Prospettive assistenziali     n. 166  aprile giugno 2009

 

 

I MINORI SENZA FAMIGLIA NEGLI ANNI ’60: Rapporti internazionali e APPELLO DELL’ANFAA AL CONCILIO ecumenico VATICANO II *

Francesco Santanera

 

 

 

Mentre proseguivano le attività segnalate nello scorso numero di Prospettive assistenziali (1), avendo ravvisato la necessità di un confronto a livello internazionale sulle iniziative da assumere a tutela dell’infanzia priva di sostegno familiare, l’Anfaa aveva promosso la costituzione del Comitato internazionale di intesa fra le associazioni di famiglie adottive, realizzatasi a Parigi il 21 aprile 1963, con la partecipazione delle associazioni della Francia, del Belgio e del Lussemburgo e successivamente della Svizzera, dell’Olanda, degli Stati Uniti e del Canada.

Nel documento base veniva precisato che «la vera finalità dell’adozione è prioritariamente rivolta alla salvaguardia dell’infanzia senza famiglia». Gli aderenti si impegnavano quindi per il «miglioramento della legislazione in materia di adozione, in modo che possa beneficiarne il maggior numero possibile dei minori abbandonati di fatto e di diritto». Inoltre era previsto che le organizzazioni aderenti dovevano sancire «l’incompatibilità dell’inserimento nei loro consigli di amministrazione di persone con incarichi retribuiti o gratuiti in enti pubblici o privati preposti all’inserimento adottivo dei minori senza focolare».

 

Una convenzione molto pericolosa

Fra le iniziative assunte dal Comitato internazionale si segnala la risoluzione di protesta approvata a Lussemburgo il 2 novembre 1963 contro la firma della convenzione relativa al riconoscimento della filiazione materna dei nati fuori del matrimonio.

Al riguardo si ricorda che la Commissione internazionale dello stato civile aveva elaborato e approvato a Bruxelles il 12 settembre 1962 una convenzione internazionale che, allo scopo di stabilire principi comuni in materia, comprometteva, se ratificata dal nostro Parlamento (2), la possibilità di dare una famiglia ai bambini che ne erano privi.

Infatti la convenzione stabiliva che in tutti i Paesi firmatari, fra cui l’Italia, la semplice dichiarazione fatta dalla partoriente o da un terzo qualsiasi, una volta che fosse stata trascritta sull’atto di nascita del bambino, avrebbe stabilito il legame giuridico di filiazione con la persona indicata come madre, prescindendo da ogni manifestazione di volontà, anche contraria di quest’ultima.

Il Comitato rivolgeva «un appello ansioso e urgente: 1) ai Governi di lasciare senza seguito la Convenzione relativa al riconoscimento della filiazione materna dei fanciulli nati fuori del matrimonio; 2) ai Parlamentari di respingere la convenzione che arreca un danno così grave ed evidente alla salvaguardia dell’infanzia senza focolare; 3) a tutti i servizi pubblici e privati che si occupano della protezione dell’infanzia abbandonata, di unirsi d’urgenza e con energia a questa protesta per impedire che l’irreparabile venga fatto».

L’Anfaa in data 9 novembre 1963 aveva trasmesso la sopra citata risoluzione ai Parlamentari e ai Ministri competenti in materia, precisando che il riconoscimento dei nati fuori del matrimonio «non deve essere inteso esclusivamente nel senso di dare un nome al bambino, ma deve, e soprattutto, comportare l’assunzione delle responsabilità e dei doveri che ne derivano».

Aveva altresì segnalato che «i direttori dei brefotrofi e degli orfanotrofi sanno per esperienza diretta che i casi più tragici e senza via d’uscita sono quelli dei bambini riconosciuti e poi abbandonati» poiché «la loro sistemazione definitiva presso una famiglia di adozione è resa in pratica impossibile dai legami giuridici esistenti e resta inoltre condizionata dal consenso della madre naturale che può rifiutarsi, senza che sia necessaria alcuna giustificazione, sia di provvedere al bambino sia di permettergli di essere accolto da una famiglia adottiva. E a nulla vale togliere i poteri inerenti la patria potestà. Essa rimane arbitra e più esattamente proprietaria del futuro del bambino».

L’intervento del Comitato internazionale di intesa fra le associazioni delle famiglie adottive e dell’Anfaa aveva consentito che l’approvazione della convenzione, votata dalla Camera dei Deputati nella seduta del 13 aprile 1967, fosse condizionata, da parte dal relatore Di Primio, alla sorprendente (3) ma positiva precisazione, secondo cui «la ratifica da parte del Parlamento non comporterà alcuna modifica del codice civile, né al vigente ordinamento dello stato civile», impedendo in tal modo l’introduzione in Italia del riconoscimento obbligatorio dei propri nati da parte delle donne (4).

 

Iniziative rivolte

al Concilio ecumenico Vaticano II

Un’altra iniziativa, assunta a Parigi il 21 aprile 1963 dal Comitato internazionale d’intesa fra le associazioni di famiglie adottive, era stata rivolta al Concilio ecumenico Vaticano II al fine di ottenere una dichiarazione a favore dei minori privi di sostegno familiare e della loro adozione.

Il 5 luglio 1963 l’Anfaa aveva inviato a quattro Commissioni del Concilio ecumenico Vaticano II le lettere predisposte da Pierre Pescatore, presidente dell’Associazione lussemburghese delle famiglie adottive, in cui erano illustrati i problemi dei bambini soli con la richiesta di una presa di posizione a favore del loro inserimento familiare presso coniugi adottanti accuratamente scelti e preparati (5).

Allo scopo di sostenere l’iniziativa del Comitato, nel mese di dicembre 1963 avevo incontrato a Roma Mons. Aray, Arcivescovo di Jokohama. A suo avviso il Concilio sicuramente non si sarebbe occupato del problema dell’adozione, problema la cui competenza secondo il prelato era della Commissione preposta ai problemi relativi al diritto canonico e delle Conferenze episcopali nazionali e non del Concilio.

Nonostante le deludenti dichiarazioni di Mons. Aray, avevo parlato nel 1964 con Mons. Philips (Belgio), Mons. Bettazzi (Ivrea), Don Tullio Goffi (Brescia), P. Perico (Milano), Mons. Cottino, Mons. Tinivella, Don Rolando e Don Ellena (Torino), Mons. Freschi, Padre Lener, Padre Molinari, De Cillis e Messori Roncaglia (Roma) per verificare le possibilità di ottenere dal Concilio la richiesta di dichiarazione e per individuare le azioni da assumere in merito.

finalmente era arrivata una buona, anzi ottima notizia. Mons. Fiordelli, Vescovo di Prato, era intervenuto nel corso della seduta plenaria del 30 ottobre 1964 affermando, fra l’altro, che il documento denominato “Schema 13” «farà bene a parlare almeno per inciso anche dei figli illegittimi. Essi sono molti! Ad essi i genitori non diedero né nome né l’amore e nella società vengono purtroppo guardati con disprezzo; anzi essi stessi considerano il proprio stato come disonorante».

«Sia affermato il principio – aveva sostenuto Mons. Fiordelli – che i figli hanno il diritto di nascere in legittimo matrimonio, ma si dichiari al tempo stesso che se nati fuori dal matrimonio essi sono innocenti. Presso Dio ogni creatura è legittima, perché è Suo figlio. E perciò nessuna discriminazione è concepibile nei loro confronti, sia negli ordinamenti civili che in quelli ecclesiastici».

Inoltre aveva asserito la necessità che «il Concilio lodi quel genitore che, dopo avere dato illegittimi natali al proprio figlio, lo riconosce con amore e per lui vive, come pure lodi coloro che adottano gli illegittimi dando loro il proprio nome ed amore al posto dei genitori».

Nell’incontro avuto a Prato con Mons. Fiordelli acquisisco gli elementi di conoscenza necessari per sollecitare un intervento delle organizzazioni interessate (Ufficio internazionale cattolico, Unione internazionale degli organismi familiari, ecc.) affinché contattino direttamente i Padri conciliari disponibili.

Nel dicembre 1964 parlo al telefono con Mons. Achille Glorieux, Segretario della Commissione sull’apostolato dei laici, che mi segnala l’opportunità dell’invio di documenti alla Segreteria generale del Concilio da parte di organizzazioni cattoliche e laiche.

Di conseguenza in data 21 gennaio 1965 il Comitato internazionale d’intesa delle associazioni di famiglie adottive invia ai Mons. Felici, Segretario generale del Concilio e Glorieux, una lettera in cui, fra l’altro «ritiene di dover attirare molto rispettosamente la benevola attenzione del Concilio ecumenico sulla situazione dei minori senza famiglia e dei fanciulli illegittimi».

Nella lettera inviata ai Mons. Felici e Glorieux viene richiamata la dichiarazione delle Nazioni Unite del 1958 sui diritti del fanciullo e sono riportate le seguenti conclusioni del convegno “Prospettive cristiane sull’adozione” svoltosi a Lussemburgo nei giorni 1, 2 e 3 novembre 1963: «L’adozione è fondata sui diritti del minore. Il suo scopo essenziale è quello di garantire al fanciullo senza famiglia il diritto di vivere in un ambiente familiare che gli doni amore e sicurezza e che assicuri la sua educazione; la finalità è quella di soddisfare nello stesso tempo il diritto fondamentale di ogni essere umano di beneficiare della dignità sociale che si esprime in particolare nel possesso di uno status giuridico regolare. L’adozione, meglio di qualsiasi altra soluzione, è in grado di assicurare al minore il soddisfacimento del succitato duplice bisogno».

Ciò premesso, veniva affermato che «la semplice menzione dei vantaggi dell’adozione nel capitolo dello schema riguardante la Chiesa nel mondo di oggi dedicato alla famiglia, determinerebbe un rilevante incoraggiamento per tutti i popoli affinché promuovano l’adozione in modo da garantire il massimo benessere dell’infanzia senza famiglia».

Per quanto riguarda i fanciulli illegittimi, il Comitato internazionale di intesa delle associazioni di famiglie adottive, dopo aver sottolineato che «fra le più ingiuste discriminazioni riguardanti le persone, quelle concernenti l’illegittimità non sono le meno dolorose» e che detti soggetti «non hanno alcuna colpa» aveva espresso «il profondo riconoscimento» per il già citato intervento di Mons. Fiordelli, nonché la speranza della cancellazione delle discriminazioni contenute nel codice di diritto canonico (6).

Nel gennaio 1965, insieme a Erika Teresa Biavati, Presidente del Centro affidi e adozioni dell’Onmi di Bologna, avevo incontrato il Cardinale Giacomo Lercaro, Arcivescovo di Bologna, uno dei quattro Moderatori del Concilio al quale avevo segnalato l’estrema importanza di una presa di posizione in merito alle questioni dei minori senza famiglia e dei fanciulli con handicap, segnalando alla sua attenzione che «nello schema XIII non vi era il benché minimo accenno al bambino, alla sua dignità di persona umana ed ai suoi diritti» (7).

Con lettera del 25 gennaio 1965 il Cardinale Lercaro mi assicurava che «interesserò personalmente la Commissione dello Schema XIII».

Avevo preso altresì contatto con Mons. Emilio Guano, Vescovo di Livorno e Segretario della Com­missione preposta allo Schema XIII, al quale avevo segnalato con lettera del 28 gennaio 1965 che «nelle passate settimane ho partecipato ai lavori di una Commissione nominata da Mons. Quadri, ed ho avuto così modo di approfondire la conoscenza dello schema XIII» aggiungendo di «essere rimasto profondamente addolorato non avendo trovato alcun accenno al bambino sia per quanto riguarda la sua dignità di persona umana e il suo diritto a sviluppare la sua personalità sia per quanto riguarda due fondamentali segni dei tempi: le “scoperte” scientifiche sull’amore materno e paterno e sulla famiglia» (8).

 

Un appello dell’Anfaa

Nei mesi di luglio e agosto 1965 l’Anfaa aveva inviato a circa 2.200 Padri conciliari la lettera/appello (cfr. l’allegato 1) predisposta con la consulenza di Padre Giacomo Perico del Centro studi sociali di Milano.

Altre copie, circa 800, erano state spedite alle Segreterie delle Commissioni conciliari, a Periti conciliari, nonché a organizzazioni italiane e straniere e a persone che potevano sollecitare un pronunciamento del Concilio ecumenico Vaticano II sui bambini senza famiglia e sull’adozione.

Alla lettera/appello erano allegate:

a) le conclusioni della VI Commissione “Diritti dei bambini privi di un ambiente familiare normale” del Convegno mondiale sui diritti del fanciullo, organizzato dall’Ufficio internazionale cattolico per l’infanzia e dall’Ufficio internazionale dell’insegnamento cattolico, svoltosi a Beirut dal 16 al 23 aprile 1963;

b) i rapporti delle quattro Commissioni di lavoro del già citato convegno internazionale sul tema “Prospettive cristiane sull’adozione”, che aveva avuto luogo nella città di Lussemburgo nei giorni 1, 2 e 3 novembre 1963.

 

L’ottimo pronunciamento del Concilio

Nel Decreto sull’apostolato dei laici, il Concilio ecumenico Vaticano II ha inserito la seguente dichiarazione: «Fra le varie opere di apostolato familiare ci sia concesso di enumerare le seguenti: adottare come figli propri i bambini in stato di abbandono».

Si osservi che l’espressione latina del testo «Infantes derelictos in filios adoptare» dice molto di più di quanto risulti dalla traduzione italiana autentica. Infatti in filios esprime, e giustamente, «la risultanza effettiva di piena filiazione», mentre “come figli” può sembrare un semplice paragone (9).

 

Allegato 1

 

LETTERA/APPELLO INVIATA DALL’ANFAA

AI PADRI CONCILIARI

Eminenza Reverendissima,

Eccellenza Reverendis­sima,

in occasione della prossima sessione del Concilio ecumenico, mi permetto di inviarLe in allegato alcune considerazioni sull’infanzia abbandonata e sull’adozione.

Poiché trattasi di importante ed urgente problema umano e sociale, le cui dimensioni ed i cui riflessi sono vasti, spero vivamente sul Suo interessamento.

Le sarei molto grato se avesse la bontà di comunicarmi il Suo prezioso ed autorevole pensiero al riguardo.

Accolga, La prego, i più deferenti ossequi.

Il presidente dell’associazione

 

CONSIDERAZIONI SULL’INFANZIA

ABBANDONATA E SULL’ADOZIONE

Eminenza Reverendissima,

Eccellenza Reverendis­sima,

preso atto, con profonda soddisfazione delle note inviate al Concilio ecumenico dall’Ufficio internazionale cattolico per l’infanzia e dal Comité international d’entente des associations de parents adoptifs e soprattutto dell’intervento di S. E. Mons. Pietro Fiordelli (Civiltà cattolica - Quaderno 2758 del 15 maggio 1965), il quale ha chiesto che nello schema 13 del Concilio ecumenico Vaticano II si parli dei gravissimi e vitali problemi dei bambini e dei minori, in particolare degli illegittimi e degli abbandonati.

L’associazione nazionale famiglie adottive e affilianti pensa che anche un brevissimo accenno, inserito nello schema, eserciterebbe una notevole e favorevole influenza sull’opinione pubblica, sulle autorità, sugli educatori e sugli operatori assistenziali di tutti i paesi e arrecherebbe incalcolabili benefici alle centinaia di migliaia di minori abbandonati (in Italia oltre centomila), alle loro famiglie e alla società.

 

Dignità del bambino e del minore

Uno dei “segni dei tempi” più significativi è l’estensione del riconoscimento esplicito della piena dignità umana a categorie trascurate nel passato o tenute in condizioni di minorità dignitaria.

Lo schema 13 accenna espressamente alle donne, ai lavoratori e agli uomini di colore; in questo punto si potrebbe inserire anche un’altra categoria: i bambini ed i minori, specie quelli che soffrono per situazioni particolari.

Il riconoscimento al bambino, fin dalla nascita, della piena dignità di persona umana, anche se in formazione, anzi proprio perché in formazione e in sviluppo e quindi più bisognoso di tutela, di assistenza, di amore, di protezione è un fatto singolare dei nostri tempi, in connessione anche con lo sviluppo delle scienze mediche, psicologiche, pedagogiche, sociologiche, ecc.

Fra i riconoscimenti più autorevoli dei diritti dei bambini e dei minori si ricordano:

- la Dichiarazione dei diritti del fanciullo approvata all’unanimità dall’Assemblea delle Nazioni Unite il 20 novembre 1959;

- la Lettera enciclica “Pacem in terris”;

- la Carta sociale europea;

- le costituzioni dei nuovi stati;

- il Congresso mondiale sui diritti del bambino organizzato dal Bureau international catholique de l’enfance e dell’Office international de enseignement catholique (Beirut, 16-23 aprile 1963);

- il Congresso internazionale “Perspectives chrétiennes sur l’adoption”, organizzato dal Bureau international catholique de l’enfance e tenutosi a Lussemburgo nei giorni 1-2 e 3 novembre 1963;

- i numerosissimi studi e ricerche condotti dalle Nazioni Unite, dall’Organizzazione mondiale della salute, dall’Unicef, dall’Unesco, dal Consiglio d’Europa, da Enti internazionali, nazionali e da esperti di tutti i paesi.

 

Ruolo della famiglia

La famiglia è l’ambiente “naturale e insostituibile” per il sano e normale sviluppo fisico, psichico, intellettuale, morale, spirituale e sociale del bambino, del fanciullo e dell’adolescente. Tutto questo si fonda su ricerche scientifiche sempre più vaste ed approfondite.

L’evidenza dei fatti scientificamente accertati (vedasi John Bowlby, Soins maternels et santé mentale, Organisation mondiale de la santé, Genève, con la ricchissima bibliografia ivi citata), è tale da non lasciare adito a dubbi circa l’affermazione che il bambino, fin dalle primissime settimane di vita, ha bisogno delle cure costanti ed affettuose della madre (o della figura materna) e che deleteri sul piano fisico, psichico, intellettuale, morale, spirituale sono gli effetti della carenza di cure materne e il precoce, anche se breve, ricovero in istituti.

In definitiva è ormai accertato che anche il migliore istituto non può sostituire una normale famiglia, specie quando il bambino è in tenera età. Anche la dottrina giuridica va sempre più affermando il bisogno e quindi il diritto del bambino alla famiglia (vedasi Giacomo Perico S. J., L’adozione, Centro studi sociali, Milano; Salvatore Lener S. J., “Relazione al Congresso indetto dal Centro nazionale di prevenzione e di difesa sociale”, Milano, 28-29 e 30 settembre 1964; Pierre Pescatore, “Le droit naturel et l’adoption”, Sauvegard de l’enfance, dicembre 1964; Unione internazionale di studi sociali, Codice della famiglia, Edizioni di Civiltà cattolica).

 

Situazione attuale

Dal riconoscimento della dignità del bambino fin dalla nascita, dal carattere di indispensabilità della famiglia e dal bisogno alla famiglia stessa, derivano alcune importanti e fondamentali conseguenze nel campo della tutela e dell’assistenza all’infanzia:

- la necessità che le legislazioni e le varie istituzioni assistenziali si adeguino ai suindicati principi. Infatti avviene troppo spesso che la famiglia non è sufficientemente aiutata affinché possa provvedere direttamente all’allevamento, all’educazione dei figli e troppo sovente si constata che con il pretesto di assicurare al bambino prestazioni assistenziali questi venga separato dai suoi genitori, mentre sarebbe possibile (purtroppo non in tutti i casi, ma tuttavia in larga misura) evitare la disgregazione della famiglia e far assumere ad altri il suo ruolo. L’aiuto dovrebbe quindi essere diretto ad aiutare, consigliare, appoggiare, assistere la famiglia (genitori e figli), non ad allontanare i figli stessi;

- ad esempio, avviene quasi di regola che i minorati fisici e psichici, che oscillano fra il 2% e il 4% dell’intera popolazione, siano allontanati dalla famiglia e separati dalla società, mentre sarebbe doveroso – trattandosi di persone umane aventi maggiori diritti poiché con maggiori bisogni – favorire, per quanto possibile, la loro permanenza nella famiglia ed il loro inserimento nella società;

- nello stesso tempo dovrebbe essere favorita l’adozione dei minori legittimi o nati fuori del matrimonio rimasti orfani o abbandonati dai loro genitori e privi di adeguata assistenza da parte dei parenti. Infatti «i diritti non sono in effetti conferiti ai genitori che in riguardo alle responsabilità che essi assumono verso il bambino: questi diritti cessano di esistere quando i doveri relativi sono ignorati. Quando il bambino si trova in stato di abbandono, la società ha quindi il dovere di intervenire per far prevalere l’interesse reale del minore ed il possibile deve essere fatto per assicurargli una nuova famiglia» (dalle conclusioni del Congresso di Lussemburgo citato);

- l’Associazione famiglie adottive e affilianti rileva inoltre come molto spesso il personale degli istituti, che dovrebbe riunire il ruolo materno e paterno, sia privo di adeguata preparazione, come spesso manchi il coordinamento e la sorveglianza sulla conduzione degli istituti stessi, con gravissimi e sovente irreparabili danni sulla personalità degli assistiti. inoltre sovente avviene che i bambini in stato di completo abbandono non vengano affidati alle numerosissime famiglie che intendono adottarli. Su 284 domande indirizzate dall’Associazione ad altrettanti istituti privati non vi è stata una sola risposta positiva. Alcuni dirigenti hanno affermato che «l’istituto non aveva alcun interesse a cedere i suoi assistiti!»;

- auspica che l’attuale dispensa speciale per l’accesso al sacerdozio degli illegittimi sia abolita;

- fa presente inoltre che la famiglia non sia indispensabile soltanto per il sano e normale sviluppo del bambino ma anche perché egli mediante l’amore, la protezione dei genitori legittimi o adottivi, divenuto adulto possa assumere le doverose responsabilità civili, religiose, morali e sociali. Ed è evidente che chi è vissuto nel suo periodo formativo (infanzia, fanciullezza, adolescenza) in istituti, cioè al di fuori della famiglia, ben difficilmente potrà essere un buon genitore. Le statistiche purtroppo insegnano che è dagli abbandonati e da coloro che sono cresciuti in famiglie disgregate che proviene la gran massa degli asociali, dei delinquenti e delle prostitute;

- l’Associazione esprime quindi il desiderio e la speranza che nello schema 13 possa essere introdotto un accenno all’importante problema, che potrebbe essere riassunto così: fin dalla nascita il minore è persona umana e ha perciò diritto a un conveniente sviluppo personale, il quale trova il suo ambiente naturale ed insostituibile nella famiglia; per cui è auspicabile che le leggi facilitino l’inserimento in sani ambienti familiari dei minori in stato di abbandono e che la società e le autorità siano particolarmente sensibili a questo problema di autentica carità e solidarietà umana.

 

Bibliografia

- Autori vari, Perspectives chrétiennes sur l’adoption, Fleurus, 1962;

- Autori vari, Le problème de l’adoption, La Pensée catholique, Bruxelles, 1961;

- H. M. Oger O. P., “Le problème moral de l’adoption”, Nouvelle revue théologique, fascicolo 81 del 1959;

- H. M. Oger O. P., “Théologie de l’adoption”, Nouvelle revue théologique, n. 5, mai 1962;

- H. M. Oger O. P., “Les problèmes moraux, religeux et canoniques posés par l’adoption”, Nouvelle revue théologique, n. 11, decembre 1964;

- Salvatore Lener S. J., “Le riforme del diritto familiare e i minori senza famiglia”, Civiltà cattolica, quaderno 15, 1965;

- Salvatore Lener S. J., “L’adozione piena (o speciale) dei minori senza famiglia”, Civiltà cattolica, quaderno 17, 1965;

- Nations Unies, “Réunion mixte Onu/Oms d’esperts des problèmes de santé mentale se rattachant à l’adoption”, n. 70, 1953;

- Nations Unies, “Etude sur l’adoption des mineurs”, 1953.IV.19;

- Nations Unies, “L’adoption entre pays”, Un/Tao/Sem 1960;

- Conseil de l’Europe, “L’adoption des enfants”, Cm (64) 124.

 

 

 

* Quarto articolo sulle attività svolte dal volontariato dei diritti e sui risultati raggiunti.

(1) Cfr. “Anni ’60: iniziative dell’Anfaa per l’approvazione di una nuova legge sull’adozione dei minori senza famiglia”, n. 165, 2008. I precedenti articoli “La situazione dell’assistenza negli anni ’60: 50mila enti e 300mila minori ricoverati in istituto” e “L’assistenza ai minori negli anni ’60: dalla priorità del ricovero in istituto alla promozione del diritto alla famiglia” sono stati pubblicati sui numeri 163 e 164, 2008.

(2) Analoga era la situazione per il Belgio, la Francia e il Lussemburgo.

(3) Durante i lavori dell’Assemblea generale della Com­mis­sione internazionale dello stato civile svoltasi a Lussemburgo dal 6 al 9 settembre 1967, il rappresentante italiano aveva asserito che «la forma dell’atto di nascita e le modalità relative alla dichiarazione della madre di essere designata, cioè il riconoscimento del bambino, non dovrebbero in alcun modo essere modificate in conseguenza dell’applicazione della convenzione». Nel prenderne atto il Presidente dell’Assemblea aveva tuttavia osservato che «tutte le delegazioni non sono forse d’accordo con l’interpretazione italiana della convenzione». Cfr. l’articolo “Chi aveva ragione sulla interpretazione della convenzione relativa al riconoscimento della filiazione materna dei figli naturali?”, Prospettive assistenziali, n. 3/4, 1968.

(4) Si tenga presente che, tenendo conto dell’interesse del neonato, la Corte costituzionale con la sentenza n. 171 del 5 maggio 1994 ha disposto che «qualunque donna partoriente, ancorché da elementi informali risulti trattarsi di coniugata, può dichiarare di non volere essere nominata sull’atto di nascita».

(5) Purtroppo non è stato possibile rintracciare il testo della lettera.

(6) Come ho già ricordato nell’articolo riportato sul n. 163, 2008 di Prospettive assistenziali, nel codice di diritto canonico erano previsti i seguenti “Impedimenti degli illegittimi a cariche ecclesiastiche”:

• «Sono irregolari per difetto i figli illegittimi, sia che l’illegittimità sia occulta, oppure pubblica, a meno che non siano legittimati o abbiano pronunciato voti solenni». Pertanto per poter diven-tare sacerdoti, gli “illegittimi” dovevano ottenere una specifica dispensa;

• «Sono esclusi dalla dignità cardinalizia gli illegittimi anche se per un susseguente matrimonio siano stati legittimati e anche quelli irregolari»;

• «Sui vescovi: affinché sia idoneo deve essere nato da legittimo matrimonio, non però legittimato sia pure da un susseguente matrimonio»;

• «Coloro che accedono alle dignità abbaziali o prelatizie debbono avere le stesse qualità che il diritto richiede per i vescovi».

(7) Cfr. la lettera del 27 gennaio 1965 che avevo indirizzato a René Brunet, Segretario del Comitato internazionale di intesa delle associazioni di famiglie adottive.

(8) Al lavoro della Commissione nominata da Mons. Quadri aveva preso parte anche Piero Rollero, uno dei collaboratori più attivi dell’Anfaa.

(9) Cfr. Giacomo Perico e Francesco Santanera, Adozione e prassi adozionale, Centro studi sociali, Milano, 1968.