Prospettive assistenziali n. 164 ottobre-dicembre 2008
CONSIDERAZIONI SULLA RISOLUZIONE DEL CONSIGLIO D’EUROPA
RIGUARDANTE L’ABBANDONO DEI MINORI
In data 27 giugno 2008 l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha approvato una risoluzione riguardante l’abbandono dei neonati. In allegato ne riportiamo il testo ufficiale in francese e la nostra traduzione.
Si tratta di un atto di indirizzo che, per la prima volta, affronta il tema a livello comunitario.
Concordiamo sull’assoluta importanza dell’affermazione secondo cui «l’Assemblea considera che ogni Stato membro del Consiglio d’Europa mancherebbe ai suoi obblighi se non adottasse una politica che assicuri ad ogni bambino, indipendentemente dalle sue origini e dal luogo in cui vive, la possibilità di sviluppare in tutta la misura del possibile le sue potenzialità».
Di estremo valore anche i principi in base ai quali «gli Stati sono obbligati ad assicurare a ogni bambino un ambiente familiare stabile e rassicurante sia nella sua famiglia d’origine, sia in un nucleo affidatario o adottivo» e «nessun bambino deve subire, salvo situazioni non modificabili, alcuna conseguenza negativa nelle strutture educative, sanitarie e sociali messe a sua disposizione».
Allo scopo di sottolineare la validità delle norme sopra riportate, la risoluzione precisa che «il mancato rispetto degli obblighi di cui sopra costituisce un fatto indegno per gli Stati inadempienti e non consente la prosecuzione della loro appartenenza al Consiglio d’Europa».
L’uso improprio del termine abbandono
Nei riguardi della situazione dei neonati, la risoluzione risente fortemente della normativa giuridica presente nella stragrande maggioranza dei Paesi europei in base alla quale tutte le donne sono costrette a riconoscere i loro nati.
A nostro avviso, soprattutto a causa delle nefaste conseguenze sui bambini indesiderati, si tratta di una imposizione assolutamente sbagliata in quanto parte dal principio che le donne debbano obbligatoriamente accettare e amare i loro nati ed essere in grado di provvedere adeguatamente alla loro educazione.
Sono note le conseguenze negative dei riconoscimenti imposti: spesso i bambini subiscono maltrattamenti psicologici e fisici, nonché abusi e ripetuti ricoveri presso istituti a carattere di internato. Ne consegue che, anche nei casi di totale privazione di cure da parte dei loro congiunti d’origine, l’adozione di questi minori risulta sovente problematica a causa delle sofferenze da essi patite.
Da parte nostra continuiamo a ritenere che le donne in difficoltà, comprese quelle sposate (1), dovrebbero avere il diritto sancito da apposite leggi (2), di riconoscere o non riconoscere i propri nati (3).
Ovviamente, come prevedono le disposizioni vigenti nel nostro Paese, alle donne dovrebbe essere garantita non solo una adeguata informazione sui loro diritti, ma anche un effettivo sostegno al fine di consentire loro di decidere con la massima responsabilizzazione possibile se riconoscere o non riconoscere il loro nato (4). Infine è indispensabile l’approvazione di norme volte a garantire il segreto del parto (5).
La facoltà di non riconoscere i propri nati è anche una disposizione positiva per le donne che non ne accettano la nascita, ma non intendono abortire. Al riguardo è contraddittoria la posizione di coloro che sono favorevoli all’aborto ma contrastano il non riconoscimento.
Come abbiamo già rilevato, il bambino che non viene riconosciuto alla nascita non è abbandonato, ma è affidato al personale della struttura in cui è avvenuto il parto affinché, com’è stabilito dalle norme vigenti nel nostro Paese, provveda a segnalare la situazione alla Procura della Repubblica per l’avvio del procedimento di adottabilità. Nel nostro Paese sono circa 350 ogni anno i bambini non riconosciuti alla nascita. Essi in brevissimo tempo sono inseriti presso famiglie adottive, salvo che si tratti di soggetti con gravissimi handicap invalidanti.
Il mercato dei bambini
In Italia le situazioni in cui il bambino è oggetto di mercato sono assolutamente eccezionali, facilmente individuabili e penalmente perseguite.
Infatti condizione sine qua non per l’adozione legittimante è la dichiarazione di adottabilità che viene pronunciata dal Tribunale per i minorenni nei casi in cui è stato accertato che i minori sono «privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio» (articolo 8 della legge n. 184/1983).
In molti Paesi europei, invece, non esistendo la dichiarazione di adottabilità, l’adozione può essere disposta semplicemente con l’assenso del o dei genitori esercenti i poteri parentali.
Ne conseguono – evidentemente – ampie possibilità di mercato dei minori, specialmente quelli appartenenti a nuclei familiari in gravi condizioni di disagio socio-economico.
Poiché, com’è evidente, sono notevoli le difficoltà che si incontrano per accertare se il consenso all’adozione è stato dato a seguito dell’esborso di denaro, i trafficanti di bambini hanno ampi spazi di azione.
Ne consegue che nei Paesi in cui vige l’adozione su basi contrattuali, fondate cioè sul consenso degli esercenti i poteri parentali, possono essere adottati anche minori che hanno rapporti affettivi/educativi con il o i propri genitori e/o con altri congiunti.
Invece durante il procedimento di adottabilità sono partecipi sullo stesso piano, ivi compresa la possibilità di presentazione di ricorsi alle Corti di appello e di Cassazione, non solo i genitori ma anche gli altri parenti che si sono occupati del minore.
In Italia la maternità e la paternità sono considerate un legame derivante dall’esercizio dei doveri concernenti l’allevamento, l’educazione e l’istruzione. Se detti doveri non sono adempiuti, i pubblici ufficiali, gli operatori dei servizi sociali e il personale scolastico sono tenuti a segnalare le situazioni all’autorità giudiziaria, la quale provvede a compiere gli opportuni accertamenti sulle condizioni di vita dei fanciulli e, se ne accerta le condizioni di privazione di assistenza morale e materiale, ne dichiara lo stato di adottabilità.
Nei Paesi in cui l’adozione si fonda sul consenso da parte del o dei genitori, i bambini sono di fatto considerati una sorta di proprietà degli stessi genitori, che addirittura hanno la possibilità di cederli in adozione escludendo dal relativo procedimento tutti gli altri componenti del nucleo familiare (fratelli, sorelle, nonni, zii, ecc.). Si tratta di una sconcertante concezione di famiglia che consente ad alcuni soggetti di annullare ogni rapporto con gli altri componenti del nucleo.
Dunque, nei Paesi in cui vige l’adozione contrattuale, il mercato dei bambini può essere eliminato solamente se ne vengono rimosse le cause. in Italia ciò è avvenuto mediante la preventiva dichiarazione di adottabilità, che si fonda sull’effettivo riconoscimento dell’interesse prevalente dei minori.
L’interesse prevalente dei minori
Anche la risoluzione in oggetto, come tutti i documenti sull’adozione, fa riferimento all’interesse prevalente dei minori. Si tratta però di valutare in modo oggettivo quali sono le norme di legge e gli strumenti messi in atto per il raggiungimento di detto obiettivo.
A nostro avviso il riconoscimento, anche sotto il profilo giuridico, della preminenza dei legami affettivi e reciprocamente formativi fra genitori e figli procreati o adottati, costituisce una giusta valorizzazione non solo delle famiglie adottive ma anche di quelle biologiche.
Inoltre non si può certamente affermare che le disposizioni in materia di adozione rispondono all’interesse prevalente dei minori, qualora le relative norme siano quelle utilizzate per l’adozione di fanciulli circondati dall’affetto del o dei genitori. Infatti in questi casi la facoltà dei genitori di consentire l’adozione dei loro nati può anche non corrispondere all’interesse prevalente dei figli.
Per quanto riguarda l’adozione di maggiorenni è arduo accettarne la legittimità etico-sociale. Infatti superato il periodo evolutivo, con il raggiungimento della maggiore età, l’adozione di detti soggetti non ha più lo scopo di dare una famiglia a coloro che ne sono privi e che soffrono a causa della carenza delle cure affettive materne e paterne. Le uniche motivazioni possono essere di tornaconto personale (assumere un cognome illustre) o economica (acquisire il diritto alla successione con riduzione delle relative imposte) (6).
Inoltre non ci sembra eticamente ammissibile che ai genitori di un minore, senza nemmeno interpellare gli altri parenti, sia concesso di affidare i loro figli ad altre persone scelte dagli stessi genitori. Dalle succitate considerazioni emerge a nostro avviso la necessità della soppressione in tutti i Paesi delle norme riguardanti l’adozione delle persone maggiorenni.
Qualora l’opportunità di detta abrogazione non venisse accolta occorrerebbe individuare norme specifiche che tengano conto delle sostanziali differenze, anche etico-sociali, dell’adozione degli adulti rispetto all’adozione dei minori senza famiglia.
Per quanto riguarda l’Italia, come avevamo rilevato nello scorso numero di questa rivista (7), la dichiarazione di adottabilità è e deve rimanere il pilastro portante dell’adozione legittimante in quanto la base imprescindibile dell’adozione è l’eliminazione della sofferenza dei bambini causata dalla privazione di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi.
Concetto di filiazione, di maternità e di paternità
In merito alla nostra concezione sulla filiazione e sulle sue basi affettive/educative, ripetiamo ciò che da tempo sosteniamo e cioè l’adozione di un bambino è equiparabile all’innesto di un pesco su un susino o su un mandorlo. I frutti belli o brutti, buoni o cattivi, sono sempre e solo pesche, allo stesso modo di quel che avviene quando le radici sono di pesco (8).
Conoscenza delle proprie origini
Nella risoluzione del Consiglio d’Europa viene affermato che la conoscenza delle proprie origini è un «diritto costitutivo dell’essere umano e vitale per il suo sviluppo».
Le condizioni di vita di migliaia di italiani adulti, adottati in tenera età non essendo stati riconosciuti sono del tutto comparabili con quelle delle persone cresciute nelle loro famiglie d’origine, dimostrano che le succitate affermazioni non sono confermate dalla realtà dei fatti.
è ovvio che gli adottati, come ripetiamo da molti anni, devono essere informati tempestivamente della loro situazione di figli adottivi, come d’altronde prevede il primo comma dell’articolo 28 della legge 184/1983. D’altra parte la garanzia del segreto del parto è lo strumento fondamentale per evitare gli infanticidi e gli abbandoni che mettono in pericolo la vita dei neonati.
Allegato
risoluzione del 27 giugno 2008 n. 1624 del consiglio d’europa “prevenire la prima delle violenze subite dal bambino: l’abbandono alla nascita”
1. L’Assemblée parlementaire est consciente que l’abandon d’enfants, notamment de nouveau-nés, a toujours existé et qu’il existera toujours. Il y aura toujours des mères en détresse qui estimeront avoir de bonnes raisons d’abandonner leur enfant à la naissance (déni de grossesse, grossesse hors mariage, grossesse précoce, pauvreté, VIH/sida, etc.). Il y a eu également par le passé dans certains Etats de l’Europe orientale des politiques qui ont «institutionnalisé» l’abandon d’enfants ou incité les parents en difficulté à remettre leurs enfants à l’Etat; ces politiques ont laissé des traces dans les mentalités des populations et dans celles des personnels des maternités.
2. L’Assemblée est toutefois préoccupée car aujourd’hui, malheureusement, le phénomène de l’abandon d’enfants est loin de se tarir. Les difficultés économiques, la pauvreté et le VIH/sida font qu’un fort taux d’abandons d’enfants à la naissance perdure dans certains des Etats de l’Europe centrale et orientale, et que ce phénomène réapparaît dans les Etats d’Europe occidentale, même s’il n’est certainement pas d’une ampleur comparable.
3. Elle note d’ailleurs que les données sur le sujet sont rares; pour répondre à ce défi par des mesures pertinentes, il importerait de quantifier plus précisément le problème et de disposer de données chiffrées, notamment une répartition des abandons par sexe. Il convient également de mieux connaître et de définir avec certitude le profil type de la mère qui abandonne son enfant. En Europe occidentale, il semble s’agir le plus souvent de très jeunes femmes sans autonomie (soit d’origine étrangère, migrantes irrégulières, soit prostituées).
4. L’Assemblée note que l’adoption est devenue un marché et que le manque de bébés adoptables en Occident apparaît comme un facteur aggravant. L’adoption est étroitement liée à la problématique de l’abandon, tout comme le trafic d’enfants. Un reproche souvent avancé par les organisations non gouvernementales est de ne pas suffisamment informer les mères en détresse sur les possibilités qui leur sont offertes et de profiter de leur faiblesse pour favoriser en pratique l’abandon des nouveau-nés.
5. L’abandon d’enfants à la naissance est une question complexe, qui met aussi en jeu des droits autres que ceux de la mère: les droits de l’enfant et les droits du père. Il est impossible aujourd’hui d’ignorer les droits de l’enfant, en particulier le droit de l’enfant de vivre dans une famille et le droit de connaître ses origines; il est tout aussi difficile de passer sous silence les droits des pères.
6. L’Assemblée constate que, en Europe et dans le monde entier, on assiste au retour controversé des tours d’abandon en vigueur en Europe au Moyen Age (aujourd’hui nommées boîtes à bébés). Dans de nombreux pays, l’abandon d’enfants est considéré comme un crime et ce système est alors perçu par certains comme une incitation à commettre un crime et à déresponsabiliser les mères. Les tenants du système invoquent pour arguments en faveur de sa généralisation la baisse du nombre d’avortements, la prévention des infanticides, de la maltraitance, de l’abandon des bébés dans les lieux publics et la certitude de voir les enfants adoptés.
7. Pour l’Assemblée, l’abandon de nouveau-nés pose nettement la question de l’accessibilité des femmes et des hommes – et notamment des migrant(e)s – aux droits sexuels et aux services de santé reproductive. Même lorsque l’interruption volontaire de grossesse est permise, elle reste soumise à de nombreuses formalités administratives qui sont autant d’obstacles pour bien des femmes en détresse.
8. L’Assemblée réaffirme sa position en faveur de la désinstitutionnalisation des enfants abandonnés et de la priorité à donner aux formes alternatives et familiales de prise en charge de ces enfants. Elle réaffirme également que l’adoption nationale doit primer sur l’adoption internationale.
9. L’Assemblée invite les Etats membres: 9.1. à articuler leur politique familiale autour d’un principe intangible et prioritaire: le respect des droits de l’enfant, en particulier le droit de l’enfant de vivre dans sa famille et son droit de connaître ses origines, droit constitutif de l’être humain et vital pour son développement; 9.2. à prévoir un soutien pour les femmes enceintes, les jeunes mères et les jeunes pères, ce qui implique notamment un suivi médico-social de la grossesse, la protection contre le virus VIH/sida et des mesures pour prévenir la transmission mère/enfant, l’accompagnement de l’accouchement, la non-séparation de l’enfant et de la mère lors de la délivrance, et le suivi médico-social postnatal de la mère et du père ainsi que de l’enfant; 9.3. à prendre en compte de façon appropriée la charge financière que représente la venue d’un enfant pour les familles ou les mères célibataires; 9.4. à reconnaître le droit sans réserve des femmes au libre choix de la maternité, ce qui signifie un accès légalisé et facilité aux droits sexuels et aux services de santé reproductive; 9.5. et à porter une attention particulière aux groupes de jeunes filles et femmes particulièrement vulnérables comme les femmes migrantes, les femmes porteuses du VIH/sida ou les femmes originaires de groupes minoritaires.
10. Les Etats membres sont également invités à élaborer une politique active contre l’abandon des nouveau-nés: 10.1. qui bannisse toute pression sur la mère et toute mesure incitative à l’abandon d’enfant de la part du personnel médical et paramédical ou des autorités gouvernementales; 10.2. qui prévienne l’abandon sauvage, qui met la vie du nouveau-né en danger, par des mesures appropriées comme le développement de structures d’accueil accessibles; 10.3. qui assure la prévention des maternités précoces et non désirées, notamment par l’information et l’éducation sexuelle des filles et des garçons à l’école; 10.4. qui assure une meilleure information des mères, en particulier celles appartenant aux groupes vulnérables, ainsi que des pères, sur toutes les possibilités offertes pour les aider, notamment financières pour faire face à la charge économique supplémentaire que représente l’enfant; 10.5. et qui aide à la création et au développement de lieux d’accueil et d’hébergement temporaire du couple mère/enfant.
11. Les Etats membres du Conseil de l’Europe doivent inciter les mères à laisser leur identité, même si par ailleurs il convient de développer des formes d’accouchement protégé, dans la discrétion, au bénéfice de la mère. L’enfant ne doit pas être privé de son droit de connaître ses origines et ce avant même sa majorité.
12. Pour lutter contre le trafic d’enfants nouveau-nés, l’Assemblée recommande que l’enregistrement de tous les enfants à la naissance soit une obligation totalement gratuite pour les parents; des mesures incitatives pour une telle déclaration peuvent être prévues comme l’octroi de primes à la naissance.
13. L’Assemblée demande aux Etats membres de prévoir des procédures transparentes d’abandon des nouveau-nés aux fins d’adoption nationale et internationale; des délais raisonnables doivent permettre à la mère de se rétracter si elle le souhaite et, dans toute la mesure du possible, le consentement du père ne doit pas être négligé; le recours à l’adoption nationale ou internationale ne doit pas priver l’enfant d’accéder à la connaissance de ses origines ni le lui interdire.
14. Enfin, l’Assemblée considère qu’il y aurait manquement à ses obligations pour tout Etat membre du Conseil de l’Europe qui n’adopterait pas une politique donnant à chaque enfant – quels que soient son origine et le lieu où il vit – l’opportunité de développer au mieux son potentiel. Chaque Etat doit avoir l’obligation d’assurer en permanence un environnement familial sécurisé à chaque enfant, que ce soit dans sa propre famille, sa famille d’accueil ou sa famille d’adoption. Aucun enfant ne doit sans nécessité subir de préjudice dans les structures éducatives, sanitaires et sociales disponibles. Un manquement à ces obligations serait indigne de tout Etat et du maintien de sa qualité de membre du Conseil de l’Europe. Le Conseil de l’Europe, dans son ensemble, se doit de s’assurer que chaque Etat assume ses obligations vis-à-vis des enfants et des rapports réguliers doivent être présentés à l’Assemblée quant à leur respect par les Etats membres.
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1. L’Assemblea parlamentare è consapevole che l’abbandono dei bambini, e in modo particolare dei neonati, è sempre esistito e sempre esisterà. Ci saranno sempre mamme in difficoltà che riterranno di avere validi motivi per abbandonare i loro nati alla nascita (negazione della gravidanza, gravidanze fuori dal matrimonio, gravidanze precoci, povertà, Hiv/Aids, ecc.). Nel passato in alcuni Paesi dell’Europa orientale sono state intraprese iniziative che hanno “istituzionalizzato” l’abbandono dei bambini o spinto i genitori in difficoltà ad affidare i loro figli allo Stato. Queste politiche hanno avuto conseguenze sul modo di pensare delle persone e dei professionisti dei servizi di maternità.
2. Tuttavia l’Assemblea è preoccupata dal fatto che il fenomeno dell’abbandono alla nascita disgraziatamente non accenna a diminuire. Le difficoltà economiche, la povertà, il virus Hiv e l’Aids fanno sì che in certi Stati dell’Europa centrale ed orientale continui ad esserci un forte tasso di abbandono dei bambini alla nascita e che questo fenomeno si ripresenti negli Stati dell’ Europa occidentale anche se non con la stessa intensità.
3. D’altro canto l’Assemblea rileva che gli elementi di conoscenza sono scarsi: per rispondere a questa sfida con misure pertinenti sarebbe importante quantificare in modo più preciso il problema e avere a disposizione dati numerici, in particolare una ripartizione per sesso degli abbandoni. Sarebbe altresì necessario conoscere e definire meglio il profilo tipo della madre che abbandona il bambino. In Europa occidentale sembra si tratti per lo più di giovanissime senza autonomia (straniere, immigrate irregolari e prostitute).
4. L’Assemblea rileva che l’adozione è diventata un mercato e che la scarsità di neonati adottabili in Occidente peggiora ulteriormente la situazione. L’adozione è strettamente legata alle problematiche relative all’abbandono e così pure le questioni concernenti il traffico di fanciulli. Un rimprovero spesso espresso dalle organizzazioni non governative riguarda la carenza di informazione alle madri in difficoltà sulle possibilità loro offerte e il fatto che si approfitta della loro debolezza per favorire l’abbandono dei neonati.
5. L’abbandono dei bambini alla nascita è una questione complessa, che coinvolge altri diritti oltre a quelli della madre: i diritti del bambino e del padre. Oggi non è più possibile ignorare i diritti del bambino, in particolare il diritto del bambino di vivere in una famiglia e di conoscere le sue origini ed è sempre difficile far passare sotto silenzio i diritti dei padri.
6. L’Assemblea constata che in Europa e nel mondo intero si assiste al controverso ritorno delle ruote degli esposti che esistevano nell’Europa medioevale (oggi sono chiamate ruote dei neonati). In numerosi paesi l’abbandono dei neonati è un delitto e quindi questo sistema è considerato da alcuni come incitamento al reato e alla deresponsabilizzazione delle madri. Coloro che sostengono l’installazione delle ruote allo scopo di favorirne la diffusione si appellano alla diminuzione degli aborti, nonché alla prevenzione degli infanticidi, dei maltrattamenti, dell’abbandono dei neonati nei luoghi pubblici e la certezza dell’adozione dei bambini.
7. Per l’Assemblea l’abbandono dei neonati pone chiaramente la questione dell’accesso delle donne e degli uomini – e in particolare delle e degli immigrati – ai diritti sessuali e ai servizi sanitari riguardanti la riproduzione. Anche quando l’interruzione volontaria della gravidanza è permessa, essa comporta numerose formalità burocratiche che sono altrettanti ostacoli per molte donne in situazione di disagio.
8. L’Assemblea riafferma la sua posizione in favore della deistituzionalizzazione dei bambini abbandonati e della priorità da assegnare agli interventi alternativi e familiari di presa in carico di questi fanciulli. Essa riafferma altresì la precedenza dell’adozione nazionale su quella internazionale.
9. L’Assemblea invita gli stati membri: 9.1. a definire le proprie politiche della famiglia sulla base di un principio intangibile e prioritario: il rispetto dei diritti del bambino, in particolare il suo diritto di vivere nella sua famiglia e di conoscere le sue origini, diritto costitutivo dell’essere umano e vitale per il suo sviluppo; 9.2. a prevedere sostegni a favore delle donne incinte, delle giovani madri e dei giovani padri, fatto che riguarda la tutela medico-sociale della gravidanza, la protezione nei confronti dei virus Hiv e Aids e le misure per prevenirne la trasmissione madre/figlio, nonché l’accompagnamento al parto, la non separazione della madre e del bambino al momento del parto, l’assistenza medico-sociale postnatale della madre, del padre e del bambino; 9.3. a tener conto in maniera appropriata dell’impegno economico che un bambino rappresenta per una madre nubile;
9.4. a riconoscere il diritto senza riserve delle donne alla libera scelta della maternità, il che significa accesso legalizzato e facilitato ai diritti sessuali e ai servizi sanitari relativi alla riproduzione; 9.5. a dedicare un’attenzione particolare ai gruppi di ragazze e di donne particolarmente vulnerabili come le emigranti, le portatrici di Hiv/Aids e le donne appartenenti a gruppi minoritari.
10. Gli Stati membri sono pertanto invitati ad elaborare una politica attiva contro l’abbandono dei neonati che: 10.1. escluda ogni pressione sulla madre e ogni misura tendente, da parte del personale medico e paramedico o delle autorità pubbliche, ad indurre la madre all’abbandono del bambino; 10.2. prevenga l’abbandono selvaggio, che mette in pericolo il neonato, con misure adeguate come lo sviluppo di strutture di accoglienza accessibili;
10.3. prevenga le maternità precoci e indesiderate in particolare con l’informazione ed educazione sessuale di ragazzi e ragazze nella scuola; 10.4. assicuri una migliore informazione alle madri, in particolare a quelle appartenenti ai gruppi vulnerabili, nonché ai padri, in merito a tutti i possibili aiuti, in particolare finanziari, previsti per sostenere le spese supplementari rappresentate dalla presenza del bambino; 10.5. provveda alla creazione di luoghi di accoglienza e di alloggi temporanei per la madre e il bam-bino.
11. Gli Stati membri del Consiglio d’Europa devono sollecitare le madri a far conoscere la loro identità, anche se d’altra parte conviene sviluppare, in favore delle madri, modalità protette e riservate riguardanti il parto. Il bambino non deve esser privato del suo diritto di conoscere le proprie origini e questo anche prima della maggiore età.
12. Per lottare contro il traffico dei neonati, l’Assemblea raccomanda che la registrazione della loro nascita sia un obbligo senza oneri per i genitori; inoltre possono essere previste misure atte a favorire dette registrazioni quali la concessione di premi.
13. L’Assemblea chiede agli Stati membri di prevedere procedure trasparenti nel caso dell’abbandono di neonati a scopo di adozione nazionale o internazionale; opportune misure debbono permettere alla madre che lo desideri di ritornare sulla sua decisione; per quanto possibile non bisogna trascurare il consenso del padre; l’adozione nazionale o internazionale non deve impedire al bambino di poter conoscere le sue origini.
14. Infine l’Assemblea considera che ogni Stato membro del Consiglio d’Europa mancherebbe ai suoi obblighi se non adottasse una politica che assicuri ad ogni bambino, indipendentemente dalle sue origini e dal luogo in cui vive, la possibilità di sviluppare in tutta la misura del possibile le sue potenzialità. Gli Stati sono obbligati ad assicurare ad ogni bambino un ambiente familiare stabile e rassicurante sia nella sua famiglia d’origine, sia in un nucleo affidatario o adottivo. Nessun bambino deve subire, salvo situazioni non modificabili, alcuna conseguenza negativa nelle strutture educative, sanitarie e sociali messe a sua disposizione. Il mancato rispetto degli obblighi di cui sopra costituisce un fatto indegno per gli Stati inadempienti e non consente la prosecuzione della loro appartenenza al Consiglio d’Europa. Il Consiglio d’Europa deve assicurarsi che ogni Stato adempia ai suoi obblighi nei confronti dei bambini. Allo scopo devono essere trasmessi all’Assemblea rapporti regolari sul rispetto di detti obblighi da parte degli Stati membri. |
(1) La sentenza della Corte costituzionale n. 171 del 5 maggio 1994 ha disposto che «qualunque donna partoriente, ancorché da elementi informati risulti trattarsi di coniugata, può dichiarare di non volere essere nominata nell’atto di nascita».
(2) La legge italiana è la n. 2838/1928, richiamata dal 5° comma dell’articolo 8 della legge 328/2000. Si veda anche il n. 153 bis, 2006 di Prospettive assistenziali.
(3) La legge n. 184/1983 prevede all’articolo 11 che i genitori che non hanno riconosciuto il bambino possono beneficiare di una sospensione massima di due mesi della procedura di adottabilità. Inoltre «nel caso di non riconoscibilità per difetto di età del genitore, la procedura è rinviata anche d’ufficio fino al compimento del sedicesimo anno di età del genitore naturale (…). Al compimento del sedicesimo anno di età, il genitore può chiedere ulteriore sospensione per due mesi».
(4) Si vedano la legge della Regione Piemonte n. 26/2006 e la delibera della Giunta della stessa Regione Piemonte n. 22-4914 del 18 dicembre 2006.
(5) Ai sensi dell’articolo 93 del decreto legislativo 196/2003 “Codice in materia di protezione dei dati personali”, il certificato di assistenza al parto e la cartella clinica in cui sono contenuti dati personali che rendono identificabile la donna che non ha riconosciuto il proprio nato, possono essere rilasciati solamente decorsi cento anni dalla formazione del documento ed esclusivamente a chi ne ha interesse in conformità delle leggi.
(6) Cfr. Carlo Manera, Eredità senza tasse, La Tipografica Varese.
(7) Cfr. l’articolo “Principi fondamentali e irrinunciabili in materia di adozione e affidamento familiare di minori”, Prospettive assistenziali, n. 163, 2008.
(8) Cfr. gli articoli di Prospettive assistenziali “Perché in materia di adozione abbiamo difeso e difendiamo l’interesse preminente dei minori senza famiglia”, Prospettive assistenziali, n. 127, 1999; “Una conseguenza aberrante della concezione Dna della filiazione, della maternità e della paternità”, n. 129, 2000; “Sorprendente raccomandazione del Comitato dei diritti del fanciullo al Governo italiano in merito ai nati fuori del matrimonio e all’adozione”, n. 147, 2003; Emilia De Rienzo, “L’adozione nei regni animale e vegetale”, n. 150, 2005.