Prospettive assistenziali n. 164 ottobre-dicembre 2008



Notiziario dell’Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie



L’INSERIMENTO NEL CONTESTO SCOLASTICO DEI BAMBINI AFFIDATI O ADOTTATI


Riprendiamo la relazione svolta al seminario “Apprendere dalle differenze” tenutosi a Torino il 9-10 settembre 2008 (1).


1. Alcune considerazioni generali

Adozione

Oggi quasi tutti i bambini sanno subito di essere stati adottati. È un bene che tutti sappiano che un bambino è figlio adottivo, che non se ne faccia più come una volta mistero; è bene soprattutto che lui lo sappia e che sia preparato a dirlo.

Bisogna prendere coscienza che, non molto tempo fa, la condizione di figlio adottato veniva tenuta nascosta con effetti devastanti.

Oggi finalmente essere figlio adottivo è essere figlio a tutti gli effetti, perché ciò che legittima la genitorialità non è più il legame di sangue, ma il legame affettivo. E questo è un fatto culturale di grande rilevanza.

Se, però, è giusto e corretto che un bambino si presenti a scuola con tutta la sua storia, non è realistico affermare che il bambino, in quanto figlio adottivo, non incontrerà delle difficoltà.

Ancora molti sono i pregiudizi: la cultura dell’adozione come rapporto di genitorialità e filiazione vere non si è ancora sedimentata, non è ancora patrimonio di tutti.

La scuola non sempre è preparata, è facile che gli insegnanti non sappiano affrontare i cambiamenti che del resto hanno investito molte famiglie e che possano diventare veicoli più o meno coscienti di pregiudizi, a partire dai libri di testo che non sembrano purtroppo cogliere nella scelta e nei contenuti queste sensibilità.

Un bambino adottato può dover superare, più di altri, una serie di ostacoli per sentirsi inserito prima nella propria famiglia e poi nel contesto più ampio di appartenenza.

Infatti, quando un bambino raggiunge la sicurezza psicologica di appartenere ad una famiglia in quanto lo ama, si prende cura di lui, questa sicurezza a volte può vacillare di fronte al non riconoscimento esterno dell’ “altro”: gli insegnanti, i compagni di scuola…

Il bambino allora può dover affrontare domande, curiosità o richieste degli insegnanti e dei compagni, può trovarsi in difficoltà nel rispondere, nel dare una spiegazione della sua situazione: i genitori non sono presenti ed è lui che deve trovare le parole per dire, per raccontarsi.

Si troverà forse di fronte a domande come: «Qual è la tua mamma vera?» o a dover portare fotografie della sua infanzia che non ha perché non adottato subito dopo la nascita. Ciò che gli era stato raccontato sarà messo in discussione dai pregiudizi e dagli stereotipi di cui il mondo in cui viviamo è ancora intriso.

Dall’esperienza dei genitori adottivi è emerso quanto possa essere dannoso affrontare quel percorso didattico che viene chiamato “la storia della famiglia”, utilizzato in genere come approccio alla storia e in cui si chiede per esempio di portare fotografie da quando era nella pancia della mamma. Il bambino si trova a dover rispondere a delle domande sul suo passato, a confrontarsi con la storia degli altri, a dover ripercorrere tappe dolorose della sua vita, e non trova le parole.

La foto rappresenta il “ricordo”, è un documento importante della propria esistenza e per questo ha una valenza così emotiva e profonda. La fotografia nella famiglia è l’elemento visivo della loro storia: quella presente e quella lontana dei nonni e dei bisnonni. Il genitore sfoglia l’album e intanto racconta al figlio com’era lui da piccolo, cosa faceva e via dicendo e così si collegano e intrecciano i fili che tengono uniti i vari momenti della propria esistenza. È il libro illustrato della storia della famiglia.

L’album di fotografie del bambino adottivo non comincia dalla nascita o, come accade oggi sempre più spesso, dalla pre-nascita (ora si chiede di portare l’ecografia…), il suo album comincia dopo: dalla sua adozione che ha per lui il significato di una seconda nascita.

Quel “prima” che non compare rappresenta una parte della sua vita di cui molto spesso lui sa poco o niente ma che è ugualmente parte integrante della sua storia. Quel prima gli viene raccontato dalla sua mamma e dal suo papà.

Ed il racconto si accompagna ai gesti: «Mia mamma mi teneva stretta a sé ed io sentivo prima ancora delle sue parole il suo calore». Così lo ricorda un figlio adottivo.

Affidamento

Anche i bambini affidati possono avere una storia difficile: sono sovente bambini insicuri, che pos-sono manifestare il proprio disagio sotto diverse forme.

Il più delle volte non riescono a stabilire rapporti soddisfacenti con il mondo esterno, hanno sovente difficoltà di apprendimento o di comportamento: la loro mente è concentrata sui loro problemi e c’è poco spazio per le conoscenze che si chiede loro di acquisire: i contenuti scolastici non li interessano o restano lontani dalla loro realtà. All’interno della classe, nei rapporti con i compagni e con gli insegnanti, si possono trovare in una condizione di estraneità: l’affidamento è un intervento ancora poco conosciuto, spesso confuso con l’adozione; il bambino non sa cosa dire di sé ai suoi coetanei, come e quanto raccontare della sua storia personale, dei sui genitori d’origine cui è legato ma con cui non può vivere… Una realtà troppo diversa che il bambino non sa o non può comunicare lo porta ad assumere atteggiamenti aggressivi oppure a rinchiudersi in se stesso, a costruire con la sua fantasia la situazione che gli piace di più o che può comunicare più facilmente.

Nella famiglia affidataria, la famiglia “in più” in cui vivono, spesso per anni, mantenendo i rapporti con la loro, essi possono trovare pian piano quella sicurezza, quel senso di appartenenza di cui tanto hanno bisogno.

Ma la famiglia non basta. Anche la scuola deve fare la sua parte. La scuola deve essere una comunità che accetta il bambino con tutta la sua storia perché possa accettarla anche lui, che accetta la sua diversità e ne faccia tesoro. La mente di chi ha avuto un passato difficile non riuscirà a trovare spazio per le richieste che le verranno dalla scuola se queste non verranno dosate, se anche nella scuola non ci sarà una figura che sia per lui un riferimento.

Non per questo però bisognerà pensare che non ce la può fare, che sia un bambino segnato per sempre. Le esperienze vissute dai genitori adottivi e dagli affidatari ci hanno invece insegnato che i bambini hanno grandi risorse, risorse insperate che aspettano solo di essere attivate. Più si offrirà loro occasioni, più arriveranno loro segnali che si comprende la loro fatica e che si è lì per cercare insieme a loro una strada, che si è disposti ad accompagnarli passo per passo per poi pian piano lasciarli andare, più vedremo bambini nascere un’altra volta senza cancellare il loro passato.

Solo se queste realtà vengono meglio conosciute, e quindi accettate, da insegnati e allievi, l’inserimento scolastico dei bambini adottati e affidati sarà meno problematico.

Si segnala al riguardo che le associazioni di famiglie adottive e di affidatari hanno negli ultimi anni elaborato e sperimentato con la collaborazione di molti insegnanti percorsi didattici per affrontare queste tematiche, attraverso una lettura delle esperienze ed una riflessione pedagogica “mirata” con il contributo di esperti. Parte di questo materiale è disponibile durante il seminario ai tavoli delle associazioni stesse (2).


2. Quanto è emerso dal confronto

fra le associazioni

La scuola rappresenta l’espressione del momento sociale del bambino in affido e in adozione, per cui è importante che venga gestito nel migliore dei modi. Il bimbo in affido o adozione non deve essere considerato un bambino diverso dagli altri; i suoi insegnanti devono conoscere la sua storia e la sua situazione e devono essere in grado di saperla gestire con lui e con il gruppo classe.

No al pietismo, no all’accettazione passiva.

Se è vero che gli insegnanti non devono trattare in modo diverso i bambini affidati o adottati, ciò non significa che gli allievi debbano essere trattati secondo procedure rigide che non prevedano l’accoglienza della diversità.

L’accoglienza della diversità è requisito fondamentale per l’integrazione, ma non deve costituire un alibi che consenta di derogare su tutte le regole, altrimenti si ottiene l’effetto opposto, ovvero le differenze vengono accentuate con il rischio di cadere nel pietismo nei confronti dell’allievo da parte degli insegnanti e dei suoi compagni.

La sfida sta proprio nel trovare la giusta misura tra il riconoscere le diversità e le difficoltà di cui il bambino può essere portatore e contestualmente creare una buon “clima” di classe: in base alle nostre esperienze chiediamo agli insegnanti di cogliere ed accogliere la diversità di tutto il gruppo classe e di far emergere le diverse abilità di ogni bambino, e su quelle lavorare al fine di potenziarle.

Se è importante che il gruppo classe impari a riconoscere e ad accettare le differenze, è altrettanto importante per i bambini in affido e adozione che sia ben chiaro che le regole sono regole. Il buon insegnante deve essere in grado di adattare le regole alle caratteristiche di ogni bambino, ma è anche giusto e doveroso riconoscere e far capire alla classe che non tutti “corriamo alla stessa velocità” per cui non tutti alla fine avremo raggiunto i medesimi risultati.

Richiamiamo l’attenzione sui bambini che hanno problemi comportamentali anche gravi, ma non “certificati” dai servizi sanitari competenti, per i quali non è previsto il sostegno, che non viene concesso per problemi caratteriali e relazionali: è necessario tener presente i traumi che i bambini possono aver subito e le conseguenze relative (disturbi dell’attenzione, iperattività, reazioni aggressive, ecc.) e predisporre per loro progetti mirati in base alle loro situazioni e caratteristiche.

A questo va aggiunto il problema dei bambini in affido o in adozione (nazionale ed internazionale) che vengono inseriti nelle classi ad anno scolastico avviato e per i quali non è previsto un sostegno fino all’anno scolastico successivo. In alcuni casi si è purtroppo preferito lasciare che i bambini finissero l’anno scolastico in comunità, proprio per evitare che, con l’inserimento in famiglia ed il cambiamento di scuola ad anno in corso, perdessero l’insegnante di sostegno!

Non è neppure accettabile che venga rinviato di mesi l’inserimento familiare di un minore inserito in comunità, magari da anni, per non fargli cambiare scuola; in diverse situazioni, con la collaborazione della famiglia che lo ha accolto, si è fatto il possibile per garantire la conclusione dell’anno o del ciclo scolastico.

Vengono portate anche esperienze di bambini che hanno un insegnante di sostegno che però tende occuparsene fuori dall’aula: questo atteggiamento porta ad avere non più le classi differenziali, ma i bambini differenziali; questa situazione non è giustificabile ed accettabile.

In effetti l’insegnante di sostegno viene assegnato sulla classe e non sul singolo bambino, per cui non dovrebbe accadere che un bambino, seppur certificato, venga tenuto al di fuori del gruppo classe.

Va però denunciato che nelle scuole materne di Torino, dove il numero dei posti non è sufficiente, non è possibile iscrivere un bimbo ad anno in corso, perché le classi sono sature, con tanto di lista d’attesa, e non sono quindi in condizione di accogliere nuovi iscritti.

Il rischio è che dei bambini con storie già di per sé complesse vengano inseriti in classi molto numerose che presentano altri casi di bambini con situazioni difficili e senza la possibilità di attivare immediatamente il sostegno.


3. Proposte per un Protocollo operativo

Si propone la sottoscrizione di un protocollo operativo all’Ufficio scolastico provinciale, al Comune di Torino, alle Asl, alla Procura e al Tribunale per i minorenni e alle associazioni impegnate in questo ambito per definire le competenze ed i ruoli dei dirigenti, degli insegnanti, degli operatori dei servizi sociali, dei genitori adottivi e degli affidatari in merito a:

- la preparazione e definizione del percorso di inserimento dei minori affidati o adottati nella scuola dell’infanzia e dell’obbligo, del monitoraggio sull’andamento scolastico, ecc., dando anche indicazioni specifiche sull’iscrizione, al loro arrivo in Italia, dei minori adottati stranieri (classe di riferimento, ecc.);

- le modalità di trasferimento da una scuola all’altra ad anno scolastico avviato dei minori stessi, individuando anche possibili soluzioni per la prosecuzione del sostegno dei minori adottati o affidati “certificati”;

- la revisione della modulistica scolastica per tutelare la necessaria riservatezza per i minori in affidamento “a rischio giuridico”, in affidamento preadottivo o familiare e indicazioni per la secretazione degli atti. Andranno ben informate al riguardo anche le segreterie scolastiche che hanno rapporti diretti anche col pubblico per prevenire fughe di notizie riservate.

Un forte richiamo deve essere fatto nel suddetto protocollo sulla segnalazione obbligatoria alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni cui sono tenuti, in base all’articolo 9 della legge 184/1983, i pubblici ufficiali, gli incaricati di un pubblico servizio, gli esercenti un servizio di pubblica necessità, i quali «debbono riferire al più presto al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni del luogo in cui il minore si trova sulle condizioni di ogni minore in situazione di abbandono di cui vengano a conoscenza in ragione del proprio ufficio».

L’obbligo della segnalazione riguarda quindi, fra gli altri, gli operatori dei servizi socio-sanitari, i medici, i capi istituto e i docenti delle scuole di ogni ordine e grado. La segnalazione (e va ribadito che di “segnalazione” si tratta e non di “denuncia”) è stata prevista nell’esclusivo interesse del minore, tenuto conto delle conseguenze che la privazione di cure materiali e morali provocano al suo sviluppo.

La segnalazione non si traduce in un’automatica dichiarazione di adottabilità, ma determina l’avvio degli accertamenti sulla situazione personale e familiare dei minori.

Tali indagini sono necessarie per permettere al Tribunale per i minorenni di assumere i provvedimenti occorrenti: emanazione di precise prescrizioni ai genitori, affidamento familiare, ecc.

Quando dagli accertamenti risulti che i minori sono «privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi» e che «la mancanza di assistenza non sia dovuta a cause di forza maggiore di carattere transitorio» il Tribunale per i minorenni procede alla dichiarazione di adottabilità.



(1) La relazione è stata svolta a cura dell’Anfaa, Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie (sito: www.anfaa.it), dell’Associazione “Gruppi volontari per l’affidamento e l’adozione” (sito: www.adozione.net), Comunità Papa Giovanni XXIII, Segreteria della zona di Torino (sito: apg.23.org), dal Coogen, Coordinamento genitori nidi, materne, elementari e medie a Torino (sito: www.coogen.org), Ics, Incontro centro studi (sito: www.icsonlus.it) e Odissea 33 (sito: www.odissea33.org).

(2) Si veda l’elenco dei libri riportato alla penultima pagina di copertina.