Prospettive assistenziali n. 164 ottobre-dicembre 2008


Interrogativi



L’INSTALLAZIONE DI CULLE/RUOTE PER NEONATI NON FAVORISCE

I PERICOLOSI PARTI FAI DA TE?


Con un comunicato stampa dell’8 ottobre 2008 la Fondazione Francesco Rava di Milano e la Società Kpmg hanno presentato il progetto “Ninna ho”, che si propone di installare una rete di culle termiche «per la salvezza di tanti bambini oggi abbandonati» (1). Detta iniziativa si fonda su dati assolutamente sbagliati. Infatti non corrisponde al vero ciò che viene affermato nel succitato comunicato e cioè che «secondo gli ultimi dati Istat disponibili (2005), in Italia sono circa 3.000 ogni anno i neonati abbandonati e ritrovati (soprattutto vivi, ma purtroppo anche morti)». In realtà non si tratta di «neonati abbandonati e ritrovati», bensì dei minori (di età compresa da 0 a 18 anni) dichiarati in stato di adottabilità dai Tribunali per i minorenni, inclusi i 300-400 neonati non riconosciuti, quasi tutti nati in ospedali pubblici e presso case di cura private convenzionate che non sono mai in balia di loro stessi poiché vengono immediatamente segnalati all’autorità giudiziaria minorile per la loro dichiarazione di adottabilità.

Dalle notizie in nostro possesso risulta che nel nostro Paese gli infanti che vengono abbandonati mettendo in pericolo la loro sopravvivenza sono estremamente rari: forse non più di 4-5 all’anno.

Una prima riflessione: perché i promotori delle culle/ruote indicano un numero tanto spropositato di neonati abbandonati?

Inoltre non ritengono che continuare ad usare la parola “abbandono” nei confronti dei bambini non riconosciuti nati in ospedale o presso case di cura, significa, al di là delle intenzioni, creare problemi, anche di grave entità, specialmente nei confronti dei minori stessi al momento dell’adolescenza?

Un conto è ritenere di essere stato buttato allo sbaraglio mettendo in pericolo la propria esistenza; molto diversamente viene invece valutato e vissuto l’atto di non essere stato riconosciuto da persona consapevole di non essere in grado di dare al proprio nato quel che è necessario per la sua crescita e il suo futuro. La donna che decide, spesso per motivi drammatici, di non riconoscere il bambino che ha partorito e quindi sceglie di non diventarne la madre, non compie un atto responsabile, che merita il rispetto di tutti, anche perché il piccolo non è abbandonato ma è consegnato alle istituzioni preposte (servizio sociale della struttura sanitaria in cui il parto ha avuto luogo e Tribunale per i minorenni) affinché lo inseriscano presso una famiglia?

Non sarebbe giusto che – finalmente – anche gli operatori sanitari e sociali, con particolare riguardo agli psicologi e agli psicanalisti, prendessero atto che nei casi suddetti non c’è stato alcun abbandono e ne informino in modo corretto le partorienti, i genitori adottivi, gli adottati e l’opinione pubblica?


Le gestanti in condizioni di disagio

sono persone o sono solo fattrici?

Nel lungo comunicato della Fondazione Rava e della Società Kpmg si affrontano le questioni delle gestanti in gravi difficoltà psico-sociali solo in merito alla promozione di una campagna di informazione (sulla cui necessità concordiamo) sul segreto del parto e si afferma che «sono ancora numerose le donne a non sapere che la legge italiana consente il diritto di partorire in anonimato» e che la donna ha il diritto «di lasciare in ospedale il neonato che verrà affidato ad una nuova famiglia».

Per quale motivo la Fondazione Rava e la Società Kpmg fanno solo riferimento al parto e non anche alle fondamentali esigenze delle gestanti e del nascituro fin dal momento del concepimento?

Durante la gestazione non devono essere fornite alle donne in condizioni di disagio prestazioni, fra l’altro di primaria importanza anche per il bambino, di natura sanitaria e psico-sociale?

Far riferimento alle gestanti solamente in merito al parto non significa in concreto ritenerle semplici fattrici?


Dimenticate (volutamente?) le leggi vigenti

È assai preoccupante che nel succitato comunicato stampa non venga nemmeno ricordato che, in base all’ancora vigente legge 2838/1928, richiamata dal 5° comma dell’articolo 8 della legge 328/2000 di riforma dell’assistenza, le Province, salvo diversa normativa regionale, sono obbligate ad assistere gratuitamente non solo le gestanti in condizioni di disagio personale, sociale ed economico, comprese quelle che vivono clandestinamente nel nostro Paese, ma anche i loro nati riconosciuti o non riconosciuti.

Perché nemmeno una parola è stata rivolta alla legge della Regione Piemonte n. 16/2006 e alla de­libera della Giunta piemontese n. 22/2006 che contengono le disposizioni più valide per l’effettiva tutela delle gestanti e madri in difficoltà e dei loro nati? (2)

Anche a questo riguardo la Fondazione Rava e la Società Kpmg hanno compiuto una indagine conoscitiva esauriente?


Aspetti negativi delle culle/ruote

Dalle disposizioni sopra riportate della Regione Piemonte risulta evidente la necessità della messa in atto di interventi volti al sostegno il più precoce possibile delle gestanti in difficoltà sia al fine della tutela della loro salute e di quella del neonato, sia per favorire la massima responsabilizzazione possibile in merito al riconoscimento o non riconoscimento dei loro nati. Ne consegue l’assoluta illogicità delle culle, iniziativa che contrasta nettamente con il diritto delle partorienti, delle madri e dei bambini di ricevere le necessarie prestazioni presso idonee strutture.

Come risulta dal comunicato stampa della Fondazione Rava e della Società Kpmg, l’istituzione delle culle parte dal presupposto che le donne che non intendono riconoscere i loro nati non partoriscano in ospedale.

Se il parto ha avuto luogo in una struttura sanitaria, come avviene per la stragrande maggioranza delle donne, la partoriente non può certo uscire insieme al bambino non riconosciuto.

Dunque la culla non è una soluzione per i bambini che nascono in ospedale dove le donne, comprese quelle coniugate (cfr. la sentenza della Corta costituzionale n. 171 del 5 maggio 1994) e quelle prive del permesso di soggiorno, hanno il diritto esigibile di ricevere gratuitamente tutte le necessarie cure, di partorire in assoluta segretezza e di riconoscere o non riconoscere il bambino.

Com’è ovvio il parto in una idonea struttura sanitaria è anche un fatto molto positivo per la salute presente e futura del bambino.

Scartata dunque ogni possibilità che nelle culle vengano posti neonati partoriti in ospedale, l’iniziativa diretta alla loro istituzione non corre il gravissimo rischio di essere interpretata come promozione dei parti “fai da te” che sono ad altissimo rischio per le donne e i bambini, anche perché – com’è ovvio – quelle in condizioni di disagio personale e/o socio-economico non hanno alcuna possibilità di far fronte alle spese che comportano i parti a domicilio, se effettuati con le necessarie garanzie sanitarie per la donna ed il neonato?

Non è altresì evidente che la presenza delle culle è in netto contrasto con la promozione delle prestazioni di sostegno durante la gravidanza e con il diritto del parto in ospedale?

Premesso quanto sopra esposto, confidiamo che la Società italiana di neonatologia ritiri il patrocinio alla posa delle culle/ruote.


Promozione del rispetto delle leggi vigenti

Tenuto conto delle esigenze delle partorienti non solo in merito al parto ma anche durante la gravidanza, e della necessità di tutelare la salute del nascituro fin dal concepimento e dei neonati, perché la Fondazione Rava e la Società Kpmg non operano affinché tutte le Regioni e le Province autonome assumano provvedimenti analoghi a quelli approvati dalla Regione Piemonte?


Diritti esigibili o beneficenza discrezionale?

Infine una annotazione a nostro avviso molto importante. Non è allarmante rilevare che, mentre si può (a nostro avviso si deve) puntare sul riconoscimento concreto dei diritti esigibili previsti dalle leggi (fra l’altro vigenti dal 1928!) a favore delle gestanti in condizione di disagio, come si è ottenuto dalla Regione Piemonte, che si ritenga valido, richiamandosi ad una realtà medievale, avviare iniziative di beneficenza privata, addirittura con le negative conseguenze da noi in precedenza evidenziate?




(1) L’installazione delle culle è prevista in appositi locali situati «in un luogo facilmente raggiungibile e defilato» degli ospedali Del Ponte di Varese, Careggi di Firenze e Sant’Anna di Torino e presso le Aziende ospedaliere universitarie di Napoli e Padova.

(2) Cfr. Prospettive assistenziali, “Approvata dalla Regione Piemonte una valida legge per il sostegno alle gestanti madri in condizioni di disagio”, n. 154, 2006. Sul n. 161, 2008 è stato pubblicato l’articolo “Due iniziative illogiche: il Sermig di Torino e il Movimento per la vita di Asti vorrebbero installare culle/ruote di medioevale memoria” che contiene le parti salienti della delibera della Giunta regionale n. 22, 2006.