1964: PRESENTATA ALLA CAMERA DEI DEPUTATI UNA PROPOSTA DI LEGGE SULL’ADOZIONE LEGITTIMANTE DEI MINORI SENZA FAMIGLIA *

FRANCESCO SANTANERA

 

 

Contemporaneamente alle iniziative, assunte insieme al Comitato internazionale di intesa fra le associazioni di famiglie adottive, volte ad ottenere dal Concilio ecumenico Vaticano II un pronunciamento a favore dell’adozione dei bambini soli (1), l’Anfaa, Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie, aveva continuato ad agire affinché emergessero, a livello dell’opinione pubblica e degli esperti del settore, le condizioni occorrenti per riuscire ad avere dal Parlamento italiano una valida legge sull’adozione legittimante dei fanciulli senza famiglia. Di fondamentale importanza l’azione di denuncia dei deleteri effetti della carenza di una famiglia sui bambini ricoverati in istituto, compresi quelli con personale numericamente adeguato e professionalmente preparato.

Numerose erano state le persone e le organizzazioni sociali coinvolte; in un secondo tempo avevano appoggiato le iniziative dell’Anfaa anche alcune istituzioni, in particolare diverse Ammini­strazioni provinciali alle quali le leggi allora vigenti attribuivano le competenze relative all’assistenza dei figli di ignoti e dei minori nati fuori del matrimonio e rico­nosciuti solo dalla madre a condizione che questi ultimi, al momento della prima richiesta di assistenza, non avessero ancora compiuto il sesto anno di età (2).

Come ho già asserito in un precedente articolo, la scelta dell’Anfaa di far leva sulla denuncia delle sofferenze patite dai fanciulli istituzionalizzati e sulle necessità di prevenirle, a seconda delle situazioni, mediante idonei interventi di sostegno ai nuclei d’origine o con il loro più precoce possibile inserimento presso idonee famiglie adottive, aveva spianato la strada alle complesse problematiche dell’adozione. In quel periodo era molto raramente praticato l’affidamento familiare a scopo educativo; solo in alcune zone era esercitato il baliatico.

Pertanto il tema della carenza degli affetti familiari veniva prioritariamente proposto agli organi di informazione di massa, alle riviste specializzate, alle istituzioni e alle organizzazioni sociali affinché lo assumessero come argomento da inserire fra le loro iniziative, con particolare riguardo a quelle rivolte a convegni, conferenze e dibattiti (3).

Inoltre, essendo emerso che da parte di numerose persone l’adozione veniva considerata come una qualsiasi altra buona azione o era richiesta per risolvere problemi personali di solitudine o per sostituire figli premorti (cfr. gli allegati 1 e 2) e non come una vera filiazione, l’Anfaa aveva predisposto, insieme alla Sezione lombarda della Lega italiana per l’igiene mentale, l’opuscolo Voglio adottare un bambino (la prima edizione è del 1963), alla cui stampa avevano provveduto anche le Amministrazioni provinciali di Novara, Torino e Vercelli e ne aveva assicurato la diffusione di migliaia di copie.

In detto opuscolo veniva fra l’altro precisato che «i coniugi devono esaminare con ponderazione e serenità tutti i veri problemi che l’adozione di un bambino comporta». Inoltre alla domanda “Perché desidero adottare?” era consigliato di «rispondere con la massima sincerità, analizzando tutte le complesse ragioni che vi spingono a questo passo, perché un bambino non deve assolutamente essere adottato per un motivo quale i seguenti: per riempire la propria solitudine, per avere una compagnia nella vecchiaia, per salvare un matrimonio traballante, per compiacere l’altro coniuge, per trattenere a casa un marito disaffettivo, per sostituire un figlio morto, per compensare una delusione coniugale, per trasmettere un nome o un patrimonio, per “essere come gli altri”, per compensare il dolore causato dalla sterilità». Veniva altresì precisato che «l’adozione deve essere determinata soprattutto dal desiderio di donare al bambino un focolare, una famiglia ove egli si senta desiderato, amato, protetto ed educato». Inoltre erano fornite indicazioni circa l’informazione al bambino della sua situazione di figlio adottivo suggerendo che, se accolto fin dai primi mesi di vita, venisse fatta «non appena incomincia a comprendere qualche parola» (4).

 

Il sostegno di personalità cattoliche

Come ho già segnalato (5), avendo l’Anfaa ritenuto che le maggiori opposizioni ad una legge sull’adozione incentrata sulle esigenze dei bambini senza famiglia sarebbero pervenute dal mondo cattolico, erano stati coinvolti numerosi esponenti di questo orientamento. Contributi di notevole rilievo erano stati forniti dai Padri gesuiti Salvatore Lener e Giacomo Perico non solo in appoggio delle iniziative assunte dall’Anfaa e dal Comitato internazionale di intesa fra le associazioni di famiglie adottive nei riguardi del Concilio ecumenico Vaticano II (6), ma anche in merito alle innovazioni legislative richieste.

Dai vari e numerosi soggetti coinvolti venne quindi attuata una intensa e penetrante azione di sensibilizzazione rivolta a politici, amministratori, giuristi, operatori sanitari e sociali, nonché a personalità della Chiesa cattolica. Molto efficace, anche per i numerosi e puntuali riferimenti bibliografici, l’articolo di Padre Giacomo Perico  “L’adozione. Aspetti giuridici e morali. Opportunità di modifiche legislative”, pubblicato sui numeri 4 e 5, aprile-maggio 1964 di Aggiornamenti sociali (7) in cui, dopo aver esaminato l’evoluzione del concetto giuridico dell’adozione ed evidenziato le numerose e gravi carenze della vigente legislazione italiana relativa all’adozione e all’affiliazione, era presa in esame la bozza del progetto di legge predisposta dall’Anfaa (8) i cui contenuti verranno analizzati in seguito.

Per quanto riguarda gli aspetti etici, dopo aver rilevato che l’ambiente che possiede le migliori premesse per l’armonico sviluppo dei fanciulli è la famiglia, aveva puntualizzato che «la morale non può non accogliere con favore l’istituto dell’adozione» aggiungendo che «la morale non si ferma ad un semplice giudizio di accettabilità dell’affidamento adottivo. In forza dell’urgente bisogno di dare una famiglia a tanti bambini, essa afferma l’opportunità che l’attuale legge sull’adozione, con le sue anacronistiche limitazioni, venga modificata». aveva altresì espresso alcune valutazioni morali specifiche: la finalità preminente dell’adozione doveva essere quella di «dare una famiglia, il più possibile simile a quella naturale ai bambini che per qualunque ragione non l’hanno». Inoltre aveva evidenziato la necessità della riduzione del limite minimo di età degli adottanti (all’epoca stabilita in 50 anni, riducibile a 40 nei casi di comprovata sterilità), nonché l’opportunità dell’estensione dell’adozione alle coppie con figli adottivi o biologici. Nello stesso articolo Padre Perico auspicava l’approvazione di modifiche del diritto canonico per quanto concerne i divieti di accesso al sacerdozio e allo stato religioso previsti per i nati fuori del matrimonio (9).

Venuta a conoscenza di un articolo sui problemi morali dell’adozione del domenicano Padre H.M. Oger, cappellano di una agenzia privata operante in Belgio nel settore delle adozioni (10), riportato sulla Nouvelle Revue Théologique della celebre Univer­sità cattolica di Lovanio, l’Anfaa provvedeva alla traduzione e otteneva dalla direzione della rivista Problemi minorili, edita dall’Unione italiana per l’assistenza all’infanzia, la pubblicazione sul numero 1-2, gennaio-aprile 1964 (11).

L’appoggio di giornali e riviste

Una speciale attenzione era stata rivolta dal­l’Anfaa ai quotidiani e alle altre pubblicazioni divulgative, quali veicoli indispensabili per la diffusione delle notizie relative alle preoccupanti condizioni di vita dei bambini istituzionalizzati e alla necessità di una nuova legge sull’adozione.

Molto importanti erano stati gli articoli pubblicati su Oggi da Neera Fallaci (che in quel periodo li firmava Neera Ferreri) per la corretta presentazione delle vicende personali dei bambini e degli adulti, per le conseguenti implicazioni sociali, per l’abilità di collegare i casi singoli ai problemi generali, nonché per la capacità di coinvolgere i lettori non soltanto sul piano emotivo, ma anche sotto il profilo sociale. Ricordo, ad esempio, quello pubblicato sul numero 17, 1964 con il titolo “Volete offrire una famiglia a questi bambini abbandonati?”, in cui la loro esigenza di essere accolti al più presto possibile in famiglie a scopo di adozione era motivata non solo dalla mancanza di qualsiasi rapporto affettivo con i loro nuclei d’origine, ma era supportata da una intervista in cui mi aveva consentito di segnalare i complessi problemi dell’infanzia senza focolare e le vistose carenze del sistema assistenziale e dell’ordinamento giuridico, nonché di presentare le proposte dell’Anfaa. Nel numero 26, 1964, di Oggi, Neera fallaci, dopo aver ricordato che tutti i bambini segnalati nel precedente articolo «hanno trovato un focolare e l’affetto sicuro di una famiglia adottiva», tramite un’intervista all’assistente sociale Maria Attisani dell’Istituto provinciale per l’infanzia di Torino, aveva nuovamente evidenziato le negative conseguenze della carenza di cure familiari e preannunciato la presentazione di una proposta di legge volta all’inserimento nel nostro ordinamento giuridico di norme sull’adozione completamente innovative rispetto a quelle esistenti.

Numerosi e significativi contributi in appoggio all’azione dell’Anfaa erano stati pubblicati su La Stampa. In particolare Alessandro Galante Garrone, insigne giurista e noto storico, nell’articolo del 1° aprile 1964 “Bambini soli. L’adozione: un istituto da riformare”, aveva precisato che «oggi le indagini biologiche e sociologiche hanno luminosamente dimostrato che non è tanto il sangue, l’ereditarietà che conta nel predeterminare e atteggiare la condotta e il carattere stesso del fanciullo e poi dell’uomo, quanto l’ambiente in cui esso vive, l’educazione e l’esempio che riceve, l’affetto e le cure di chi lo alleva». Dunque «si è capito che l’adozione va fatta, prima di tutto, nell’interesse dell’adottando, per dargli una famiglia». Ciò premesso aveva proposto che «una saggia e meditata riforma dell’adozione» tenesse soprattutto conto di due problemi: «Il primo è quello della necessità di un rigoroso controllo dell’affidamento. Si sa che erano persino sorte delle imprese volgarmente speculative per affidare, specialmente a stranieri, i figli di povera gente già carica di figliolanza. All’infuori di questi casi estremi si pone l’esigenza di accertare che il bimbo sia affidato a un nucleo familiare ben saldo, moralmente sano, e che abbia di mira, prima di tutto, l’interesse dell’adottando. Questo vaglio rigoroso non può essere lasciato in balìa di enti o persone private. il meglio sarebbe valersi in ogni caso di un magistrato ad hoc, coadiuvato da assistenti sociali. L’altro punto, non meno essenziale, è quello di porre la famiglia adottiva al riparo dai tardivi riconoscimenti, dalle pretese, a volte perfino dai ricatti dei genitori. Se si vuole davvero che l’adozione assolva la sua altissima funzione sociale, e che gli adottanti non siano assillati da un angoscioso senso di precarietà, e che gli adottati non siano esposti a crisi sconvolgenti, bisogna avere il coraggio di affrontare il problema alla radice. sia il giudice ad accertare, dopo un congruo periodo, lo “stato di abbandono” o lo “stato di adottabilità”, come si vorrà chiamarlo. Intervenuta questa dichiarazione, non sia più consentito a nessuno di far valere il fatto puramente fisico della generazione» (12).

Rilevante anche l’appoggio di Emilio Germano, allora Presidente della I Sezione civile del Tribunale di Torino e attivo collaboratore de La Stampa (13).

Ricordo in particolare l’articolo “Occorre modificare la legge sull’adozione per dare una famiglia ai bimbi abbandonati” pubblicato su La Stampa del 9 gennaio 1964, in cui, dopo aver puntualizzato che «l’istituto dell’adozione disciplinato dal nostro codice civile si ispira ad un concetto tradizionale ormai superato in quanto ha essenzialmente per scopo di assicurare a chi non abbia figli o li abbia sfortunatamente perduti, discendenti onde permettergli di trasmettere il nome ed il patrimonio», veniva precisato quanto segue: «È dunque un rimedio benigno concesso dalla legge ed è, infatti, permesso solo alla persona che non abbia discendenti legittimi o legittimati od altri figli adottivi, per evitare ai figli già esistenti un danno successorio», aggiungendo che «l’adottando può essere parente od estraneo, legittimo od illegittimo, maggiore o minore di età, celibe od addirittura già sposato, in stato di abbandono o circondato dall’affetto dei propri genitori; in ogni caso egli conserva tutti i diritti ed i doveri verso la propria famiglia di origine». premesso che «l’interesse primo da tutelare è quello del bambino» l’Autore affermava che «il fine fondamentale della adozione non è solo di dare un figlio a chi non conosce tale gioia, ma di dare il conforto di una famiglia e di un focolare, uno stato civile e sociale, la sicurezza affettiva e materiale a chi ne sia sfortunatamente privo». Emilio Germano concludeva l’articolo sostenendo che «è urgente, dunque, che il nostro legislatore fondi su salde e nuovi basi l’adozione e la renda sicura, inattaccabile ed irrevocabile».

 

L’apporto dei convegni di studio

Per la diffusione delle informazioni sulle nefaste conseguenze della carenza delle cure familiari e per la promozione di una nuova legge sull’adozione, un ruolo molto importante era stato svolto da convegni, conferenze, tavole rotonde, dibattiti e analoghe attività. Anche se non risultava dai programmi, numerose erano state le iniziative caldeggiate dall’Anfaa, che spesso era intervenuta per individuare i temi da trattare, nonché i relatori più competenti e affidabili.

Mentre l’Anfaa continuava a svolgere un’azione di stimolo e di coordinamento, più le problematiche in oggetto venivano assunte da altre organizzazioni, più si consolidava il fronte degli innovatori e aumentavano quindi le possibilità di ottenere un riconoscimento  effettivo del diritto alla famiglia dei bambini soli. Fra le numerose manifestazioni (conferenze, dibattiti, tavole rotonde, ecc.) realizzate prima della presentazione (20 giugno 1964) della proposta di legge Dal Canton n. 1489, segnalo fra i principali convegni i seguenti:

- 9 aprile 1963, Milano, Fondazione Carlo Erba, simposio su adozione e affiliazione;

- 25 e 26 maggio 1963, Bologna,  Federazione italiana donne giuriste, convegno di studio sugli istituti dell’adozione e dell’affiliazione;

- 25, 26 e 27 ottobre 1963, Bologna, Unione regionale delle Province emiliano-romagnole, convegno “I nuovi orientamenti dell’assistenza ai cosiddetti illegittimi”;

- 18 e 21 febbraio 1964, Torino, Consiglio nazionale donne italiane, conferenza sul tema “Necessità e prospettive di un nuovo diritto di famiglia”;

- 7 maggio 1964, Torino, Fronte della famiglia, convegno su “Infanzia abbandonata e adozione”;

- 7 giugno 1964, Torino, Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie, convegno “Infanzia senza focolare e nuovi orientamenti dell’adozione”. Gli atti (2mila copie) erano stati predisposti dall’Anfaa e stampati a cura dell’istituto provinciale per l’infanzia di Torino.

Di notevole importanza il convegno organizzato dall’Ufficio internazionale cattolico per l’infanzia svoltosi a Lussemburgo nei giorni 1, 2 e 3 novembre 1963 sul tema “Prospettive cristiane dell’adozione”, i cui atti, redatti in francese, erano stati diffusi nel nostro Paese anche dall’Anfaa che ne acquistò un consistente numero di copie.

Mi fu particolarmente utile non solo la partecipazione al succitato convegno, ma anche – e in misura ancora superiore – seguire come allievo il corso di studi sull’adozione tenutosi a Parigi dal 21 settembre al 4 ottobre 1964 a cura del Centro internazionale per l’infanzia. Purtroppo, a causa delle allora mie pessime condizioni di salute, partecipai solo ai lavori della prima settimana, ma avevo avuto la preziosa opportunità di apprezzare il Dottor Michel Soulé ed i suoi collaboratori, fra i quali Janine Noël e Françoise Bouchard, esperte nelle problematiche psico-sociali, e Simone Veil, insigne giurista, che ricoprirà le funzioni di Ministro francese della sanità e di Presidente del Parlamento europeo.

 

Trasmissioni televisive

L’apporto della radio era stato abbastanza limitato. Aveva però avuto un certo seguito la rubrica “Incontri con lo psicologo”, in cui la nota psicanalista Mara Selvini Palazzoli aveva affrontato i seguenti temi: “Perché è sorta l’Associazione nazionale famiglie adottive e affilianti” (21 gennaio 1964) e “Il figlio adottivo deve sapere la verità?” (27 febbraio 1964). La televisione, invece, aveva incominciato molto timidamente a trattare le questioni sollevate dall’Anfaa mediante alcune trasmissioni di TV7 di cui ricordo le seguenti:

- 30 settembre 1963, Gli orfani vivi, durata 14’ e 14”;

- 7 ottobre 1963, Adottare un bambino, durata 12’ e 40”;

- 21 ottobre 1963, Gli orfani vivi, durata 1’ e 18”;

- 15 giugno 1964, Gli orfani della città, durata 19’ e 16”.

 

La sofferta preparazione del testo

della nuova legge sull’adozione

Sulla base delle decisioni del Consiglio direttivo nazionale dell’Anfaa, avevo preso contatto con l’On. Maria Pia Dal Canton, responsabile nazionale del settore assistenza della Democrazia cristiana, che si era dichiarata molto interessata al problema dei bambini soli, ma titubante sull’effettiva possibilità di una sollecita approvazione di una nuova legge sull’adozione. Per un approfondimento della questione aveva incaricato un funzionario della Dc, Lino Pasi, con il quale iniziai un lungo e tormentato rapporto.

Si scontrarono subito due posizioni: Lino Pasi riteneva fermamente che, anche allo scopo di facilitare l’iter parlamentare, occorresse introdurre solamente le modifiche essenziali alla legge vigente sull’adozione; da parte mia, facendo riferimento al diritto alla famiglia dei bambini, sostenevo invece che era assolutamente necessario reimpostare totalmente il problema e quindi introdurre norme decisamente innovative nel nostro ordinamento giuridico. In sostanza Lino Pasi intendeva confermare la natura contrattuale dell’adozione: gli aspiranti adottanti potevano continuare a ricercare un bambino o una bambina da accogliere, gli enti pubblici o privati ne presentavano uno (in certi casi addirittura ne consentivano la scelta fra quelli disponibili) e, raggiunti i limiti di età previsti dalla legge per il o gli adottanti, l’autorità giudiziaria ne pronunciava l’adozione.

Certo, una diminuzione del vigente limite minimo di età (che – ripeto – era di 50 anni, riducibili a 40 nei casi di comprovata impossibilità ad avere figli biologici) avrebbe favorito l’inserimento familiare di un certo numero di bambini.

Rimaneva però irrisolto il problema di fondo: di fatto l’adozione era vincolata dagli enti pubblici e privati di assistenza (cfr. gli allegati 3 e 4). Se essi non intendevano ridurre i loro utenti, in concreto i bambini restavano in istituto fino alla loro maggiore età e, in certi casi, anche dopo.

Al riguardo ricordo nuovamente che, nonostante le numerose domande di adozione, nel 1960 erano ben 21.113 i bambini non riconosciuti assistiti: prova inconfutabile dell’inaccettabile potere degli organismi assistenziali sul futuro dei bambini senza famiglia (14). C’era altresì il rischio che l’adozione continuasse ad essere concessa alle persone singole e vietata a coloro che avevano figli biologici. Inoltre, per l’adozione dei minori legittimi o riconosciuti non solo occorreva il consenso dei genitori, ma la legge allora vigente, pur attribuendo i poteri pa­rentali agli adottanti, non prevedeva la rottura dei rapporti giuridici fra l’adottato e il suo nucleo d’origine.

A ciò si aggiungeva l’inerzia spesso paralizzante dei tribunali per i minorenni, anche a causa delle gravi carenze dei loro organici (magistrati, cancellieri e altri addetti).

Dopo aver illustrato la situazione esistente, avevo quindi presentato a Lino Pasi la proposta dell’Anfaa riguardante la preventiva dichiarazione di adottabilità nei riguardi dei minori privi di alcun sostegno da parte dei genitori e dei congiunti (15).

La proposta dell’Anfaa venne inizialmente respinta, ma ad ogni incontro (le discussioni sempre molto accese, spesso duravano giornate intere), la riproponevo. Altri principali aspetti dell’impegnativo confronto avevano riguardato l’età massima dei bambini adottabili (3-5-10 anni?), l’organo giuridico competente (tribunale per i minorenni o Corte di appello), i ricorsi da prevedere per evitare ingiustificate sottrazioni di minori ai loro nuclei d’origine, nonché i complessi problemi concernenti l’affidamento preadottivo e gli effetti giuridici dell’adozione. Un altro scoglio era rappresentato dall’età degli adottanti. Mentre era pienamente condivisa la necessità di ridurla, non era stata accolta – soprattutto nella fase iniziale della discussione – la proposta dell’Anfaa di stabilire una differenza minima di età fra gli adottanti e adottando, poi concordata in 20 anni e quella massima, dopo lunghe dispute, stabilita in 45 anni.

Ovviamente, fra un incontro e l’altro con l’On. Maria Pia Dal Canton e Lino Pasi, i soci attivi dell’Anfaa si adoperavano per chiedere appoggi ad organizzazioni e persone al fine di ottenere una nuova legge sull’adozione veramente dalla parte dei bambini senza famiglia.

Una attenzione particolare era rivolta ai Parla­mentari dei partiti comunista e socialista, in modo che le richieste dell’Anfaa fossero sostenute nel modo più ampio possibile.

Dopo ogni serie di incontri con Lino Pasi (alle volte ero costretto a restare a Roma anche 2-3 settimane di seguito per incontri con giornalisti e altre persone interessate da coinvolgere, ecc.), relazionavo ai soci dell’Anfaa, in particolare alla vice Presidente Bianca Guidetti Serra, e provvedevo ad una doppia stesura delle questioni discusse: un testo era redatto sulla base dell’adozione contrattuale patrocinata dallo stesso Pasi, un altro era fondato sulla preventiva dichiarazione di adottabilità come previsto dal­l’Anfaa.

Mano a mano che i lavori procedevano erano state smussate le parti che sollevavano maggiori obiezioni, obiezioni che diminuivano mano a mano che all’On. Dal Canton venivano segnalate nuove adesioni alle proposte dell’Anfaa.

Tuttavia l’On. Dal Canton rinviava di settimana in settimana la presentazione al Parlamento del disegno di legge di riforma dell’adozione, anche per il fatto che vi erano oppositori aventi un non trascurabile peso politico.

Ad esempio, Monsignor Giovanni De Menasce, direttore della scuola di servizio sociale Ensiss di Roma, aveva assunto una posizione nettamente contraria all’adozione dei minori legittimi e di quelli riconosciuti. Infatti nella lettera inviata all’Anfaa il 19 settembre 1963 aveva ribadito le forti riserve manifestate in un incontro svoltosi nelle precedenti settimane a Roma presso l’Ufficio studi sui problemi assistenziali della Dc, precisando che la richiesta dell’Anfaa riguardante l’adozione legittimante dei «fanciulli esposti e quelli abbandonati da famiglie già costituite» era «condannata all’inefficacia e se riuscisse ad ottenere dei risultati, temo che sarebbero spesso insoddisfacenti». Aveva aggiunto di aver recentemente constatato che in Francia «per abbandonati che posseggono una propria famiglia insufficiente e malsana (…) il tipo di rapporto che si stabilisce [con la legittimazione adottiva, n.d.r.] è fittizio e oltranzista». Inoltre Mons. De Menasce riteneva «assurdo» che il minore adottato con adozione legittimante stabilisse rapporti con «gli zii e i nonni».

Non intendendo assolutamente ignorare le esigenze affettive e formative delle migliaia di fanciulli legittimi e riconosciuti ricoverati in istituto, avevo ritenuto necessario ricercare l’appoggio di altri sacerdoti, se possibile più autorevoli del De Menasce, anche perché temevo che uno scontro diretto con l’Anfaa potesse avere ripercussioni negative per la riforma dell’adozione.

Dopo aver incontrato molte porte chiuse (è sempre stato alto il numero delle persone che amano il quieto vivere), incontrai a Milano Monsignor Gio­vanni Battista Guzzetti dell’Università del Sacro Cuore, che mi disse che «non sarebbe stato morale non pensare a questi bambini e che la morale cattolica impone che a tutti i bambini abbandonati, quale sia la loro situazione giuridica, sia trovata, se possibile, una famiglia e che questa famiglia, appena costituitasi, deve essere tutelata e debbono cessare tutti i rapporti con la famiglia, se così si può chiamare, d’origine» (16).

Avevo ricevuto altre rassicurazioni da Don Aceti, direttore dell’autorevole rivista del Clero e di Don Paolo Liggeri, direttore dell’istituto La Casa di Milano e della rivista avente la stessa denominazione (17). Fra i numerosi altri ostacoli incontrati segnalo quello della Presidente del Comitato di patronato dell’Onmi, Opera nazionale per la protezione della maternità e dell’infanzia di Bologna che, nella lettera inviatami il 19 novembre 1963 mi informava che «è emerso dalla discussione dei bilanci del Ministero di grazia e giustizia il programma di una revisione completa dei codici con assoluta precedenza di un “codice della famiglia”. Pertanto non è più il caso di presentare “proposte di legge” che come tali non verrebbero più discusse alla Camera». Alla Presidente del succitato Comitato avevo risposto il 14 dicembre 1963 sostenendo che il nuovo istituto dell’adozione doveva «avere una struttura simile a quella della legittimazione adottiva francese. Dallo studio delle varie legislazioni è però apparsa una grave lacuna nell’applicazione pratica. In definitiva in Francia e negli altri Paesi si deve purtroppo constatare che, mentre la legge permette e favorisce l’adozione dei non riconosciuti e dei riconosciuti o legittimi in stato di abbandono, manca una definizione chiara del bambino abbandonato». Segnalavo pertanto quanto segue: «L’Anfaa suggerisce che venga definito questo stato (che in senso positivo preferiamo chiamare stato di adottabilità) allo scopo di dare una famiglia ai bambini dichiarati dal tribunale per i minorenni privi di ogni assistenza familiare da parte dei genitori, di parenti e affini. Il bambino che si trova in queste condizioni dovrebbe assumere un nuovo status giuridico (che non rispecchierebbe che la sua situazione di fatto), appunto lo stato di adottabilità. Questo status do­vrebbe dare tutte le garanzie ai genitori del bambino, ai suoi parenti e affini onde evitare che un minore possa essere strappato alla sua famiglia che lo assiste e nello stesso tempo dovrebbe dare una va­lida famiglia al bambino privo di genitori o con genitori che ignorano completamente i loro doveri» (18).

A seguito delle pressioni esercitate dall’Anfaa e dai sostenitori di un nuovo istituto giuridico dell’adozione tramite interventi personali, articoli, convegni, ecc., finalmente nella primavera del 1964 si giunse ad un incontro decisivo. Erano presenti, fra gli altri, le On. Maria Pia Dal Canton, Maria Eletta Martini e Giannina Petrini Cattaneo, Padre Salvatore Lener, Lino Pasi e lo scrivente. Veniva preso inizialmente in esame il progetto fondato sull’adozione contrattuale, ma dopo una lunga e approfondita discussione fu scelto quello predisposto dall’Anfaa, presentato come una stesura predisposta non dall’Anfaa, ma dalla stessa Dal Canton.

In data 20 giugno 1964 veniva finalmente presentata alla Camera dei Deputati la proposta di legge n. 1489 “Legittimazione per adozione a favore dei minori in stato di abbandono” (19) il cui testo verrà riportato nel prossimo articolo.

 

Allegato 1

LETTERA DEL 9 AGOSTO 1963

Io sono sposata, vivo con mio marito, la mia età 58, marito 61, siamo sposati da 31 anni, figli non ne abbiamo mai avuti, man mano che gli anni passano sento maggiormente la solitudine, la mia salute è sempre stata un poco delicata, ho sempre sentito il desiderio di filiare oppure adottare una bambina orfana, ma per diverse ragioni non mi sono mai decisa. Io sono molto sensibile e la mia indecisione sta nella paura di fare una scelta sbagliata sia che la bambina un domani si facciano vivi i propri genitori a reclamarla, oppure man mano che la bambina cresce e un domani sapendo che io non sono la sua vera mamma non ricambierebbe il mio affetto, questo per me un grande dispiacere. Quanto alla mia età non più giovane, noi viviamo di pensione, non possediamo né case né terreni viviamo della nostra pensione, mi piacerebbe ci fosse una giovinetta dai quattordici anni anche in su, sempre orfana, in grado di guadagnare il suo pane, sempre che sia disposta ad affezionarci, che sia affettuosa, rispettosa, sana, gioviale le offriremmo non la ricchezza, perché non ne abbiamo, ma il nostro affetto, il calore della nostra casa, il sorriso di una donna da chiamare mamma.

 

Allegato 2

LETTERA DEL 27 APRILE 1964

Siamo due insegnanti con 40 anni di servizio, abitiamo sul lago Maggiore in una villa ricca di giardino, luce, aria. Avendo persi due gemelli nel 1935, da anni stiamo cercando una bimba od un bimbo da adottare legalmente, nel modo più assoluto legalmente. Vorremmo come unica condizione l’inesistenza dei genitori del piccolo! O per morte o per incognita, i genitori non dovrebbero esistere. Vorremmo dar tutto di noi a questo nostro figliolo ma con alcun pericolo di complicazioni, ritorni di fiamma, di ricorsi, di diritti da parte di terzi: né oggi né mai. Siamo convinti che in Italia piccoli che siano orfani di entrambi i genitori e che all’età di sei, sette, otto anni necessitino di una famiglia, di quelle vere, ve ne siano ancora, vero? In attesa di eventuale vostro invito a Torino per aver schiarimenti, vi allego qualche nostra referenza utile al caso. Che Iddio ci faccia felici e noi faremo felice per tutta la vita quell’essere cristiano che ci verrà affidato.

 

Allegato 3

L’assessore agli enti locali della Regione autonoma della Sardegna con lettera del 29 luglio 1964 prot. 3 CA/2508 S.P. aveva rivolto all’Anfaa «le più vive premure in favore della signora A.B., insegnante di ruolo, residente a Cagliari, in Via…, la quale ha inoltrato domanda a codesto istituto in data 7 giugno u.s., tendente ad ottenere l’adozione di una bambina». L’Assessore precisava che «si tratta di persona di ottima moralità e di condizioni economiche tali da poter assicurare un’esistenza dignitosa alla bimba che la medesima intende adottare» e aggiungeva: «Le sarò, pertanto, assai grato se vorrà esaminare con ogni migliore benevolenza la possibilità di affidare alla mia raccomandata una delle bambine del suo istituto». Da notare che, mentre la richiesta veniva inoltrata all’Anfaa di Torino, negli istituti provinciali di Cagliari e di Sassari al 31 dicembre 1964 erano ricoverati 30 lattanti e 49 divezzi e ragazzi non riconosciuti e quindi certamente affidabili a scopo di adozione.

 

Allegato 4

In data 28 aprile 1964 il Presidente dell’Anfaa inviava la seguente lettera a Don Rosario Caratozzolo della Parrocchia di Montebello Jonico, Reggio Calabria: «Rispondo alla sua lettera indirizzata al Direttore di Oggi. Mi sembra strano che il brefotrofio di Reggio Calabria non possa soddisfare le locali richieste di adozione poiché i dati in mio possesso (Annuario statistico dell’assistenza e della provvidenza sociale del 1961) indicano un notevole numero di bambini non riconosciuti e assistiti dal locale brefotrofio. Infatti al 31 dicembre 1960 risultano presenti 37 lattanti e 90 divezzi e ragazzi non riconosciuti e vi saranno certamente – purtroppo – molti bimbi riconosciuti o legittimi che sono in stato di completo abbandono. I suoi parrocchiani potrebbero quindi rivolgersi al locale brefotrofio e alla sede provinciale dell’Opera nazionale per la protezione della maternità e dell’infanzia. In caso di insuccesso potrebbero rivolgersi all’Istituto provinciale per l’infanzia che ha sede in ogni capoluogo di Provincia (a Roma in Via di Villa Pamphili 84, a Torino in Corso Giovanni Lanza 75, a Milano in Viale Piceno 60, ecc.). Purtroppo molte lettere che ricevo confermano sempre più che mentre è considerevole il numero di famiglie che intendono adottare e mentre è grandissimo il numero dei bambini in stato di abbandono (oltre 200mila) nulla o poco viene fatto per dare ad essi un focolare. Ciò nella ingiustificata e colpevole trascuratezza dei diritti dei bambini senza famiglia».

 

 

* Quinto articolo sulle attività svolte dal volontariato dei diritti e sui risultati raggiunti.

(1) I precedenti articoli apparsi su Prospettive assistenziali sono i seguenti: “La situazione dell’assistenza negli anni ’60: 50mila enti e 300mila minori ricoverati in istituto”, n. 163, 2008; “l’assistenza ai minori negli anni ’60: dalla priorità del ricovero in istituto alla promozione del diritto alla famiglia”, n. 164, 2008; “Anni ’60: iniziative dell’Anfaa per l’approvazione di una legge sull’adozione dei minori senza famiglia”, n. 165, 2009; “I minori senza famiglia negli anni ’60: rapporti internazionali e un appello dell’Anfaa al Concilio ecumenico vaticano II”, n. 166, 2009.

(2) Se i minori erano riconosciuti anche dal padre la competenza ad intervenire era dell’Onmi, Opera nazionale per la protezione della maternità e dell’infanzia, o di altri enti a seconda della categoria di appartenenza del genitore, come è stato precisato nel primo articolo.

(3) Nella lettera inviata all’Anfaa il 3 marzo 1964, Annamaria Sarti Dell’Antonio, dopo aver segnalato la necessità di  «una revisione dell’attuale sistema legislativo in merito all’adozione», riteneva in base alla sua esperienza professionale «ogni giorno più pressante» porre in atto iniziative di approfondimento sui «rapporti reciproci tra adottante e adottato soprattutto nella fase iniziale, perché in questa fase si condizionano i successivi rapporti affettivi fra essi. E questo non solo per i bambini presi già grandicelli (sopra i 3-4 anni), ma anche per i bambini presi all’età di un anno (età minima attualmente al brefotrofio di Roma per affidare all’esterno un bambino)».

(4) Numerose erano state le persone, compresi molti soci dell’Anfaa, rimasti impressionati dai dolorosi fatti segnalati dal Corriere di informazione del 3 gennaio 1964 e da Il Giorno dell’8 dello stesso mese. Due giovani, uno di 19 anni di Savona e l’altro di 16 a Roma, si erano suicidati avendo appreso all’improvviso di essere stati adottati.

(5) Cfr. l’articolo pubblicato sul n. 165, 2009 di questa rivista.

(6) Vedi l’articolo riportato sul n. 166, 2009 di Prospettive assistenziali.

(7) Segnalo altresì l’articolo di Padre Giacomo Perico, “Tutela giuridica e assistenza dei figli nati fuori dal matrimonio”, pubblicato nei numeri 1 e 2, gennaio-febbraio 1965 di Aggiornamenti sociali.

(8) In allegato all’articolo in oggetto, Padre Giacomo Perico aveva inserito due pagine con il titolo “Perché è sorta l’Associazione nazionale famiglie adottive e affilianti”.

(9) Come già segnalato nell’articolo del n. 163, 2008, l’allora vigente codice di diritto canonico prevedeva i seguenti “Impedimenti degli illegittimi a cariche ecclesiastiche”:

• «Sono irregolari per difetto i figli illegittimi, sia che l’illegittimità sia occulta, oppure pubblica, a meno che non siano legittimati o ab­biano pronunciato voti solenni». Pertanto per poter diventare sa­cerdoti, gli “illegittimi” dovevano ottenere una specifica dispensa;

• «Sono esclusi dalla dignità cardinalizia gli illegittimi anche se per un susseguente matrimonio siano stati legittimati e anche quelli irregolari»;

• «Sui vescovi: affinché sia idoneo deve essere nato da legittimo matrimonio, non però legittimato sia pure da un susseguente matrimonio»;

• «Coloro che accedono alle dignità abbaziali o prelatizie debbono avere le stesse qualità che il diritto richiede per i vescovi».

(10) Numerose erano in Belgio, in Francia e in altri Paesi le agenzie private di adozione. Si tratta di una attività che giustamente non è praticata in Italia per quanto concerne le adozioni nazionali.

(11) Allo scopo di diffondere l’articolo di Padre Oger l’Anfaa aveva acquistato duemila estratti.

(12) Nell’articolo in oggetto Alessandro Galante Garrone si riferisce all’affidamento a scopo di adozione. Ricordo anche l’editoriale de La Stampa dell’8 maggio 1963 intitolato “Vittoria della giustizia” in cui Alessandro Galante Garrone plaudiva alla decisione delle Sezioni riunite civili della Corte di Cassazione che eliminava l’obbligo del padre, che aveva avuto un bambino fuori dal matrimonio, di precisare che la donna, che non intendeva essere nominata, non era coniugata. In assenza di detta precisazione gli ufficiali di stato civile non accettavano la dichiarazione di nascita presentata dal padre del neonato. Da notare che in quel periodo non era ammesso il riconoscimento dei figli (definiti adulterini) nati fuori dal matrimonio da persone coniugate.

(13) Emilio Germano è stato anche il primo presidente dell’Ulces (Unione per la lotta contro l’emarginazione sociale) che è stata costituita nel 1965 con la denominazione di Unione italiana per la promozione dei diritti del minore.

(14) Da notare che, prima delle iniziative dell’Anfaa, nessun operatore sanitario o sociale aveva denunciato pubblicamente le pur vistose carenze degli istituti di ricovero e le devastanti conseguenze sui minori. Non erano nemmeno state assunte iniziative per segnalare l’assurda situazione delle migliaia di bambini non riconosciuti che non venivano affidati alle migliaia di aspiranti adottanti.

(15) Cfr. il capitolo “La dichiarazione di adottabilità: presupposto imprescindibile per adozioni corrette” dell’articolo pubblicato sul n. 165, 2009 di Prospettive assistenziali. Come ha precisato Bianca Guidetti Serra, preziosa vice presidente dell’Anfaa, nel recente volume Bianca la Rossa edito da Einaudi, «già nel 1963 avevamo elaborato una prima bozza di legge che discutemmo in convegni e incontri di studio, ricevendo consensi e critiche anche vivaci». Fra gli altri più attivi soci dell’Anfaa di quel periodo, ricordo Giuseppe e Liliana Cicorella, Ernesto Mereghetti, Eolo Mazzotti ed Eros Tamisari. Fra i non soci, prezioso era stato il contributo del noto pediatra Vincenzo Menichella, vice direttore del brefotrofio di Roma, nonché quello già ricordato dei padri gesuiti Salvatore lener e Giacomo perico.

(16) Mia lettera dell’11 ottobre 1963 a Eros Tamisari, validissimo presidente della sezione laziale dell’Anfaa.

(17) L’istituto “La Casa” di Milano non era una struttura di ricovero, ma svolgeva una intensa attività di promozione culturale. Pubblicava non solo la rivista La Casa, ma anche il periodico trimestrale Riflessi e un notiziario.

(18) In data 24 febbraio 1964 avevo segnalato a René Brunet, Segretario generale dell’Associazione francese delle famiglie adottive quanto segue: «Ho ancora presente l’intervento molto valido di uno dei vostri associati all’Assemblea generale svoltasi nel mese di aprile 1963 riguardante le migliaia di fanciulli abbandonati che vivono negli orfanotrofi e le migliaia di domande di adozione inevase. Come Le avevo detto a Lussemburgo [convegno svoltosi nei giorni 1, 2 e 3 novembre 1963, n.d.r.], ho riflettuto a lungo sulla questione e nella redazione del progetto di legge (di cui continuo ad aspettare la presentazione) sono giunto alle seguenti conclusioni: a) in tutti i Paesi le opere private e l’assistenza pubblica non affidano volentieri o non affidano affatto i bambini che hanno legami giuridici con la loro famiglia d’origine; b) gli stessi adottanti non desiderano accogliere bambini con il rischio che vengano loro tolti o di essere coinvolti in lunghi e costosi processi; c) il periodo intercorrente fra l’ingresso del minore nella famiglia adottiva e il momento in cui l’adozione è pronunciata è privo di una adeguata protezione». Ciò premesso, segnalavo di ritenere necessario quanto segue: «Creare uno status particolare per il bambino abbandonato» consentendo ai parenti di origine del fanciullo di «poter intervenire prima e, per un periodo di tempo molto breve, dopo la dichiarazione di adottabilità, per evitare la sottrazione dei bambini alle famiglie che li vogliono allevare, ma nei riguardi dei fanciulli affidati a scopo di adozione non dovrebbe essere ammesso alcun intervento da parte del nucleo d’origine». Precisavo infine che «la procedura dovrebbe essere giudiziaria e non semplicemente amministrativa». Da notare che, come ho già ricordato, sulla base delle proposte avanzate dall’Anfaa, il legislatore francese ha accolto il principio della dichiarazione preventiva dello stato di adottabilità nella legge 11 luglio 1966, n. 66-500, definendolo purtroppo “stato di abbandono”.

(19) Presentatrici della proposta di legge erano state le Deputate della Democrazia cristiana Maria Pia Dal Canton, Margherita Bontade, Maria Cocco, Elisabetta Conci, Erisia Gennai Tonietti, Maria Eletta Martini, Amalia Miotti Carli, Giannina Petrini Cattaneo, Emanuela Savio e Vittoria Titomanlio.