenza dipendenti da enti pubblici.
Pertanto gli enti, organi e uffici di assistenza
pubblici esistenti nel nostro Paese (salvo le inevitabili omissioni) superano
l’incredibile cifra di 50 mila. A questi si deve aggiungere una parte delle
13.027 istituzioni caritative ed assistenziali (non comprese nelle strutture
precedenti) operanti nella sfera d’azione della Chiesa cattolica, nonché un
numero imprecisato di istituzioni private laiche.
3. Istituti
e ricoverati
Per quanto riguarda l’insieme degli
istituti e degli assistiti, secondo i dati dell’Annuario statistico
dell’assistenza e della previdenza sociale, nel 1960 la situazione è la
seguente (2):
- brefotrofi (3) n. 111 ricoverati 8.699
- orfanotrofi » 1.093 » 59.854
- istituti con
soli
minori poveri
o
abbandonati » 281 » 15.265
- istituti con
soli
anormali e
minorati » 169 » 18.810
- istituti con
soli
vecchi
indigenti » 1.699 » 88.089
- istituti con
altre
categorie di
ricoverati » 315 » 16.346
- istituti con
più
categorie di
ricoverati » 1.979 » 167.053
- colonie permanenti (4) » 200 » 61.402
Totale
istituti n. 5.847 » 435.518
Nel 1960, la situazione dei minori
istituzionalizzati è la seguente:
- in allevamento
interno dei brefotrofi 8.699
- ricoverati in
orfanotrofi 59.854
- ricoverati in
istituti per soli minori poveri
e abbandonati 15.265
- ricoverati in
istituti con più categorie
di ricoverati 125.431
Totale 209.249
Inoltre, sono 92.502 i minori assistiti
nei brefotrofi (5) in allevamento esterno (cfr. la nota 3), di cui:
- illegittimi
non riconosciuti 17.345
- illegittimi
riconosciuti 74.999
- legittimi 158
Totale 92.502
Fra i minori in allevamento interno ed esterno, quelli
non riconosciuti sono complessivamente 21.113. Di questi fanciulli, che gli
enti di assistenza trattengono spesso gelosamente in istituto, ne parlerò
nuovamente a proposito dell’adozione.
Per quanto riguarda gli anziani, il ricovero è quasi
sempre dovuto alla mancanza di mezzi economici: la pensione sociale non è
ancora stata istituita e sono rarissimi i Comuni che erogano contributi ai
vecchi (e agli altri soggetti) privi dei mezzi necessari per vivere. Inoltre,
l’assistenza fornita dagli Eca, Enti comunali di assistenza, è estremamente
carente sotto tutti i punti di vista (qualificazione del personale, tipologia
degli interventi, ecc.).
Gli anziani cronici non autosufficienti, sono per lo
più curati presso le strutture ospedaliere o sono rinchiusi nelle case di
riposo o, addirittura, nei manicomi.
Nel 1960 le persone iscritte negli elenchi comunali
dei poveri, condizione indispensabile per ottenere l’assistenza sanitaria
gratuita (6), ammontano a 3 milioni 234 mila 403. Le principali categorie di assistiti
sono classificate dall’Istat come segue:
- spedalizzati 846.522
- inabili al lavoro 113.922
- bambini avviati in colonie 153.653
- bambini avviati in asili 179.109
Riferiti allo stesso 1960, riporto alcuni dati
concernenti i principali enti di assistenza:
a) dai 7.038 patronati scolastici sono assistite
1.674.073 persone;
b) gli assistiti dalle Province sono 393.501 (malati
di mente 133.985, minorati psichici 19.577, illegittimi 178.264);
c) per quanto riguarda l’Onmi, i dati
sono i seguenti:
- donne
(assistenza igienico-sanitaria) 222.647
- minori
(assistenza igienico-sanitaria) 787.835
(7)
- donne (altre
forme di assistenza) 131.533 (8)
- minori (altre
forme di assistenza) 653.547 (9)
d) gli assistiti dall’Aai, Amministrazione per le
attività assistenziali italiane e internazionali, sono 1.838.106, di cui
482.520 presso colonie estive. I prodotti distribuiti (in tonnellate)
riguardano: farina 30.096, pasta e riso 12.831, zucchero 1.901, marmellata 988,
carne e pesce 3.463, formaggio 1.229, altri prodotti 10.282, latte pastorizzato
ettolitri 55.618 (10).
Inoltre, sempre nel 1960, le presenze nei dormitori
pubblici e asili notturni sono 2.829.557, di cui 417.597 di soggetti di età
inferiore ai 18 anni.
4. Un
esempio del caos assistenziale esistente nel 1960
Il minore nato fuori dal matrimonio non riconosciuto o
riconosciuto dalla sola madre (11):
1) dalla nascita al 15° anno di età è assistito dalla
Provincia tramite gli istituti provinciali per l’infanzia, le istituzioni
pubbliche di assistenza e beneficenza (Ipab) o istituti privati aventi sedi
nella provincia o al di fuori di essa;
2) dal 15° al 18° anno è assistito dall’Onmi;
3) dal 18° anno in poi dall’Eca;
4) se al momento della prima richiesta di assistenza
il minore non riconosciuto o riconosciuto dalla sola madre ha superato il 6°
anno di età, la competenza non è più della Provincia ma dell’Onmi;
5) se il minore viene legittimato oppure è
riconosciuto anche o solo dal padre, la competenza è demandata dalla Provincia
all’Onmi;
6) se il minore riconosciuto dalla sola madre ha
un’età inferiore ai 15 anni e rimane orfano, la competenza passa dalla
Provincia a uno dei numerosi enti di assistenza per gli orfani, sempre che la
defunta appartenga a una delle categorie previste dalle leggi istitutive degli
enti stessi;
7) se il minore è riconosciuto da madre profuga, competente è il Ministero
degli interni o la Regione. Quando però acquisisce il domicilio di soccorso, la
competenza può essere trasferita alla Provincia sempre che non si verifichi
l’ipotesi di cui al punto 4;
8) se il minore riconosciuto dalla madre è cieco o
sordomuto, la competenza assistenziale resta alla Provincia anche dopo il 15° e
il 18° anno di età;
9) se il minore è insufficiente mentale, la competenza
viene determinata a seconda che la Provincia o l’Onmi o altri enti abbiano o
meno istituito i servizi (non obbligatori) per i suddetti soggetti;
10) se il minore è gravemente disadattato, alcune o
tutte le competenze possono passare al Tribunale per i minorenni, all’istituto
di rieducazione o all’ufficio distrettuale di servizio sociale del Tribunale
per i minorenni;
11) se il minore è segnalato dall’autorità di pubblica
sicurezza per il ricovero in istituto, la competenza è del Comune;
12) se il minore è fisicamente handicappato, alcune o
tutte le competenze possono essere assunte dal Comune;
13) se il fanciullo riconosciuto dalla madre ha
bisogno di assistenza scolastica, questa è prestata non dall’ente che lo
assiste, ma dal patronato scolastico se frequenta la scuola elementare, dalla
cassa scolastica se è inserito in una scuola media;
14) salvi i casi di assoluta urgenza, la madre nubile
e il minore da essa riconosciuto sono assistiti dalla Provincia
territorialmente competente secondo il domicilio di soccorso, anche se la
residenza effettiva è altrove (il domicilio di soccorso si acquisisce solo dopo
due anni di residenza nello stesso luogo);
15) il minore nato fuori del matrimonio è inoltre
soggetto ai cambiamenti di istituto causati dalle disponibilità degli enti
erogatori, dalla ricettività degli enti ricoveranti e dalle loro regole
statutarie (ad esempio dimissioni al raggiungimento di una certa età).
5. Negata la
dignità dei nati fuori del matrimonio
Mentre i minori nati nel matrimonio, definiti dalla
legge “legittimi”, sono assistiti dai Comuni (oltre che da altri enti), per i
nati fuori del matrimonio, denominati “illegittimi” quasi fossero dei fuori
legge, l’assistenza compete (e spesso spetta ancora attualmente) alle Province.
Da notare che l’articolo 32 del regio decreto 29 dicembre 1927 n. 2822
stabilisce per i minori “illegittimi” che «dopo
il terzo anno, i fanciulli sono preferibilmente collocati in idonei istituti
(…)». Soltanto nei casi in cui non sia possibile l’istituzionalizzazione, «i fanciulli vengono affidati ad allevatori
esterni, possibilmente abitanti in campagna». Invece, per i minori
“legittimi”, la priorità dell’assistenza è diametralmente opposta a quella
riservata agli “illegittimi”. Infatti, come prevede l’articolo 178 del regio
decreto 15 aprile 1926 n. 718, possono essere ricoverati in istituto solamente «i fanciulli per i quali non sia attuabile
od opportuno il collocamento presso famiglie».
Fra gli esempi di dignità calpestata, ricordo la
lettera inviata in data 9 settembre 1967 dal Convitto “Guglielmo Marconi” per
la preparazione dei radiotelegrafisti, meccanici navali, elettricisti e
frigoristi di bordo, con sede a Ruta di Camogli, Genova, diretto dai Padri
Scolopi, così redatta: «Siamo oltremodo
dolenti di dover rinviare tutta la documentazione relativa al giovane C. G.
poiché la commissione esaminatrice per la ammissione al concorso al convitto
non ritiene di poter ammettere allo stesso il giovane da voi presentato. Il
caso è oltremodo doloroso e preoccupante, ma il regolamento interno del collegio
non ammette deroghe per i figli illegittimi o di famiglia irregolare. La vita
del mare che i giovani nostri dovranno affrontare richiede serenità d’animo e
tranquillità di spirito che purtroppo non possono avere quei marittimi la cui
famiglia dolorosamente non esiste. L’immettere alla vita del mare un giovane
senza padre… sarebbe creare uno spostato e procurargli delle preoccupazioni che
la vita del mare senza dubbio accentuerà. Questa Direzione si augura che
possiate inviare giovani sani famigliarmente, i quali saranno benevolmente
accolti nel collegio».
Per quanto riguarda l’allora vigente Codice di diritto
canonico della Chiesa cattolica, riporto le parti relative agli “Impedimenti
degli illegittimi a cariche ecclesiastiche”:
«Sono
irregolari per difetto i figli illegittimi, sia che l’illegittimità sia
occulta, oppure pubblica, a meno che non siano stati legittimati o abbiano
pronunciato voti solenni». Pertanto
per poter diventare sacerdoti, gli “illegittimi” dovevano ottenere una
specifica dispensa;
«Sono esclusi
dalla dignità cardinalizia gli illegittimi anche se per un susseguente
matrimonio siano stati legittimati e anche quelli irregolari»;
«Sui vescovi:
affinché sia idoneo deve essere nato da legittimo matrimonio, non però
legittimato sia pure da un susseguente matrimonio»;
«Coloro che
accedono alle dignità abbaziali o prelatizie debbono avere le stesse qualità
che il diritto richiede per i vescovi».
6. Una legge
disumana
Fino all’entrata in vigore della legge 14 marzo 1968,
n. 274, promossa dall’Anfaa, sono in vigore gli articoli 75 e 77 del regio
decreto 7 luglio 1939 n. 1238 sull’ordinamento delle stato civile.
Essi stabiliscono che, quando un bambino è trovato
abbandonato a sé stesso e non può essere identificato, venga redatto un atto di
nascita nel quale sono trascritti solo l’anno e il mese (e non il giorno) in
cui presumibilmente è nato.
Il luogo di nascita viene indicato con
una delle seguenti parole “ignorasi” o “trovato”.
In quel periodo in tutti i documenti sono
contenute anche le generalità della madre e del padre.
Di conseguenza nel certificato di
nascita, nella carta di identità, nel passaporto, nella pagella, nella patente,
sul libretto di lavoro, nelle pubblicazioni di matrimonio e negli altri
documenti sono trascritte le seguenti informazioni:
nato a … ignorasi o trovato
il … presumibilmente
nel mese di … dell’anno …
paternità … NN
maternità … NN
Inoltre vi sono ufficiali di stato civile che
attribuiscono ai bambini trovati e non identificati (e a volte anche ai figli
di ignoti) cognomi (ad esempio Diotallevi, Degli Esposti, Esposito, ecc.) che
indicano chiaramente lo status del
soggetto.
7. Violenze e abusi
Numerosi e particolarmente crudeli sono
gli episodi di violenza accertati negli anni ’60 dalla magistratura (12). Ad
esempio, il Tribunale di Firenze in data 3 dicembre 1968 condanna alcuni
operatori dell’Istituto di Prato “Maria Vergine Assunta in Cielo”, noto come
istituto dei Celestini, per i gravissimi atti compiuti contro i bambini ivi
ricoverati. I fatti riguardavano: punizioni particolarmente sadiche (bastonate,
frustate, schiaffi, leccare la propria pipì o il pavimento, essere legati a
crocefisso sotto il letto o ai piedi di esso, privazione del cibo, ecc.),
nonché condizioni igieniche disastrose, abiti sporchi, grave ritardo rilevato
nello sviluppo intellettivo della maggior parte dei bambini, omissione dei
controlli sanitari, ecc.
Un altro caso esemplare è esaminato dalla
Corte d’Assise di Roma che, in data 21 dicembre 1971, condanna Maria Diletta
Pagliuca. A seguito di un sopralluogo effettuato all’istituto che dirige a
Grottaferrata, emerge quanto segue: «Vi
trovarono tredici ragazzi (gravemente handicappati, n.d.r.) in coppie su sette lettini, tranne l’A. che
dormiva solo, ciascuno con la testa verso la spalliera e legati fra loro per le
gambe. Anche le braccia erano avvinte, mediante catenelle assicurate con
lucchetti o con legacci di stoffa, alle opposte spalliere del letto; l’ambiente
era impregnato di fetore».
Da notare che la vicenda dell’istituto
dei Celestini durò ben 32 anni e 18 quella di Grottaferrata (13).
Mentre negli anni ’60 numerosi enti privati di
assistenza non forniscono adeguate prestazioni ai minori ricoverati, la
magistratura non si comporta sempre in modo accettabile. Ad esempio, il
Tribunale di Torino nella sentenza pronunciata il 31 marzo 1967 nei confronti
di tre imputati, il direttore e le due vice degli istituti psico-pedagogici
situati a Vernone, Cinzano e Brusasco, rileva che non vi è dubbio sul fatto che
molti dei bambini ricoverati sono stati privati di qualche pasto, fatti stare
in piedi o in ginocchio per un certo tempo e percossi alle volte con
particolare violenza con «sberle,
ceffoni, colpi di canna e di bastoni».
Detto convincimento emerge dalle dichiarazioni dei
bambini che hanno subito tali trattamenti e dalle loro deposizioni ricche di
particolari e confortate talvolta anche dalle deposizioni dei testi oculari,
nonché dalle parziali ammissioni del direttore. Ma il Tribunale arriva quasi a
giustificare detti comportamenti sostenendo che dette punizioni venivano
inflitte solo in occasione di mancanze più o meno gravi, per cui i tre imputati
non percuotevano i bambini per malvagità d’animo, ma per finalità
esclusivamente educative (14).
Un altro esempio. Il Pretore di Capriati Volturno
assolve il 15 gennaio 1970, per aver agito in stato di legittima difesa, P. O.,
accusato di abuso di mezzi di correzione in danno di un convittore dodicenne al
quale aveva procurato lesioni fissandogli ai piedi due pezzi di ferro dal
complessivo peso di kg 3,450 a mezzo di catena con lucchetto per impedirgli di
allontanarsi dall’istituto Padre Montorsoli, come aveva già fatto in precedenza
(15).
Inconcepibile, nonostante le prove schiaccianti
raccolte, l’assoluzione in istruttoria, datata 11 febbraio 1967 «perché il fatto non costituisce reato»
di S. M. che insieme a Monsignor S. A. dirige l’istituto “Villaggio dei Santi”
imputata di maltrattamenti «per avere,
trascurando l’igiene, fornendo un regime alimentare insufficiente e non
provvedendo a un confacente sistema di riscaldamento degli ambienti e delle
camerate, sottoposto numerosi bambini indigenti e orfani, ricoverati presso il
villaggio San F. di R. (Catania), a gravissimi disagi fisici e morali e a un
regime di vita degradante e umiliante».
Da prima i carabinieri segnalano alla locale pretura
che «molti bambini indigenti ricoverati
presso il villaggio San F. sono in preda ai pidocchi (…) e costretti a vivere
in locali igienicamente malsani (…) non vengono sufficientemente alimentati e
dormono in camerate non riscaldate le cui finestre sono prive in parte di
vetri». Il giorno successivo, il magistrato si reca presso l’istituto in
cui sono ricoverati 270 minori, accerta, a parte la mancanza di vetri, che nel
dormitorio delle bambine, un locale di circa 12 x 12 metri «per la mancanza di un pezzo di muro da una buca entra l’acqua nella
camerata» e che «oltre una grande
umidità si nota fetore».
Inoltre, «sollevate
le coperte dei lettini si rinvengono le lenzuola di tutti i letti
completamente
sporche e macchiate di urina (…). Le coperte sono sporche e lacere (…). I due
lettini delle sorveglianti hanno materassi di lana, federe e lenzuola pulite
(…). Devono essere tenuti i cappotti sia per l’umi-dità che proviene dal
pavimento bagnato, sia per il vento che proviene dai finestroni». Analoga
la situazione accertata dal magistrato nel secondo dormitorio con 26 lettini e
in un altro locale con altri 63 letti. Certifica, inoltre, che «non può materialmente entrare nei
gabinetti perché sono sommersi nell’urina (…). Il pavimento è quasi completamente
coperto da feci già invase dalle mosche».
Lo stesso magistrato afferma, altresì, che nel locale
in cui una maestra impartiva le lezioni a trenta bambini «tutti hanno la faccia sporca. L’aula è priva di qualsiasi sussidio
didattico (…), vi è un pezzo di lavagna, circa tre quarti di una vera lavagna,
tutta rotta (…). I banchi sono lerci, sgangherati e rotti (…). Il pavimento,
che si presenta sporco, viene pulito dai bambini con una scopa (…). In tre
banchi manca parte della panca per sedersi e poiché in ogni banco vi sono tre
bambini, due restano in piedi (…). Un banco è completamente privo di panca per
cui i bambini restano in piedi».
Negli stessi giorni in cui il Pretore inizia le
indagini, due persone che percorrono una strada a bordo di un’auto, scorgono
una bambina che porta sulle spalle il fratellino. I carabinieri, ai quali
vengono accompagnati i due ragazzi, danno atto che «sia la predetta Giovanna che il fratellino Saverio sono vestiti
malamente con panni laceri e sporchi. Anche la loro pelle è sporca in ogni
parte del corpo, specialmente nel collo. Sono inconsolabili e non vogliono
assolutamente tornare al collegio che li ha ospitati. Saverio ha dei pidocchi e
presenta dei foruncoli alle braccia e alle mani. I suoi denti sono tutti
cariati e soffre per dolori alla bocca». La bambina spiega: «sono
fuggita perché non potevo più sopportare che il mio fratellino, di anni
quattro, venisse continuamente malmenato» e aggiunge: «Comune mezzo di punizione è quello di metterci in ginocchio in un
qualsiasi posto e per lunghi periodi (…). Mi è capitato di restare in ginocchio
per ore intere sul pavimento di marmo e sul selciato del cortile, tanto che
qualche volta mi sono ferita (…). Io dormo in un lettino insieme con mio
fratello e talvolta mi capita di cadere dal letto per farlo dormire più
comodamente».
Nonostante la conferma da parte dei fanciulli
interrogati delle botte ricevute («sono
anche stata malmenata dalla signorina A. con una stanga di legno lunga più di
un metro (…). Ci puniscono anche mettendoci fuori nella terrazza in pigiama e
lasciandoci all’addiaccio (…). Il letto dove dormo è fornito solo di due
coperte molto piccole e del tutto insufficienti a ripararmi dal freddo (…). Ci
sono i vetri rotti attraverso i quali penetra vento e pioggia (…). A pranzo ci
danno la pasta, ma ci sono spesso vermi, terra, mosche, insetti (…). Certe
volte veniamo bastonati con un pezzo di legno, cosiddetta “gerla”; ci vengono
inferti colpi sul capo, sul corpo e sulla schiena»), nella sentenza assolutoria
è scritto che l’esercizio dell’azione penale relativa ai maltrattamenti «non può dirsi sufficientemente suffragata
dalle risultanze istruttorie» e non risulta che «la condotta di costei (la direttrice S.M.) sia stata ispirata dalla
volontà di nuocere ai piccoli (…)». Inoltre «da nessun elemento del processo emerge la sua (della direttrice)
volontà di sottoporre i fanciulli ad una situazione di abituale avvilimento
della loro personalità». Il provvedimento di assoluzione prosegue
osservando che «se tale malvagia finalità
avesse guidato la condotta della S.M. non si spiegherebbe l’indebitamento
dell’ente per svariate decine di milioni onde sopperire alla gestione (…) e
ingiustificati e assurdi sarebbero i continui appelli a enti religiosi e istituti
caritatevoli per avere sussidi ed elargizioni», tralasciando di tener conto
che gli enti pubblici avevano contribuito alla costruzione dell’istituto nella
rilevante misura dell’80% del costo.
Sconcertante la vicenda di Nicola Aliotta, imputato di
quattro truffe aggravate continuate e di interesse privato in atto di ufficio,
condannato dal Tribunale di Roma il 14 gennaio 1966 a quattro anni e nove mesi
di reclusione e lire 1.300.000 di multa, pena aumentata dalla Corte di appello
con sentenza del 30 gennaio 1967 a cinque anni di reclusione.
Da una redazione redatta dal collegio sindacale
dell’Inps era stato accertato che «un
dipendente dell’Inps, professor Nicola Aliotta, a mezzo di società di comodo
appositamente create con lo scopo di gestire istituti preventoriali, cliniche,
sanatori, ecc. e conseguendo, con l’appoggio del padre, autorevole consigliere
di amministrazione dell’Inps, il convenzionamento delle case di cura gestite
dalle predette società (…) si era ingerito nell’esplicazione della attività assistenziale
traendo a tal fine profitto delle deficienze che la rete sanatoriale dell’Inps
presentava nelle località prescelte».
Il giro d’affari era imponente, com’è dimostrato dalla
costituzione da parte di Aliotta di numerose società a responsabilità limitata:
Sicep, Sonaga, Sogip, Sic, Sama e Sias (16).
Ad esempio la Sicep aveva sottoscritto una convenzione
con l’Inps per il ricovero di bambini in tre strutture site nella provincia di
Lecce.
La retta convenuta con l’Inps, inizialmente di lire
1.360 al giorno per bambino, era stata successivamente aumentata a lire 2.000
La Sicep (e così pure le altre società) non gestiva
gli istituti, ma aveva subappaltato l’assistenza a costi nettamente inferiori.
Al fine di consentire all’Aliotta ed ai suoi
collaboratori di incassare somme rilevanti (dalla sentenza risulta che è «stato raggiunto complessivamente l’enorme
profitto non legittimo di lire 1 miliardo, 149 milioni e 400mila» (17),
veniva superata la capienza degli istituti «da
un minimo del 140% a un massimo del 246%» con la conseguenza che «tale sovraffollamento si risolveva in una
insufficiente assistenza ai ragazzi e portava a condizioni di estremo
disagio».
Inoltre erano stati manifestati «fondati dubbi di indebite protrazioni delle degenze» (18).
8. Il futuro
dei bambini senza famiglia dipendeva dalle scelte dell’ente di assistenza
I 50 mila enti, organi o uffici, di cui ho riferito in
precedenza, hanno il potere, in effetti un vero e proprio arbitrio, di decidere
il presente e il futuro dei bambini senza famiglia. Nel 1960 (cfr. il punto 3)
sono assistiti ben 21.113 bambini non riconosciuti. Pertanto, per la loro
sistemazione presso famiglie adottive o affidatarie, gli organismi preposti
alla loro assistenza non sono condizionati dalle decisioni o dai pareri dei
genitori e degli altri congiunti.
Ciononostante, la stragrande maggioranza dei fanciulli
resta in istituto fino al raggiungimento della maggiore età, in quel periodo
prevista al compimento del 21° anno.
Poi, quasi sempre, vengono dimessi dagli istituti e
abbandonati a loro stessi.
Di conseguenza, molte sono le ragazze costrette a
prostituirsi per poter vivere e numerosi sono i maschi che ingrossano le file
della delinquenza.
9. La svolta promossa dall’Anfaa
Nel prossimo articolo verranno prese in esame le
iniziative promosse dall’Anfaa, Associazione nazionale famiglie adottive e
affidatarie, costituitasi nel dicembre 1962 con la denominazione di Associazione
nazionale famiglie adottive e affilianti, iniziative che hanno contribuito, in
misura a mio avviso determinante, ad un radicale cambiamento sia della
situazione dei minori in situazione di disagio, sia dell’organizzazione del
settore assistenziale, sia delle finalità dell’istituto giuridico
dell’adozione.
(1) Le notizie e i dati riportati sono in parte
tratti da Prospettive assistenziali.
Inoltre, questo articolo riprende i contenuti di quello pubblicato sul n. 128,
1999 ed estende l’analisi ad altri fatti significativi, la cui conoscenza è
necessaria per comprendere la situazione in cui ha operato il volontariato dei
diritti, gli ostacoli incontrati e le realizzazioni ottenute.
(2) Le denominazioni
riportate sono quelle utilizzate dall’Istat. Rispetto all’articolo apparso sul
n. 128 di Prospettive assistenziali, i
ricoverati sino stati in parte raggruppati in modo diverso.
(3) I dati
riguardano solo i
minori ricoverati nei
brefotrofi (allevamento interno)
e non comprendono quelli in
allevamento esterno, affidati a balie, allevatori e istituti.
(4) Si tratta di istituti
che, secondo l’Istat, accolgono «per
periodi piuttosto lunghi, bambini linfatici, anemici, predisposti alla
tubercolosi, ecc.». In effetti, sono ricoverati quasi esclusivamente
bambini di famiglie povere..
(5) Nei brefotrofi, su 8.699
ricoverati in allevamento interno, 3.768 sono illegittimi non riconosciuti,
3.564 illegittimi riconosciuti e 1.367 legittimi
(6) Si ricorda che negli anni
’60, i lavoratori hanno diritto solamente a 180 giorni di ricovero ospedaliero
gratuito. Decorso detto periodo, dovevano pagare con le proprie risorse
economiche (redditi e patrimoni). Esauriti i propri mezzi finanziari, per poter
ottenere le cure sanitarie a titolo gratuito, devono essere iscritti nelle
liste dei poveri, presenti in tutti i Comuni.
(7) In età fino ai 6 anni nei
consultori pediatrici e dermosifilopatici; fino ai 18 anni nei centri
medico-psico-pedagogici.
(8) Ammesse nei refettori
materni, assistite a domicilio, ricoverate in istituti di maternità.
(9) In età fino ai 18 anni in
asili nido, con baliatico e con distribuzione di alimenti e medicinali.
(10) La distribuzione di
derrate alimentari è una prova dell’arretratezza della concezione allora
dominante nel settore dell’assistenza.
(11) Questa parte è ripresa
dal volume di Maria Grazia Breda, Donata Micucci e Francesco Santanera, La riforma dell’assistenza e dei servizi
sociali - Analisi della legge 328/2000 e proposte attuative, Utet Libreria.
(12) Cfr. Bianca Guidetti
Serra e Francesco Santanera, Il Paese dei
Celestini - Istituti di assistenza sotto processo, Giulio Einaudi Editore,
Torino, 1973.
(13) Cfr. “Dagli aguzzini di
Prato (1963) alle torture di Laterza (1966): responsabilità e proposte”, Prospettive assistenziali, n. 115, 1996.
(14) Cfr. Bianca Guidetti
Serra e Francesco Santanera, op. cit.
(15) Ibidem.
(16) Ibidem.
(17) Ibidem.