Prospettive assistenziali
n. 166 aprile
giugno 2009
Notizie
DIRITTO
ALL’INDENNITÀ DI ACCOMPAGNAMENTO
DURANTE IL RICOVERO IN OSPEDALE
La Corte di appello di Napoli dichiarava inammissibile
l’impugnazione di F. M. P., quale procuratrice di F. M. C., avverso la sentenza
del Tribunale di Napoli nella parte in cui aveva respinto la domanda di
condanna l’Inps al pagamento dei ratei d’indennità di accompagnamento. I
giudici di appello ponevano a fondamento della propria decisione il rilievo
fondante che l’assistito, dichiarato totalmente inabile e con necessità di
assistenza continua dalla Commissione sanitaria di primo grado, era ricoverato
presso una comunità terapeutica a totale carico dello Stato e pertanto non era
data al medesimo un’azione per accertare una situazione che pur essendo
giuridicamente rilevante non integrava da sola la
fattispecie costitutiva di un qualsiasi diritto soggettivo.
F. M. P., nella sua qualità, ricorreva in cassazione sulla base
di due motivi di censura. L’Inps depositava procura.
Motivi della
decisione
Con il primo mezzo d’impugnazione la ricorrente,
deducendo erronea applicazione delle leggi 118/1971 e 18/1980, assume che
proprio le S.U. di questa Suprema Corte nella sentenza n. 483/2000 richiamata
dai giudici di appello affermano che possono essere accertati in sede
giudiziaria i fatti costitutivi di una determinata posizione soggettiva.
Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando
violazione della legge 180/1978, allega che non esistono ricoveri perpetui
potendo sempre verificarsi che la prestazione ospedaliera venga meno. Le
censure, che in quanto strettamente connesse per
ragioni logiche e giuridiche, vanno trattate congiuntamente sono fondate.
Invero, la sentenza impugnata nel rigettare la domanda
dell’assistito non tiene affatto conto che costituisce
principio di diritto vivente nella giurisprudenza di questa Corte, quello
secondo il quale ai fini del diritto all’indennità di accompagnamento, prevista
dalla legge 11 febbraio 1980, n. 18 in favore dell’inabile non deambulante o
non autosufficiente, rileva esclusivamente il requisito sanitario descritto
dall’articolo 1 della stessa legge mentre non si richiede anche la condizione
del non ricovero dell’inabile in istituto, la quale si pone come elemento
esterno alla fattispecie e non costituisce ostacolo al riconoscimento del
diritto all’indennità bensì all’erogazione della stessa per il tempo in cui
l’inabile sia ricoverato a carico dell’Erario e non abbisogni
dell’accompagnatore (Cassazione 1549/2000 e 7917/1995).
Questa stessa Corte, del resto, ha sancito altresì che
in tema di indennità di accompagnamento, il ricovero
presso un ospedale pubblico non costituisce “sic et simpliciter” l’equivalente
del ricovero in istituto ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge n. 18
del 1980 – che esclude dall’indennità di accompagnamento gli “invalidi civili
gravi ricoverati gratuitamente in istituto” – e, pertanto, il beneficio può
spettare all’invalido grave anche durante il ricovero
ove si dimostri che le prestazioni assicurate dall’ospedale medesimo non
esauriscono tutte le forme di assistenza di cui il paziente necessita per la
vita quotidiana (Cassazione 2270/2007) e che in tema di indennità di
accompagnamento per coloro che subiscono trattamenti di chemioterapia il beneficio
può spettare all’invalido grave anche durante il ricovero in ospedale pubblico
ove si dimostri che le prestazioni assicurate dall’ospedale medesimo non
esauriscono tutte le forme di assistenza di cui il paziente necessita per la
vita quotidiana (Cassazione 25569/2008).
A tanto aggiungasi che con sentenze n. 9146/2002 e
11161/2003 questo Giudice di legittimità, ha ritenuto ammissibile l’azione di
mero accertamento dello stato invalidante a prescindere da qualsiasi domanda di
erogazione di una determinata prestazione, ben potendosi configurare
l’interesse ad agire in relazione ad uno “status”, quale
quello di invalidità totale, potenzialmente produttivo di una serie
indeterminata di diritti ricollegata dall’ordinamento alla condizione fisica
dell’invalido.
Il ricorso, pertanto, va accolto e la sentenza
impugnata va cassata, con rinvio, anche per le spese
del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Napoli in diversa
composizione che si atterrà al principio sopra richiamato.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza
impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte
di appello di Napoli in diversa composizione.
RISPOSTA
ALLE STRUMENTALI DICHIARAZIONI SULLA MANCANZA DI FONDI SUFFICIENTI PER
ASSICURARE CONDIZIONI DI VITA ACCETTABILI ALLE PERSONE
PIÙ
BISOGNOSE E DEBOLI
Controcittà,
mensile di informazione
su sanità e assistenza, edito dall’Associazione promozione sociale, che esce
dal 1976, ha pubblicato un numero speciale (supplemento al n. 1/2 2009) che è «la documentata risposta alle dichiarazioni
di Amministratori di Regioni, Province e Comuni secondo cui non ci sarebbero
fondi sufficienti per assicurare condizioni di vita, nemmeno quelle minimamente
accettabili, alle persone incapaci di autodifendersi (bambini, soggetti con
gravi handicap intellettivi, anziani malati cronici non autosufficienti,
malati psichiatrici, individui colpiti dal morbo di Alzheimer o da altre forme
di demenza senile).
Inoltre viene
segnalato che «a livello nazionale i
finanziamenti (decine di milioni di euro) sono saltati fuori per le banche e le
imprese» mentre «a livello della
Regione Piemonte sono esageratamente troppi i fondi stanziati per attività non
indispensabili per la vita dei cittadini».
Ai lettori di Controcittà è rivolto il seguente invito: «Se ti dicono che nel nostro Paese non ci sono i soldi per garantire ai
più deboli il minimo vitale, rispondi subito che non è vero e poi gli fai avere
copia di questa pubblicazione».
Mentre auspichiamo che analoghe iniziative siano assunte
dai gruppi di base (volontariato, organizzazioni di tutela dei soggetti deboli,
ecc.) delle altre Regioni, segnaliamo che il numero speciale di Controcittà verrà
inviato gratuitamente a coloro che lo chiederanno all’Associazione promozione
sociale, Via Artisti 36, 10124 Torino, tel. 011.812.44.69, fax 011.812.25.95,
e-mail: info@fondazione promozione sociale.it.
SENTENZA DELLA CORTE
COSTITUZIONALE: ANCHE I FIGLI CONVIVENTI
SONO LEGITTIMATI A FRUIRE DEL
CONGEDO PREVISTO PER LA CURA DEI SOGGETTI
CON
HANDICAP GRAVE
Importante la sentenza della Corte
costituzionale n. 19 del 26 gennaio 2009, depositata in Cancelleria il 30 dello stesso mese, in base alla quale viene dichiarata «l’illegittimità costituzionale
dell’articolo 42, comma 5 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (testo unico delle disposizioni
legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a
norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non
include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto
il figlio convivente in assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura della
persona in situazione di disabilità grave».
Ricordiamo che con le sentenze n. 151 del 2001, 233
del 2005 e 158 del 2007 la Corte costituzionale aveva riconosciuto
l’illegittimità costituzionale delle norme del succitato decreto legislativo
che non prevedevano il diritto al congedo dei fratelli e sorelle, nonché del coniuge convivente con la persona con handicap in
situazione di gravità.
UNA
PROVA DEL DISINTERESSE DELLE ISTITUZIONI: NON SI SA QUANTI SONO
I MINORI IN AFFIDAMENTO FAMILIARE A SCOPO EDUCATIVO
A proposito degli affidamenti familiari
di minori a scopo educativo nelle sintesi del 9° rapporto nazionale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza,
stampata da Vita nel dicembre 2008,
si segnala quanto segue:
«Dall’istruzione
dell’affidamento familiare sono trascorsi venticinque anni che impongono un
bilancio per valutare il grado di efficacia dell’intervento e la sua
adeguatezza al mutato contesto socio-economico e
culturale odierno. Ma un bilancio è impossibile. Salvo
pochissime eccezioni, infatti, nessuna Regione ha istituito una banca dati dei
minori in assistenza extrafamiliare sul suo territorio e neppure conosce il
numero dei suoi piccoli e silenziosi creditori. Anche i dati relativi
agli affidamenti non consensuali disposti dai Tribunali per i minorenni
fino al 2003 sono parziali e non esaustivi. Dal 31 dicembre 2006 l’affidamento
consensuale (basato sul consenso o sulla richiesta dei genitori) è diventato la
sola forma di assistenza extrafamiliare prevista dalla legge, essendo
consentito solo in via eccezionale il collocamento in comunità di tipo
familiare e vietato invece il ricovero dei minori in istituto. Può accadere
tuttavia che, se il consenso dei genitori viene
rifiutato ma il Servizio sociale reputa ugualmente necessario per il bene del
minore ricorrere all’affidamento anche contro la loro volontà, sia richiesto un
provvedimento del Tribunale per i minorenni (affidamento giudiziale): questo
affidamento dovrebbe rappresentare l’eccezione e non la regola. Tuttavia, tutte
le ricerche di cui disponiamo concordano nell’affermare che gli affidamenti
consensuali sono fortemente minoritari rispetto a
quelli giudiziali (…).