Prospettive assistenziali 163/2008
Editoriale
VIENE FINALMENTE RICONOSCIUTA LA MANCANZA DI DIRITTI ESIGIBILI
NELLA LEGGE 328/2000 SULL’ASSISTENZA
Per gli aderenti al Csa (Coordinamento sanità e
assistenza fra i movimenti di base) e per i componenti della redazione di Prospettive assistenziali è stata una
sofferenza lunga e gravosa l’essere rimasti i soli fra i gruppi di base ad
affermare, durante il periodo in cui il Parlamento ha discusso la riforma
dell’assistenza e anche successivamente, che nel testo in esame non era
previsto alcun diritto esigibile a favore della fascia più debole della
popolazione, senza nemmeno confermare quelli sanciti alla fine dell’ottocento e dal regime fascista (1).
Il dispiacere era forte anche perché era evidente che
sarebbero trascorsi molti anni prima che maturassero le condizioni culturali e
politiche indispensabili per una positiva riconsiderazione delle questioni
concernenti i diritti della fascia più bisognosa e più debole della
popolazione.
Altre preoccupazioni provenivano dalla assoluta
assenza di iniziative volte a contrastare i provvedimenti assunti dalle
istituzioni (Governo, Parlamento, Corte costituzionale), diretti alla
privatizzazione delle Ipab (Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza),
privatizzazione consistente nella cessione, a titolo assolutamente gratuito, ad
organizzazioni private dei loro ingenti patrimoni destinati ai poveri (2).
Da notare che la consistenza dei beni mobili e
immobili delle Ipab era stata valutata dall’On. Marisa Galli, nella seduta
della Camera dei Deputati del 17 febbraio 1982, in ben 30-40 mila miliardi di
lire (3).
Un altro duro colpo ci era stato inferto dalla
votazione della Camera dei Deputati che, accogliendo la richiesta dell’allora
Ministro per la solidarietà sociale, Livia Turco, nella seduta del 18 gennaio
2000, aveva respinto un emendamento presentato dagli Onorevoli Diego Novelli e
Tiziana Valpiana così formulato: «Come
stabilito dagli articoli seguenti, gli interventi e servizi sociali si
distinguono in obbligatori e facoltativi».
Secondo i presentatori lo scopo era quello di
garantire nell’ambito degli interventi obbligatori «i servizi sociali a coloro i quali, se non ricevono anche le
prestazioni assistenziali, non possono vivere o sono inevitabilmente condannati
all’emarginazione sociale».
L’On. Novelli aveva precisato che «i soggetti che necessitano anche di prestazioni di assistenza sociale
sono, fra l’altro, i minori in tutto (figli di ignoti) o in parte privi delle
indispensabili cure familiari, gli handicappati intellettivi totalmente o
gravemente privi di autonomia e senza alcun valido sostegno familiare, le
gestanti e madri in gravi difficoltà personali alle quali va altresì fornita la
necessaria consulenza psico-sociale per il loro reinserimento e per il
riconoscimento o meno dei loro nati, le persone che vogliono uscire dalla
schiavitù della prostituzione, gli ex carcerati ed i loro congiunti, i soggetti
senza fissa dimora».
I sostenitori dei diritti inesistenti
Alla sofferenza e alle preoccupazioni si è aggiunto lo
sconcerto quando abbiamo appreso che alcuni esperti avevano individuato nella
legge 328/2000 diritti esigibili, in realtà del tutto inesistenti (4).
Sul numero 14/2000 di Prospettive sociali e sanitarie, commentando il testo trasmesso
dalla Camera dei Deputati al Senato, Emanuele Ranci Ortigosa aveva individuato «tra le previsioni più innovative» la «affermazione di un vero e proprio diritto
dei cittadini a usufruire delle prestazioni e dei servizi del sistema
integrato».
Fra gli aspetti «più
innovativi» aveva inoltre segnalato la «ribadita
competenza generale dei Comuni per le prestazioni assistenziali»,
dimenticando che il 5° comma dell’articolo 8 del disegno di legge licenziato
dalla Camera dei Deputati (rimasto inalterato nel testo definitivo) prevedeva
(e prevede) la conservazione alle Province delle competenze relative
all’assistenza, non solo delle gestanti e madri in gravi difficoltà, ma anche –
creando una intollerabile discriminazione – dei minori nati fuori del
matrimonio (5), nonché dei «ciechi e dei
sordi poveri rieducabili» (6).
A sua volta Maurizio Giordano, noto esponente
dell’Uneba, sul n. 7-8/2000 della Rivista
del volontariato aveva scritto che «il
testo che è adesso in esame del Senato [prevede] l’affermazione di un vero e proprio diritto soggettivo del cittadino, come
tale esigibile sul piano giurisdizionale, e servizi e prestazioni rientranti
tra i “livelli essenziali”» (7).
Imprecisioni e omissioni del tutto analoghe a quelle
precedenti, erano state compiute da Paola Rossi, presidente nazionale
dell’Ordine degli assistenti sociali, che nel n. 2, aprile-giugno 2000 della
rivista Rassegna di servizio sociale, aveva
sostenuto che nel testo di riforma dell’assistenza e dei servizi sociali
approvato dalla Camera dei Deputati «viene
finalmente riconosciuto lo status del cittadino e i diritti che vi si
connettono».
Nel n. 3/2000 di Nuova
proposta, rivista dell’Uneba, la potente organizzazione cattolica a cui
aderiscono centinaia di organizzazioni private e di Ipab, era stato riportato
un articolo di Alessia Fossi Fiaschetti in cui, travisando la realtà, aveva
sostenuto che nel testo di riforma «si
riconoscono alle persone e alle famiglie diritti sociali a fronte dei quali si
mettono in campo risposte più adeguate e moderne, più flessibili e
personalizzate, fatte di servizi, prestazioni economiche, buoni servizio».
Sulla rivista Cittadini
in crescita, n. 1/2000, diretta dal compianto Alfredo Carlo Moro, Franco
Della Mura aveva sostenuto che «quando la
legge quadro sarà stata approvata, avverrà ciò che con la riforma degli anni
settanta era avvenuto per quelli sanitari: l’affermazione dell’esigibilità dei
diritti alla risposta dei bisognosi».
Un forte appoggio al testo Turco-Signorino era stato
fornito dal settimanale Vita nel
numero del 21 aprile 2000: Edoardo Patriarca, portavoce del Forum del terzo
settore, aveva rilevato che gli emendamenti presentati dagli On. Novelli e
Viapiana alla Camera dei Deputati erano «senza
dubbio peggiorativi», senza precisare che lo scopo era quello di rendere
esigibili i servizi indispensabili per le persone in reale condizione di
bisogno.
Anche il settimanale Avvenimenti aveva pubblicato notizie fuorvianti sul testo di legge.
Sul numero del 2-9 gennaio 2000, Franco Marzocchi, altro portavoce del Forum
del terzo settore, era giunto a sostenere che il testo all’esame del Parlamento
era fondato «sui servizi e sulle
prestazioni di assistenza necessari a garantire a tutti un dignitoso livello di
assistenza».
A sua volta il Ministro per la solidarietà sociale, on. Livia Turco, aveva rilasciato
dichiarazioni gravemente imprecise. Nell’intervista pubblicata su La Stampa del 1° giugno 2000,
commentando il testo varato dalla Camera dei Deputati il giorno prima, aveva
asserito che «il welfare – dagli asili
nido all’assistenza domiciliare per gli anziani, dai centri diurni per gli
handicappati alla lotta contro la povertà – non dipende più dalla benevolenza o dall’efficienza dei Comuni. Abbiamo
fissati uno standard: servizi che non possono non esserci e che tutti i Comuni
devono realizzare con il concorso dello Stato. I diritti sociali sono diventati
esigibili per tutti: non è più pensabile che certi servizi, in Italia, siano
limitati a un privato che è fatto di lavoro quasi sempre nero e spesso non
qualificato» (8).
Anche la Consulta ecclesiale dei servizi socio-assistenziali,
di cui facevano parte, fra gli altri, la Caritas italiana, l’Associazione Papa
Giovanni XXIII, il Movimento apostolico dei ciechi, la Società di San Vincenzo
de’ Paoli, il Cnca (Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza), la
Conferenza nazionale delle misericordie, l’Uneba, non solo non aveva avanzato
alcuna obiezione in merito alla mancanza di diritti esigibili a favore delle
persone e dei nuclei familiari in gravi condizioni di disagio socio-economico,
ma aveva espresso «il generale consenso» al
testo di riforma dell’assistenza (9).
I positivi ripensamenti
di Emanuele Ranci Ortigosa
Come risulta dall’articolo di Emanuele Ranci Ortigosa
“Diritti sociali e livelli assistenziali: una sintesi” e dal volume Diritti sociali e livelli assistenziali
delle prestazioni curato dallo stesso Ranci Ortigosa (10), a distanza di
ben otto anni dalla promulgazione della legge 328/2000, Prospettive sociali e sanitarie e l’Osservatorio nazionale
sull’attuazione della legge 328/2000 hanno finalmente preso atto che il testo
di riforma dell’assistenza non prevede alcun diritto esigibile per cui «ritengono che la definizione dei livelli
essenziali delle prestazioni sociali costituisce la priorità fra le azioni che
il Governo deve promuovere nel campo delle politiche del welfare».
Allo scopo, dopo aver richiamato quanto previsto dalla
lettera m) del 2° comma dell’articolo 117 della Costituzione (11), Ranci
Ortigosa sostiene giustamente la necessità che vengano assunte dal Parlamento
le occorrenti iniziative per «la
definizione dei livelli essenziali e la chiarificazione di diritti e di
“prestazioni” atte a garantirli», senza tuttavia ricordare che detti
diritti potevano (anzi dovevano) essere previsti dalla legge 328/2000 (12).
Un altro ripensamento significativo riguarda il
riconoscimento che il settore socio-assistenziale deve intervenire
esclusivamente nei confronti dei cittadini che presentano una situazione di
bisogno (13).
A questo proposito la principale accusa rivolta dal
Csa e da Prospettive assistenziali ai
principi generali della legge 328/2000 (cfr. il 2° comma dell’articolo 1)
riguardava e riguarda tuttora l’estensione della sua applicabilità a «tutte le attività previste dall’articolo
128 del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 112», attività che avrebbero
dovuto comprendere tutte le prestazioni sociali gratuite o a pagamento «escluse soltanto quelle assicurate dal
sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede
di amministrazione della giustizia».
Pertanto, aspetto del tutto illogico, la legge
328/2000 avrebbe dovuto operare non solo nel settore socio-assistenziale, ma
anche in quelli riguardanti la scuola, la casa, i trasporti, il tempo libero,
ecc. (14).
tuttavia resta ancora aperta la necessità di definire che
cosa si intenda per “situazione di bisogno” e quali siano le relative
competenze istituzionali a cui il cittadino può far riferimento, argomenti che,
nonostante la loro enorme importanza sul piano teorico e sotto il profilo
operativo, non sono stati affrontati né nell’articolo di Emanuele Ranci
Ortigosa, né dagli autori del citato volume Diritti
sociali e livelli esenziali delle prestazioni.
Ad esempio, se si vogliono fornire adeguate
prestazioni alle persone colpite da patologie invalidanti e da non autosufficienza,
occorre rapportarsi alla primaria competenza sanitaria e non a quella
socio-assistenziale (15), in quanto le esigenze primarie riguardano la cura
delle malattie, la prevenzione degli aggravamenti e la massima riduzione
possibile del dolore.
Per quanto riguarda i soggetti più deboli, il nostro
riferimento continua ad essere il principio contenuto nella seconda pagina di
copertina di questa rivista secondo cui «solo
riconoscendo alle persone incapaci di autodifendersi le stesse esigenze e gli
stessi diritti degli altri cittadini, si può vincere l’emarginazione sociale.
Eventuali interventi assistenziali devono essere aggiuntivi e non sostitutivi
delle prestazioni della sanità, della casa, della scuola e delle altre attività
di interesse collettivo».
Campo di applicazione dei livelli essenziali
di assistenza sociale
Secondo Ranci Ortigosa (16) e l’Osservatorio nazionale
la fonte normativa per la definizione dei livelli essenziali di assistenza
sociale (17) è il secondo comma dell’articolo 22 della legge 328/2000 che
prevede i seguenti interventi: «a) misure
di contrasto della povertà e di sostegno al reddito e servizi di
accompagnamento, con particolare riferimento alle persone senza fissa dimora;
b) misure economiche per favorire la vita autonoma e la permanenza a domicilio
di persone totalmente dipendenti o incapaci di compiere gli atti propri della
vita quotidiana; c) interventi di sostegno per i minori in situazioni di
disagio tramite il sostegno al nucleo familiare di origine e l’inserimento presso
famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare e
per la promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza; d) misure per
il sostegno delle responsabilità familiari, ai sensi dell’articolo 16, per
favorire l’armonizzazione del tempo di lavoro e di cura familiare; e) misure di
sostegno alle donne in difficoltà per assicurare i benefici disposti dal regio
decreto-legge 8 maggio 1927, n. 798, convertito dalla legge 6 dicembre 1928, n.
2838, e dalla legge 10 dicembre 1925, n. 2277, e loro successive modificazioni,
integrazioni e norme attuative; f) interventi per la piena integrazione delle
persone disabili ai sensi dell’articolo 14, realizzazione, per i soggetti di
cui all’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, dei centri
socio-riabilitativi e delle comunità-alloggio di cui all’articolo 10 della
citata legge n. 104 del 1992, e dei servizi di comunità e di accoglienza per
quelli privi di sostegno familiare, nonché erogazione delle prestazioni di
sostituzione temporanea delle famiglie; g) interventi per le persone anziane e
disabili per favorire la permanenza a domicilio, per l’inserimento presso
famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare,
nonché per l’accoglienza e la socializzazione presso strutture residenziali e
semiresidenziali per coloro che, in ragione della elevata fragilità personale o
di limitazione dell’autonomia, non siano assistibili a domicilio; h)
prestazioni integrate di tipo socio-educativo per contrastare dipendenze da
droghe, alcol e farmaci, favorendo interventi di natura preventiva, di recupero
e reinserimento sociale; i) informazione e consulenza alla persone e alle
famiglie per favorire la fruizione dei servizi e per promuovere iniziative di
auto-aiuto».
Come risulta evidente le suddette attività riguardano
non solo, e nemmeno principalmente, il settore socio-assistenziale, ma – se
svolte in un modo adeguato e quindi anche non emarginante – concernono
soprattutto la sanità (18), la casa, la scuola, la formazione professionale e
prelavorativa, i trasporti, nonché gli altri settori sociali (rivolti cioè a
tutti i cittadini compresi i soggetti più deboli e indifesi) e il lavoro (19).
Dunque c’è il reale pericolo che le organizzazioni
promotrici dell’Osservatorio nazionale sull’attuazione della legge 328/2000
propongano nei fatti la creazione di un ambito socio-assistenziale destinato a
tutte le prestazioni occorrenti per i soggetti più indifesi, sottraendo quindi
ad essi, in tutto o in parte, il diritto esigibile di beneficiare dei servizi
di competenza della sanità e degli altri settori sociali (20).
In questo caso si tratterebbe di una iniziativa che
emargina i soggetti più deboli dal vivo del contesto sociale.
I livelli essenziali riguardanti le persone
non autosufficienti
Nel già citato volume Diritti sociali e livelli essenziali delle prestazioni, Cristiano
Gori affronta le questioni relative alle persone non autosufficienti ed è
stupefacente rilevare come l’Autore non proponga alcuna definizione per
precisare detti soggetti: si riferisce ai non autosufficienti totali o parziali
e comprende anche i minorenni?
A nostro avviso si tratta di una carenza gravissima
perché non si tiene conto delle differenti esigenze degli individui coinvolti e
delle diverse competenze istituzionali che dovrebbero garantire le necessarie
prestazioni.
Ne consegue – altro fatto gravissimo – che non vengono
analizzati i bisogni delle persone non autosufficienti, né sono individuati i
necessari interventi.
Allo scopo di poter intervenire a loro difesa, anni fa
il Csa aveva precisato che fra i soggetti non autosufficienti dovevano essere
considerate «le persone (non solo
anziane, ma anche adulte e giovani) colpite da malattie le cui conseguenze si
prolungano nel tempo e determinano limitazioni notevoli della loro autonomia
(impossibilità di camminare, incapacità di alimentarsi da sole, incontinenza
urinaria e/o sfinterica, ecc.)» aggiungendo che «si tratta dunque di persone che, a causa della gravità delle loro
condizioni fisiche e/o psichiche, hanno bisogno di cure e nello stesso tempo
non sono in grado di provvedere a se stesse se non con l’aiuto totale e
permanente di altri soggetti. Nei casi più gravi il malato cronico non
autosufficiente ha bisogno dell’intervento di altre persone per soddisfare
esigenze che non è nemmeno in grado di manifestare (fame, sete, caldo, freddo,
ecc.» (21).
Veniva, altresì, puntualizzato che «fra le persone colpite da malattie
invalidanti e da non autosufficienza vi sono anche i malati di Alzheimer ed i
soggetti sofferenti a causa di altre forme di demenza pre-senile e senile»
e che «come è evidente per tutti i
cittadini in buona fede, gli anziani cronici non autosufficienti sono individui
nei cui confronti, proprio perché si tratta di malati, deve intervenire il
Servizio sanitario nazionale e non, come purtroppo avviene, il settore
dell’assistenza/beneficenza, poiché non riguarda persone o nuclei familiari in
situazione di disagio economico e sociale».
Occorre inoltre considerare che le
persone non autosufficienti, soprattutto se anziane, a causa delle loro
precarie condizioni di salute, sono più colpite delle altre da patologie acute.
Pertanto, allo scopo di evitare trasferimenti costosi per la sanità e spesso
traumatici per gli anziani, le Rsa devono essere organizzate, come avviene in
Piemonte per quelle gestite dalle Asl, in modo da essere in grado di curare
anche le affezioni acute, salvo i rari casi in cui non c’è l’esigenza del
ricovero ospedaliero.
A questo riguardo, nell’ottimo documento
del Ministero della salute “Prestazioni residenziali e semiresidenziali per gli
anziani non autosufficienti” approvato il 30 maggio 2007 dalla Commissione
nazionale per la definizione e l’aggiornamento dei livelli essenziali di
assistenza, viene giustamente rilevato che «un
anziano affetto da una patologia cronica invalidante non potrà essere definito
stabile in senso assoluto» e che «le
strutture residenziali devono essere in grado di affrontare la relativa
instabilità clinica connessa alla patologia, o polipatologia, che accompagna le
condizioni di non autosufficienza nell’anziano, nonché problematiche
intercorrenti, anche acute, gestibili in ambiente extra-ospedaliero».
In detto documento viene altresì
precisato che «la prestazione
“residenziale” non si differenzia necessariamente da quella “ospedaliera” per
un minore gradiente di assistenza» in quanto sussistono «condizioni di cronicità che impongono
significativi e continui trattamenti di natura sanitaria, anche per il supporto
alle funzioni vitali (respirazione, nutrizione), nelle quali il gradiente
assistenziale globale richiesto può risultare anche superiore a quello di
alcune prestazioni di ricovero in condizioni di acuzie» (22).
Le attività svolte dalle Asl del
Piemonte, che gestiscono direttamente Rsa (Residenze sanitarie assistenziali),
confermano che è necessario assicurare agli adulti e agli anziani cronici non
autosufficienti prestazioni sanitarie di prevenzione dagli aggravamenti e
dall’insorgere di altre patologie, di cura, di riabilitazione (quando necessario),
nonché inter-venti volti a ridurre in tutta la misura del possibile il dolore.
Queste attività vanno garantite non solo
nelle strutture residenziali, ma anche a livello domiciliare.
Altra preoccupante “dimenticanza” di
Cristiano Gori è l’assenza nel suo articolo di riferimenti alle leggi vigenti
(la prima, la 692, risale addirittura al 1955 le cui norme sono state
confermate dall’articolo 54 della legge 289/2002) che prevedono diritti
esigibili a favore di tutti i malati, compresi quelli colpiti da patologie
inguaribili e da non autosufficienza (23).
si tratta di diritti facilmente esigibili, com’è
dimostrato dalle migliaia di opposizioni alle dimissioni da ospedali e da case
di cura private convenzionate presentate dai congiunti di anziani e adulti cronici
non autosufficienti (compresi i malati di Alzheimer) che, con la semplice
spedizione di quattro raccomandate A/R (costo euro 15,20), ottengono sempre,
senza alcuna eccezione, seguendo correttamente le indicazioni del Comitato per
la difesa dei diritti degli assistiti (24), la prosecuzione delle prestazioni
sanitarie presso la stessa struttura o il trasferimento a cura e spese dell’Asl
in una Rsa (25).
I tre gruppi delle persone non
autosufficienti
riteniamo che debbano essere considerate non autosufficienti
le persone di età superiore ai 18 anni che, come precisa la legge 11 febbraio
1980 n. 18, istitutiva dell’assegno di accompagnamento, «non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita,
abbisognano di un’assistenza continua» (26).
Sulla base delle nostre esperienze sono tre i gruppi delle persone
ultradiciottenni completamente e definitivamente non autosufficienti,
portatrici di esigenze e di diritti profondamente differenti (27):
a) il primo gruppo è costituito da coloro
(la stragrande maggioranza) la cui non autosufficienza è causata da malattie,
in particolare da ictus, infarti, pluripatologie invalidanti, morbo di
Alzheimer e altre forme di demenza senile. Poiché si tratta di malati che
alternano fasi acute e croniche, la competenza prioritaria è sicuramente della
sanità. La vigente normativa sui Lea (Livelli essenziali di assistenza)
stabilisce che questi soggetti hanno il diritto esigibile alle cure sanitarie e
socio-sanitarie senza limiti di durata (articolo 54 della legge 289/2002 e
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001).
Gli interventi devono quindi essere diretti alla cura
delle patologie evitando o almeno limitandone l’aggravamento, nonché a
prevenire l’insorgere di altre infermità e ad assicurare le opportune
prestazioni volte a contrastare il dolore fisico e psichico.
Una specifica attenzione andrebbe rivolta a quei
pazienti che non sono in grado di esprimere le loro fondamentali esigenze:
fame, sete, caldo, freddo, ecc.;
b) il secondo gruppo è composto dalle
persone con gravi handicap di natura intellettiva, e quindi con notevoli
difficoltà a segnalare i propri bisogni vitali. Se non vi sono patologie
associate, questi soggetti necessitano di essere supportati, soprattutto al
termine della scuola dell’obbligo, mediante la frequenza di appositi centri
diurni (strutture indispensabili per la loro permanenza in famiglia) o, nei
casi di impossibilità della permanenza nella famiglia di origine o affidataria,
tramite l’accoglienza presso comunità alloggio di 8-10 posti, essendo sempre
sconsigliabile il ricovero in istituti a carattere di internato. In questi casi
l’esperienza ormai ultratrentennale dimostra la validità della competenza dei
servizi socio-assistenziali, mentre il settore sanitario è tenuto, come per
tutti i cittadini, ad intervenire a livello preventivo e nei casi di insorgenza
di malattie, oltre che per le attività di accertamento della presenza
dell’handicap e del suo livello di gravità. Ai sensi degli ancora vigenti
articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931 i soggetti con handicap
intellettivo invalidante hanno il diritto esigibile di ottenere dai Comuni, su
loro richiesta o dei loro tutori o amministratori di sostegno, il ricovero
presso strutture residenziali. La retta è a carico dei ricoverati nei limiti
delle loro personali risorse economiche ai sensi dei decreti legislativi
109/1998 e 130/2000, senza alcun onere per i congiunti conviventi o non
conviventi;
c) il terzo gruppo comprende i soggetti
non in grado di svolgere autonomamente le funzioni essenziali. Tuttavia,
essendo integre le loro capacità intellettive, sono capaci di individuare le
loro necessità e di informare compiutamente le persone addette al loro sostegno
materiale. Com’è noto, gli interventi necessari sono quelli riguardanti la
“Vita indipendente”. Al riguardo è molto significativa l’esperienza di Gianni
Pellis «tetraplegico dal 1986 con
conseguenti gravi limitazioni alla possibilità di essere autosufficiente nello
svolgimento delle più essenziali funzioni della vita», che descrive la sua
situazione come segue: «Molte azioni
della mia giornata, come l’essere alzato e coricato, le operazioni di igiene
personale, l’essere imboccato per i pasti, come l’essere accompagnato per gli
spostamenti sia in casa che all’esterno, solo per indicare i più importanti
bisogni primari, non trovano nessun aiuto o beneficio nemmeno dalla tecnologia
più sofistica-ta» (28). Sulla base della legge 162/1998, il Cisap,
Consorzio intercomunale per i servizi alla persona dei Comuni di Collegno e
Grugliasco (Torino), ha predisposto un apposito progetto consentendo al signor
Pellis, che viveva da solo, di lavorare presso la ditta Alenia Spazio.
Per l’effettiva priorità
delle prestazioni domiciliari
Per ottenere un significativo sviluppo delle prestazioni
domiciliari riguardanti i soggetti succitati, è indispensabile, a nostro
avviso, provvedere al riconoscimento del volontariato intrafamiliare nei
confronti dei congiunti, nonché dei conviventi o di terze persone (29).
Dette persone, infatti, svolgono attività di
competenza del Servizio sanitario nazionale per quanto concerne gli adulti e
gli anziani cronici non autosufficienti e dei Comuni in merito alle prestazioni
rivolte agli individui con handicap gravemente invalidanti sul piano
intellettivo (30).
ad esse dovrebbe essere fornito un rimborso forfetario
delle spese vive sostenute, anche perché non è eticamente corretto che i
volontari, garantendo la permanenza in famiglia dei loro congiunti, debbano non
solo operare gratuitamente, spesso con pesanti ripercussioni a livello fisico e
psichico (si pensi ad esempio a coloro che accolgono i malati colpiti da
demenza senile), ma anche sopportare i relativi oneri economici (31). A questo
proposito ricordiamo che, se i malati o le persone con handicap venissero
ricoverati, i congiunti non avrebbero alcun obbligo a contribuire
economicamente.
D’altra parte la permanenza a domicilio di persone non
autosufficienti determina una riduzione, spesso notevole, dei costi a carico
del Servizio sanitario nazionale e dei Comuni (32).
Ignorata l’esperienza della Regione
Piemonte riguardante le persone non autosufficienti
Nell’articolo di Ranci Ortigosa e nel volume Diritti sociali e livelli essenziali delle
prestazioni non vengono mai citate le iniziative assunte dalla Regione
Piemonte a favore dei tre gruppi di persone non autosufficienti, indicate in
precedenza.
Questa grave omissione riguarda anche l’articolo di georgia casanova “I fondi regionali per i non autosufficienti”
pubblicato sul n. 14, 1°-15 agosto 2008 di Prospettive
sociali e sanitarie, in cui viene segnalato che «a fine aprile 2008, sono sei i fondi sulla non autosufficienza già
operativi (Emilia Romagna, Friuli
Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Sardegna e Veneto)».
Per quanto riguarda il primo gruppo da noi precedentemente indicato, la delibera della
Giunta della Regione Piemonte 30 marzo 2005 n. 17-15226 relativa al nuovo
modello integrato di assistenza residenziale socio-sanitaria a favore delle
persone anziane non autosufficienti, prevede la creazione del Fondo regionale
per la gestione del sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali «finalizzato esclusivamente a concorrere
alla copertura della tariffa giornaliera a carico dei cittadini [non autosufficienti, n.d.r.] la cui situazione reddituale sia tale da non
potervi totalmente far fronte».
Circa gli altri oneri, la Regione Piemonte interviene
tramite il Fondo regionale relativo alle attività socio-assistenziali, mentre
le risorse per le prestazioni sanitarie sono tratte dai finanziamenti relativi
al Servizio sanitario regionale.
La creazione di un fondo specifico per gli anziani con
malattie invalidanti e da non autosufficienza, di cui ricordiamo nuovamente la
notevole frequenza dell’insorgere di patologie acute, significa non riconoscere
la condizione di persona malata avente gli stessi diritti alle cure sanitarie
degli altri soggetti (33).
Nelle pubblicazioni sopra citate non viene nemmeno
ricordato che, mediante la delibera 23 luglio 2007 n. 37/6500, la Giunta
regionale del Piemonte ha assegnato la somma di euro 5 milioni agli enti
gestori dei servizi socio-assistenziali che, in applicazione dei decreti
legislativi 109/1998 e 130/2000, non richiedono alcun contributo economico ai
congiunti, conviventi o non conviventi, degli ultrasessantacinquenni ricoverati
presso le Rsa (34), confermando così che in base alle leggi vigenti detti oneri
sono a carico dei Comuni e non dei congiunti.
Come per gli adulti e gli anziani non autosufficienti,
anche per quanto riguarda le persone del secondo gruppo (e cioè i soggetti con
grave handicap intellettivo), occorre evitare la creazione di un fondo
specifico che favorirebbe l’emarginazione degli utenti più deboli.
Ad esempio, com’è illogico sottrarre al Servizio
sanitario nazionale e al relativo Fondo le competenze che garantiscono le
necessarie prestazioni a tutti i malati, compresi quelli non autosufficienti,
così è irragionevole togliere competenze e oneri economici ai numerosi settori
(casa, istruzione, formazione professionale, lavoro, assistenza, ecc.) i cui
interventi rispondono anche alle esigenze degli individui con handicap
intellettivo di rilevante entità.
la richiesta delle Regioni, dei Comuni e di altre
organizzazioni di finanziamenti aggiuntivi sotto forma di fondi specifici, cela
la finalità di escludere dalla piena competenza della sanità i malati cronici
non autosufficienti (35) e dai vari settori sopra elencati i soggetti con grave
handicap intellettivo.
come era stabilito nel disegno di legge “Delega al
Governo a definire un sistema di prestazione sociale per le persone non
autosufficienti e di sostegno alla famiglia. Disposizioni in materia di
politiche sociali”, predisposto dall’allora Ministro Paolo Ferrero e presentato
alla Camera dei Deputati il 3 dicembre 2007, prevedeva l’emarginazione delle
persone incapaci di autodifendersi attribuendo al comparto socio-assistenziale
competenze spettanti ad altri settori sociali (36). Si tratta del tentativo di
riprodurre situazioni emarginanti presenti nei decenni scorsi, tipiche di
quando i malati psichiatrici erano di competenza del settore assistenziale e
cioè fino all’entrata in vigore della legge 180/1978.
In merito al secondo
gruppo ricordiamo che, anche per le pressioni esercitate dal Csa, la
Regione Piemonte ha finora provveduto ai finanziamenti per le persone con
handicap intellettivo senza creare alcuna separazione fra gli utenti totalmente
non autosufficienti e quelli aventi una limitata autonomia.
Infatti sia gli uni che gli altri sono ammessi negli
stessi centri diurni e nelle stesse comunità alloggio. Inoltre l’assistenza
economica, gli affidamenti familiari e le altre prestazioni socio-assistenziali
sono di competenza dei relativi uffici ed i fondi sono utilizzati da tutti i
beneficiari, compresi i soggetti con handicap. Parimenti compete agli
assessorati alla casa, ai trasporti, al tempo libero ed agli altri settori
sociali intervenire con il proprio personale ed i propri finanziamenti anche in
merito alle esigenze delle persone con handicap gravissimi.
Inoltre, è molto positivo l’accordo – che supera
correttamente la stessa nozione di non autosufficienza – in base al quale è
prevista nella misura dal 50% al 70% la copertura sanitaria della retta di
ricovero di tutti i soggetti dichiarati inoccupabili dai competenti servizi per
il lavoro. In questo modo si è evitato di porre a carico degli utenti e dei
Comuni i costi onerosi previsti dal decreto Berlusconi-Sirchia-Tremonti del 29
novembre 2001.
Infine, con la legge regionale piemontese n. 43/1997,
sono state realizzate 35 comunità alloggio socio-assistenziali da 10 posti
letto, 19 gruppi appartamento da 4-6 posti letto, 14 edifici con un nucleo
residenziale di 10 posti e un centro diurno, 45 centri diurni assistenziali con
un massimo di 20 utenti, il che dimostra che le Regioni possono intervenire in
modo valido sulla base delle attuali competenze. Anche in questo caso c’è la
necessità di finanziamenti aggiuntivi, ma non di fondi specifici (37).
Circa il terzo
gruppo segnaliamo le delibere della Giunta della Regione Piemonte n.
32-6868 del 5 agosto 2002 e n. 22-8775 del 25 marzo 2003 riguardanti la
sperimentazione su tutto il territorio regionale di progetti di “Vita
indipendente”, la n. 48-9266 del 21 luglio 2008 concernente l’approvazione
delle linee guida per la predisposizione delle iniziative in materia, nonché la
determinazione n. 255 del 6 agosto 2008 in base alla quale sono stati
finanziati 174 progetti per l’importo complessivo di euro 2.730.715, 27
prelevati dal Fondo regionale per i servizi socio-assistenziali.
Contributi economici posti a carico
dei congiunti dei soggetti non
autosufficienti
Nell’articolo in oggetto, Cristiano Gori ammette –
finalmente – che l’attuale suddivisione dei costi (quota sanitaria interamente
a carico della sanità e quota sociale a carico del ricoverato) «produce effetti negativi sulle condizioni
economiche di molti utenti e dei loro familiari, poiché la quota sociale
comporta una spesa troppo elevata da sostenere», ma dimentica che dal 2001
sono in vigore l’articolo 25 della legge 328/2000 ed i decreti legislativi
109/1998 e 130/2000 in base ai quali è a carico dei Comuni la parte della quota
sociale non coperta dalle risorse economiche: nessun contributo economico può
essere richiesto ai congiunti degli assistiti, qualora si tratti di
ultrasessantacinquenni non autosufficienti o di soggetti con handicap in
situazione di gravità.
A nostro avviso non è assolutamente vero, come invece
sostiene Cristiano Gori, che l’ammontare della quota sociale sia troppo
elevato; piuttosto sono numerosi i Comuni che non rispettano le sopra citate
norme di legge.
A conferma dell’applicabilità delle disposizioni sopra
citate, segnaliamo nuovamente i seguenti provvedimenti dell’autorità
giudiziaria (38):
• sentenza del Giudice di Pace di Bologna n. 3598/2006
del 13 aprile 2006, depositata in Cancelleria il 12 ottobre 2006;
• sentenza n. 42/2007 della Sezione di Catania del Tar
della Sicilia del 6 dicembre 2006, depositata in Cancelleria l’11 gennaio 2007;
• ordinanza del Tar della Toscana n. 733/2007 del 6
settembre 2007, depositata in Segreteria il 7 settembre 2007;
• ordinanza del Tar delle Marche n. 521/2007 del 18
settembre 2007;
• sentenza del
Tar della Lombardia n. 291/2008 del 5-19 dicembre 2007 depositata in Segreteria
il 7 febbraio 2008;
• sentenza del Tribunale di Lucca n. 174/2008 del 13
ottobre 2007, depositata in Cancelleria il 1° febbraio 2008;
• ordinanza del Tar della Toscana n. 43/2008 del 16
gennaio 2008, depositata in Segreteria il 17 gennaio 2008;
• ordinanza del Tar della Sicilia, sede di Palermo, n.
372/2008 del 1° aprile 2008, depositata in Cancelleria il 2 aprile 2008;
• ordinanza del
Tar della Lombardia n. 602/2008 del 16 aprile 2008, depositata in segreteria
nella stessa data.
Di particolare rilievo la recente ordinanza del
Consiglio di Stato n. 2494/2008 del 16 maggio 2008 che ha respinto il ricorso
presentato dal Comune di Firenze contro la sopra citata ordinanza del Tar della
Toscana n. 43/2008.
Occorre, altresì, osservare che il Garante per la
riservatezza dei dati personali nella Newsletter n. 276 del 12 maggio 2006 ha precisato che i Comuni non possono
richiedere dati di alcun genere ai congiunti degli assistiti, qualora si tratti
di ultrasessantacinquenni non autosufficienti o di soggetti con handicap in
situazione di gravità (39).
Fra le iniziative più deplorevoli, vi sono quelle dei
Comuni che, ignorando scientemente le leggi vigenti, impongono ai congiunti
degli adulti e degli anziani cronici non autosufficienti (e dei soggetti con
gravi handicap intellettivi) di sottoscrivere l’impegno al versamento dell’intera
quota alberghiera, quale condizione sine
qua non per ammettere il soggetto nella struttura residenziale (40).
Questo preoccupante abuso dovrebbe in primo luogo
essere denunciato (che cosa ne pensano i responsabili dell’Osservatorio
nazionale sull’attuazione della legge 328/2000?) fornendo la consulenza per le
facili contromisure (disdetta delle impegnative assunte nei confronti dei
Comuni e richieste agli stessi Comuni di assumere gli oneri economici a loro
carico come stabilito dalla normativa in vigore, ecc.) (41).
Fra le illegalità praticate da molti Comuni, c’è anche
quella di non considerare le disposizioni relative agli obblighi alimentari nei
confronti del coniuge. Ad esempio, nel caso del ricovero del marito, unico
percettore di reddito, non vengono applicati gli articoli 143, 147 e 433 del
Codice civile in base ai quali questi è tenuto a corrispondere gli alimenti
alla moglie, il cui importo va calcolato in modo da garantire la conservazione
del tenore di vita precedente al ricovero (42).
Occorre infine rilevare che vi sono alcune Regioni che
non rispettano l’articolo 54 della legge 289/2002 e il decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001, in base ai quali la quota
sanitaria relativa al ricovero presso Rsa di individui non autosufficienti non
può essere inferiore al 50% della retta totale.
(1) Ci riferiamo in particolare:
a) al regio decreto 6535/1889 in base al quale erano
poste a carico dei Comuni le spese di ricovero degli inabili al lavoro e cioè
delle «persone dell’uno e dell’altro
sesso, le quali per infermità cronica o per insanabili difetti fisici o
intellettuali non possono procacciarsi il modo di sussistenza»;
b) agli ancora
vigenti articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931 che, richiamandosi al sopra
citato regio decreto, attribuiscono alla pubblica sicurezza il compito di
affidare ai Comuni gli inabili al lavoro privi dei mezzi necessari per vivere,
affinché li assistano presso istituti di ricovero pubblici o privati.
(2) In base alla
legge 6972/1890 i beni ed i redditi delle Ipab dovevano e devono essere
destinati esclusivamente a favore delle persone e dei nuclei familiari in gravi
condizioni socio-economiche. Inoltre, al fine di evitare la loro dissoluzione,
i patrimoni mobiliari e immobiliari non potevano e non possono essere
utilizzati per la copertura delle spese di gestione.
(3) La legge
328/2000 ha sottratto alla destinazione della fascia più debole della
popolazione patrimoni delle Ipab per un ammontare di 107-140 mila miliardi di
lire. Cfr. Maria Grazia Breda, Donata Micucci e Francesco Santanera, La riforma dell’assistenza e dei servizi
sociali - Analisi della legge 328/2000 e proposte alternative, Utet
Libreria. Nel volume è contenuta (cfr. l’appendice IV) una breve storia delle
Ipab. Per un approfondimento in materia si veda il volume di Mario Tortello e
Francesco Santanera, L’assistenza
espropriata - I tentativi di salvataggio delle Ipab e la riforma
dell’assistenza, Nuova Guaraldi Editrice, Firenze.
(4) A nulla sono
serviti i seguenti editoriali pubblicati su Prospettive
assistenziali con lo scopo di richiamare l’attenzione non solo dei parlamentari, ma anche dei centri di
ricerca, delle organizzazioni sindacali e dei gruppi sociali sulla necessità di
assicurare diritti esigibili ai soggetti più bisognosi e più deboli, nonché
sull’esigenza di evitare la sottrazione ai poveri delle ingenti risorse delle
Ipab: “La riforma dell’assistenza all’esame della Camera dei Deputati: una
proposta di legge gravemente immorale”, n. 127, 1999; “Il testo di legge sui
servizi sociali calpesta le esigenze dei più deboli e ignora la prevenzione
dell’emarginazione”, n. 128, 1999; “Cinico no della Camera dei Deputati e del
Governo al riconoscimento del diritto esigibile alle prestazioni di assistenza
sociale indispensabili per le persone più deboli”, n. 129, 2000;
“Scandalosamente iniquo il testo sui servizi sociali approvato dalla Camera dei
Deputati: tolti ai più deboli diritti e risorse. Un appello ai Senatori, al
Governo e al volontariato”, n. 130, 2000; “Abbondano le notizie false sul testo
di riforma dell’assistenza e dei servizi sociali”, n. 131, 2000; “La legge
328/2000, sui servizi sociali è iniqua e truffaldina”, n. 132, 2000.
(5) Per i nati
nel matrimonio la competenza era (ed è) dei Comuni. La discriminazione
dell’assistenza ai nati fuori del matrimonio può essere conservata dalla
Regioni che, ai sensi del sopra citato 5° comma dell’articolo 8 della legge
328/2000, possono tuttora mantenere dette competenze alle Province o
trasferirle ai Comuni o, addirittura, ad altri enti locali (ad esempio a
Consorzi fra Comuni e Province).
(6) Così
definiti dal regio decreto 383/1934.
(7) Da rimarcare
che anche nell’articolo di Maurizio Giordano non era stato fatto cenno alcuno
alla discriminazione fra l’assistenza ai nati nel e fuori dal matrimonio,
nonché alla dispersione dei patrimoni delle Ipab.
(8) Come abbiamo
già ricordato, nella seduta del 18 gennaio 2000, il Ministro Livia Turco,
prendendo la parola a nome del Governo aveva chiesto (e purtroppo ottenuto), dai
Deputati di respingere l’emendamento, presentato dagli on. Novelli e Valpiana, da noi riportato in precedenza, che
prevedeva diritti esigibili per le persone in gravi difficoltà.
(9) Cfr. Avvenire del 25 marzo 2000.
(10) Cfr. Prospettive sociali e sanitarie, n.
11/12, 2008. Nell’articolo è riprodotto il primo capitolo del volume Diritti sociali e livelli delle prestazioni,
edito da I quid, che raccoglie la ricerca promossa
dall’Osservatorio nazionale sull’attuazione della legge 328/2000. Detto
Osservatorio è costituito da: Anci (Associazione nazionale Comuni italiani),
Cgil, Cisl Uil, Legautonomie, Forum del terzo settore e Upi (Unione Province
italiane).
(11) Il secondo
comma dell’articolo 117 della Costituzione stabilisce quanto segue: «Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle
seguenti materie: … m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il
territorio nazionale». Dunque, ad eccezione della determinazione di detti
livelli nazionali, le Regioni hanno competenza esclusiva in materia di
assistenza.
(12) La mancata
definizione dei diritti esigibili nella legge 328/2000 ha causato gravi e
spesso irreparabili conseguenze negative a decine di migliaia di persone e di
nuclei familiari in condizioni di disagio socio-economico.
(13) Dopo aver
richiamato il primo comma dell’articolo 38 della Costituzione («Ogni cittadino inabile al lavoro e
sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e
all’assistenza sociale»), Ranci Ortigosa afferma che «i livelli essenziali si collocano entro politiche e interventi sociali
a carattere universalistico, rivolti cioè a tutta la popolazione che presenta
quel bisogno e la necessità di quell’intervento, a prescindere dalle
caratteristiche, storie, collocazioni personali e lavorative dei destinatari
…».
(14) Il Csa e Prospettive assistenziali avevano preso
una chiara e ferma posizione in merito al decreto legislativo 112/1998. Si veda
l’editoriale del n. 122, 1998 “Il Governo nega le esigenze e i diritti dei
cittadini più deboli: occorre salvare il salvabile a livello parlamentare e
aprire vertenze nei confronti delle Regioni e dei Comuni”.
(15) Analoghe
considerazioni valgono per gli asili nido (la competenza non dovrebbe essere
esercitata dal settore socio-assistenziale ma dall’istruzione, come ha anche
affermato la Corte costituzionale con la sentenza n. 370 del 17 dicembre 2003
commentata nell’editoriale del n. 148, 2004 di questa rivista), per la
preparazione al lavoro dei soggetti con handicap (materia da assegnare alla
formazione professionale), per il sostegno anche economico ai disoccupati e
agli inoccupati (attività da conferire al settore lavoro). Prospettive assistenziali, fin dal secondo numero uscito nel 1968,
si è sempre adoperata affinché le competenze del settore socio-assistenziale
fossero quelle indicate dal primo comma dell’articolo 38 della Costituzione
(riportato nella prima parte di questo editoriale). Per un approfondimento, si
veda l’articolo di Mauro Perino “Per una corretta ridefinizione del ruolo nel
settore socio-assistenziale”, Prospettive
assistenziali, n. 154, 2006.
(16)
Nell’articolo in oggetto, Emanuele Ranci Ortigosa afferma giustamente che «nessuna norma impedisce a Regioni e Comuni
di disciplinare e realizzare loro livelli essenziali, che non avranno
ovviamente forza e gli effetti di quelli previsti dalla Costituzione, ma solo
quelli degli atti normativi con cui vengono applicati». Purtroppo solo la
legge della Regione Piemonte n. 1/2004 prevede diritti esigibili, ma condiziona
le relative prestazioni alle «modalità
previste dall’ente gestore». Nonostante le numerose iniziative assunte dal
Csa, finora hanno recepito la legge suddetta solo due consorzi socio-assistenziali (quello riguardante i Comuni di
Collegno e Grugliasco e quello comprendente i Comuni di Beinasco, Bruino,
Orbassano, Piossasco, Rivalta e volvera).
(17) Ranci
Ortigosa e l’Osservatorio nazionale hanno scelto la denominazione Livelli
essenziali delle prestazioni sociali (Leps) favorendo in questo modo la
deleteria confusione fra gli interventi sociali (casa, scuola, sanità, ecc.) e
quelli socio-assistenziali definiti dal già richiamato primo comma
dell’articolo 38 della Costituzione.
(18) Il secondo
comma dell’articolo 22 della legge 328/2000 stabilisce che restano ferme «le competenze del Servizio sanitario
nazionale in materia di prevenzione, cura e riabilitazione, nonché le
disposizioni in materia di integrazione socio-sanitaria di cui al decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502», ma è noto che detta norma viene
quasi sempre violata per quanto concerne gli adulti e gli anziani cronici non
autosufficienti, i malati di Alzheimer, nonché, soprattutto al compimento del
sessantacinquesimo anno di età, nei confronti della stragrande maggioranza
delle persone colpite da patologie psichiatriche.
(19) La
prioritaria competenza dei settori della sanità, della casa, della scuola e
degli altri settori sociali appare molto evidente esaminando i vari capitoli
del citato volume Diritti sociali e
livelli essenziali delle prestazioni con particolare riguardo ai capitoli
relativi alle politiche di contrasto della povertà, ai servizi essenziali per
la prima infanzia e alle prestazioni per le persone non autosufficienti.
Tuttavia questa scelta non è espressa dagli Autori.
(20) Per quanto
concerne i livelli essenziali, siamo lieti di prendere atto che Emanuele Ranci
Ortigosa e l’Osservatorio nazionale hanno assunto come riferimento per la loro
definizione i criteri (gli aventi diritto, i soggetti che devono fornire il
servizio, il contenuto degli interventi, le modalità organizzative, il luogo di
erogazione dei servizi e di presentazione delle relative istanze, i tempi ed i
costi) individuati nel volume A scuola di
diritti - Come difendersi da inadempienze e abusi della burocrazia
socio-sanitaria, di Roberto Carapelle, Giuseppe D’Angelo e Francesco
Santanera, edito dall’Utet Libreria nel 2005, anche se questa fonte non viene
citata.
(21) Cfr.
Francesco Santanera e Maria Grazia Breda, Come
difendere i diritti degli anziani malati, Utet Libreria.
(22) Il
documento è stato integralmente pubblicato sul n. 159, 2007 di Prospettive assistenziali.
(23) Analoga
dimenticanza è riscontrabile nel più volte citato articolo di Emanuele Ranci
Ortigosa.
(24) Cfr. il sito
www.fondazionepromozionesociale.it
(25) Come
risulta anche dalla petizione in corso, il Csa sostiene da anni la priorità
delle cure domiciliari. Ad esempio il servizio di ospedalizzazione a domicilio,
funzionante ininterrottamente dal 1985 e che finora ha provveduto alla cura di
oltre 10mila malati acuti e cronici, è stato istituito a seguito di iniziative
congiunte assunte dalla facoltà
di geriatria dell’Università di Torino e dal Csa.
(26) Tenuto
conto delle condizioni evolutive dei minori, a nostro avviso, appare
sconsigliabile l’introduzione di criteri finalizzati al riconoscimento della
loro non autosufficienza. Occorrerebbe, invece, prevedere, se necessario con
appositi provvedimenti, norme specifiche volte a favorire il loro sviluppo,
riconoscendone i relativi diritti esigibili attualmente spesso inesistenti. In
particolare è urgente la definizione dei diritti esigibili diretti ad
assicurare la crescita in una famiglia, prioritariamente in quella di origine,
oppure, a seconda dei casi, in un nucleo adottivo o affidatario.
(27) Si tenga
presente che la legge 12 ottobre 2006 n. 296 (Finanziaria 2007) prevede
all’articolo 1, comma 1264, l’istituzione del “Fondo per le non
autosufficienze” (al plurale) e non, come comunemente si ritiene, il “Fondo per
la non autosufficienza” (al singolare).
(28) Cfr.
l’articolo di Gianni Pellis “L’assistenza personale autogestita: una realtà
innovativa per le persone con handicap fisico molto grave”, Prospettive assistenziali n. 137, 2002.
(29) La
posizione del Csa in merito alle cure sanitarie domiciliari è precisata, fra i
numerosi altri articoli, nell’editoriale del n. 161, 2008 di questa rivista.
(30) Poiché,
come segnalato in precedenza, in base agli ancora vigenti articoli 154 e 155
del regio decreto 773/1931 i Comuni sono obbligati a provvedere al ricovero in
istituto dei soggetti inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per
vivere, detti enti dovevano fin dal 1934 e devono tuttora assicurare i
necessari finanziamenti, che attualmente dovrebbero essere destinati alle
alternative al ricovero e, occorrendo, all’accoglienza presso comunità alloggio
di 8-10 posti al massimo. La richiesta avanzata dalle Regioni e dai Comuni allo
Stato per l’erogazione di fondi specifici per lo svolgimento di detta attività
comprovano il pluridecennale mancato rispetto della legge da parte di quasi
tutti i Comuni.
(31) Il diritto
dei volontari al rimborso delle spese sostenute è previsto anche dalla legge
266/1991.
(32)
Nell’articolo di Mauro Perino, Direttore del Cisap, Consorzio intercomunale dei
servizi alla persona di Collegno e Grugliasco “Volontariato intrafamiliare:
dalla sperimentazione alla regolamentazione definitiva”, Prospettive assistenziali, n. 144, 2003, viene precisato che
l’affido intrafamiliare di cinque soggetti con handicap gravissimo «è risultato conveniente – anche dal punto di
vista economico – fin dal primo anno di sperimentazione».
(33) in Piemonte numerose sono le Rsa
gestite direttamente dalle Asl.
(34) L’importo
della somma stanziata dimostra che le regioni
sono sicuramente in grado di sostenere gli oneri dei Comuni riguardanti le
somme attualmente pretese – illegalmente – dai congiunti degli
ultrasessantacinquenni non autosufficienti ricoverati presso Rsa. Il Csa si sta
adoperando per ottenere uno stanziamento (prevedibile in 1-2 milioni di euro
all’anno) per un analogo intervento riguardante i parenti degli
infrasessantacinquenni malati cronici non autosufficienti ricoverati presso Rsa
ed i congiunti dei soggetti assistiti con handicap in situazione di gravità..
(35) Cfr.
l’articolo “Inquietanti le delibere delle Regioni Emilia-Romagna e Toscana
sulle non autosufficienze”, Prospettive
assistenziali, n. 162, 2008.
(36) Si osservi
che nelle prime pagine del più volte citato articolo “Quali livelli essenziali
per i non autosufficienti?”, Crisiano Gori cita per oltre trenta volte la
parola “assistenza” e quasi mai l’espressione “sanità”. A nostro avviso anche i
fondi per la non autosufficienza delle Regioni Emilia-Romagna e Toscana hanno
lo scopo di creare le premesse per trasferire all’assistenza il maggior numero
possibile di competenze riguardanti le persone non autosufficienti.
(37) Cfr. Maria
Grazia Breda “Come affrontare in modo efficace le questioni relative al ‘Dopo
di noi’, Prospettive assistenziali, n.
161, 2008.
(38) Le sentenze
finora emanate dalla Corte di Cassazione in cui è richiamata la legge 1580/1931
riguardano questioni antecedenti l’entrata in vigore della legge 328/2000. Per
quanto riguarda i provvedimenti assunti da alcuni Tribunali, in cui i congiunti
sono stati condannati al versamento dell’intera quota alberghiera, va tenuto
conto che riguardavano persone che avevano sottoscritto una impegnativa di
pagamento, che detto atto non era stato tempestivamente disdetto e che non era
stata avanzata una puntuale richiesta al Comune di provvedere alla
corresponsione della quota di sua competenza.
(39) Come viene
segnalato in questo numero di Prospettive
assistenziali nella rubrica “Specchio nero”, è stato presentato in data 17
giugno 2008 un esposto alla Procura di Firenze in merito alla inosservanza da
parte di detto Comune delle richieste avanzate dal Garante per la riservatezza
dei dati personali.
(40) L’adesione
acritica di numerosi assistenti sociali alle illegittime richieste delle
istituzioni è un elemento che dovrebbe essere preso in considerazione da coloro
che si occupano della formazione degli operatori e della loro tutela sindacale
e morale.
(41)
Cfr. il sito www.fondazionepromozionesociale.it.