Prospettive assistenziali n. 164 ottobre-dicembre 2008
Libri
GIOVANNI NERVO, Ha un futuro il volontariato?, Edizioni Dehoniane, Bologna, pag. 138, euro 12,00
La lettura del libro di Monsignor Giovanni Nervo, responsabile nazionale della Caritas italiana dal 1971 al 1986, dei rapporti Chiesa-istituzioni dal 1986 al 1992 e per oltre trent’anni Presidente della Fondazione Zancan, consente una approfondita disamina sull’attuale e futuro ruolo del volontariato.
Come precisa l’Autore, il libro «ha lo scopo di fornire ai volontari e a chi ha il compito e la responsabilità di guidarli e di orientarli, alcune riflessioni che li aiutino a guardare con costruttivo senso critico questo fenomeno nella sua complessità, nei suoi valori, nei suoi limiti, nella sua continua evoluzione».
Giustamente Monsignor Nervo ricorda che «poiché c’è ancora della confusione, non è mai abbastanza sufficiente precisare l’identità del volontariato: “Attività di volontariato è quella prestata in modo personale, spontaneo, gratuito, (…) senza fini di lucro, anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà sociale”» come sancito dall’articolo 2 della legge 266/1991. Precisa, inoltre, che «altre espressioni di solidarietà sociale, come le cooperative di solidarietà sociale, le cooperative sociali, l’associazionismo sociale, ecc. hanno pieno valore ma sono “specie” diverse dal volontariato nel genere più ampio della solidarietà sociale».
Ne deriva, a nostro avviso, la necessità che, anche allo scopo di evitare strumentalizzazioni da parte di alcune cooperative, che il volontariato non venga più collocato nell’ambito del Terzo settore poiché le sue finalità sono differenti rispetto a quelle dell’associazionismo (che opera per la tutela degli interessi dei loro aderenti) e della cooperazione sociale (le cui attività riguardano la gestione dei servizi rivolti ai minori, ai soggetti con handicap, agli anziani non autosufficienti e ad altri gruppi di soggetti in difficoltà). La collocazione più consona del volontariato è nel quarto settore come è stato proposto dagli Autori (Giuseppe D’Angelo, Anna Maria Gallo e Francesco Santanera) del volume Il volontariato dei diritti - Quarant’anni di esperienze nei settori della sanità e dell’assistenza, Utet Libreria. Detta collocazione è di fondamentale importanza per il volontariato dei diritti che agisce a tutela dei soggetti deboli, in particolare di coloro che non sono in grado di autodifendersi (bambini, persone colpite da gravi handicap invalidanti, adulti e anziani affetti da malattie croniche e da non autosufficienza, ecc.).
Il ruolo di questa forma di volontariato, che si differenzia in misura notevole dal volontariato consolatorio o benefico, è incentrato sulla tutela delle esigenze fondamentali di vita della fascia più bisognosa e indifesa della popolazione, nonché sulla promozione dei diritti basilari non ancora sanciti dalle leggi e sulla difesa di quelli raggiunti in modo da renderli effettivamente esigibili.
L’azione del volontariato dei diritti è quindi svolta non soltanto nei riguardi delle istituzioni, che hanno il compito di assicurare almeno il necessario per vivere ai soggetti deboli, ma anche nei confronti degli enti del settore pubblico e privato – cooperative comprese – che operano a livello di programmazione e/o gestione dei servizi. È vero, come osserva Monsignor Nervo, che «l’evoluzione dal volontariato alla cooperazione sociale, all’impresa sociale, all’economia sociale, ha certamente anche degli aspetti positivi», ma crediamo che debba essere riconosciuto che la matrice consolatoria del volontariato da cui sono partite queste esperienze ha determinato una connotazione della cooperazione sociale quasi mai fondata sul diritto degli utenti.
Dalle valutazioni del Movi (Movimento di volontariato italiano) nelle lettera aperta indirizzata alle organizzazioni di volontariato il 5 aprile 2007, dall’autocritica di Vinicio Albanesi, responsabile della Comunità di Capodarco, riportata nella nota dal significativo titolo “Per non essere più idioti” (Il Regno attualità, n. 12, 2007) e dalle riflessioni contenute nell’articolo “Quelli che… al disagio si ribellano” (Alogon, n. 74, 2007), di Giacomo Panizza, coordinatore della comunità Progetto Sud di Lamezia Terme, emerge una critica molto sofferta e documentata sulla gestione dei servizi non fondata sulle esigenze e sui diritti dei soggetti deboli.
Dalle considerazioni di Monsignor Nervo risulta evidente una valutazione problematica del volontariato gestionale e di quello consolatorio: precisa, infatti, che il volontariato non deve «riempire i vuoti e sostituire le inadempienze delle istituzioni pubbliche», né operare «soltanto per diminuire i costi dei servizi che le istituzioni pubbliche hanno il dovere di garantire ai cittadini». Secondo l’Autore il volontariato deve intervenire «per affermare i valori dell’uomo», per «portare nei servizi alla persona un supplemento d’anima», per «rispondere prontamente a bisogni emergenti, che non siano ancora presenti nella coscienza pubblica, nella normativa, nella destinazione delle risorse», per «trasferire e vivere nei normali rapporti di lavoro pagato i valori appresi e vissuti nell’esperienza di volontariato», per «diffondere capillarmente la cultura della solidarietà» e infine per «stimolare le istituzioni a rispondere adeguatamente ai bisogni dei cittadini, sia con la formulazione delle leggi nazionali e regionali, sia con l’attuazione dei servizi, sia con il buon funzionamento delle istituzioni e dei servizi».
Monsignor Nervo precisa che «per promozione dei diritti intendiamo la sollecitazione al sistema giuridico a evolversi per rispondere alle necessità emergenti, e per tutela dei diritti intendiamo l’azione per l’approvazione effettiva del sistema di protezione sociale esistente ai casi concreti».
Premesso che il volontariato promozionale dovrebbe in primo luogo agire in merito alle situazioni che da decenni violano gravemente la dignità delle persone (a titolo di esempio incontrovertibile ci riferiamo all’attuale vergognoso livello – euro 246,07 mensili – delle pensioni per gli invalidi totali che non hanno altre risorse economiche), occorre accertare se vi sono organizzazioni di volontariato o di altra connotazione sociale (ad esempio le Caritas citate da Monsignor Nervo) che svolgono la doverosa opera di informazione all’opinione pubblica delle violazioni dei diritti fondamentali (non riconoscimento del minimo economico occorrente per vivere, negazione delle cure sanitarie ai malati inguaribili, rifiuto dell’accoglienza dei soggetti privi di sostegno familiare e con limitata o nulla autonomia, ecc.).
Detta informazione deve, altresì, riguardare la violazione da parte delle istituzioni dei diritti sanciti come esigibili dalle leggi vigenti, com’è dal 1955 quello della cura senza limiti di durata degli anziani non autosufficienti, iniziativa che molto raramente viene assicurata dal volontariato e dalle altre organizzazioni sociali.
A nostro avviso c’è l’urgente necessità di una verifica puntuale in merito al ruolo effettivamente svolto dal volontariato e dalle altre organizzazioni sociali per il concreto riconoscimento da parte delle istituzioni dei diritti fondamentali delle persone più deboli e bisognose: la diffusione o meno di notizie sui diritti negati è la cartina di tornasole volta ad accertare se si opera veramente per la tutela dei soggetti deboli oppure se – come spesso avviene – nulla di concreto viene fatto.
CARLETTA VIOTTO, Infanzia da difendere - A tutela dei diritti dei bambini, Editrice missionaria italiana, Bologna, 2008, pag. 126, euro 9,00
L’Autrice ricorda che, nonostante la dichiarazione dei diritti del fanciullo approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1959, «in questi ultimi 54 anni le condizioni dell’infanzia non hanno fatto che peggiorare dimostrando, forse, una manchevolezza degli strumenti che ci si è dati finora». Propone quindi le seguenti linee di intervento:
«• riconoscere la persona minore di età come soggetto di diritti fondamentali inalienabili;
• considerare le persone minorenni come protagoniste del proprio sviluppo, riconoscendone la dignità di interlocutrici e promuovendone la partecipazione nelle decisioni, nell’adozione di strategie e nell’attuazione degli interventi che le riguardano;
• considerare le persone minori di età come elemento fondamentale per il futuro e per lo sviluppo di un Paese, nonché come indicatore significativo della situazione dello stesso;
• adottare tra i criteri di valutazione dell’efficacia degli interventi umanitari i risultati conseguiti nei confronti delle persone di minore età, tenendo presente la particolare vulnerabilità delle bambine e dei minori rifugiati, discriminati, indigenti, sfollati, orfani o abbandonati, non registrati all’anagrafe, rapiti, affetti da Hiv/Aids, disabili, mercificati, sfruttati, abusati, detenuti;
• adottare un’ottica di genere che superi la “neutralità” della condizione infantile, che combatta le discriminazioni sessuali sin dalla nascita e che promuova una cultura dei diritti umani e civili delle bambine, delle adolescenti e delle giovani donne;
• rafforzare lo status della donna contrastando la discriminazione sessuale delle bambine e delle adolescenti nell’educazione primaria e secondaria, che migliorerebbe il benessere dei bambini;
• considerare crimini contro l’umanità la tratta delle persone, gli stupri etnici (donne o minorenni umiliate, picchiate, mutilate, stuprate e costrette a partorire figli dei loro oppressori, appartenenti ad altre etnie, in nome di una delirante pulizia etnica), lo sfruttamento dei minori di età nelle forme più crudeli e intollerabili (quali i lavori forzati, il commercio degli organi, l’utilizzo in guerra o come kamikaze, la selezione dei nascituri, ecc.) e la violazione sistematica e su larga scala della loro integrità psichica e fisica a fini economici, commerciali, sessuali, etnici, religiosi, politici, culturali e filosofici;
• rispettare il principio di appartenenza della persona minore di età alle proprie radici culturali, familiari e comunitarie;
• valorizzare, negli interventi rivolti alle persone minori di età, il ruolo della società civile, delle Organizzazioni non governative, delle associazioni e in particolare delle donne;
• considerare l’investimento sulle persone di minore età come fattore di sostenibilità dei progetti di cooperazione».
Mentre si tratta di proposte certamente condivisibili, è del tutto carente l’indicazione dei mezzi occorrenti per la loro concretizzazione; non è nemmeno precisato che, affinché le esigenze fondamentali di vita dei minori e dei loro familiari siano riconosciute, occorre in primo luogo superare gli interventi della beneficenza pubblica e privata ed operare affinché le leggi dei vari Paesi (Italia compresa!) riconoscano diritti esigibili e vi siano organizzazioni di base che li promuovano e ne pretendano l’attuazione.