IL LIBRO BIANCO DEL MINISTRO SACCONI
E L’UMILIANTE ELEMOSINA DELLA SOCIAL CARD
MAURO PERINO *
Premessa
Come ormai noto, la Carta acquisti – più conosciuta,
grazie ai titoli degli organi di stampa, come Social Card – è stata introdotta
con la manovra finanziaria dell’estate 2008 (legge 6 agosto 2008, n. 133) (1)
per «soccorrere le fasce deboli di
popolazione in stato di particolare bisogno» mediante un credito di 40 euro
al mese (corrispondenti alla strabiliante somma di 1,31 euro al giorno)
finalizzato a fronteggiare le «straordinarie
tensioni cui sono sottoposti i prezzi dei generi alimentari e il costo delle
bollette energetiche, nonché il costo per la fornitura di gas da privati».
Con due successivi decreti, emanati congiuntamente dal Ministero dell’economia
e delle finanze e dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche
sociali (2), sono stati individuati quali destinatari della tessera elettronica
prepagata – che viene ricaricata di 80 euro a bimestre e permette di acquistare
generi alimentari scontati del 5% nei negozi convenzionati (3) e di accedere
alla tariffa sociale per l’energia elettrica – gli anziani con oltre
sessantacinque anni aventi un reddito
Isee inferiore a 6.000 euro (8.000 se ultrasettantenni) e le coppie con
figli da 0 a 3 anni anch’esse con Isee inferiore a 6.000 euro.
L’elargizione è però concessa non solo «a quella parte della popolazione che vive
al di sotto del minimo vitale e perciò sollecita interventi tempestivi e
diretti per rimuoverla» (4), ma
anche a coloro che da soli o insieme al coniuge sono proprietari di un immobile
ad uso abitativo (di qualsiasi valore economico) per una quota non superiore al
25%, di altri immobili non ad uso abitativo o di categoria C7 (anche in questo
caso indipendentemente dalla loro rilevanza economica) per una porzione non
superiore al 10%, non posseggano più di un’auto di qualunque pregio essa sia e
hanno beni mobiliari di importo non superiore ai 15 mila euro. «Dunque – come osserva Francesco
Santanera – la Social Card non soltanto
intercetta solo una piccola parte di poveri (…) ma, e a mio avviso questo fatto
è gravissimo, anche persone che non ne hanno alcuna necessità. (…) Aiutare solo
i veri poveri non è una questione ideologica ma, a mio avviso, di autentica
giustizia sociale. È quindi confermato che non
è assolutamente vero quel che il Ministro Sacconi ha affermato su Vita del
12 dicembre scorso sostenendo che “per la prima volta la politica pubblica in
Italia si ingegna ad individuare un’area della povertà assoluta”» (5).
L’illegittimità costituzionale
delle norme sulla Social Card
Prima di formulare ulteriori osservazioni sui
contenuti dei provvedimenti normativi con i quali è stata istituita la Social
Card, occorre ricordare – con riferimento alla legittimità degli stessi – che,
secondo il disposto dell’articolo 117, comma 2, lettera m) della Costituzione,
allo Stato è assegnata la competenza che riguarda esclusivamente la «determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti
su tutto il territorio nazionale» e
che ogni altra funzione legislativa e regolamentare in materia di assistenza
sociale è attribuita alle Regioni.
Ed è proprio in base alla considerazione che gli
interventi previsti dai commi da 29 a 38-ter
dell’articolo 81 della succitata legge n. 133/2008, hanno l’esplicita
finalità di «soccorrere le fasce deboli
di popolazione in stato di particolare bisogno» – senza però determinare
alcun livello essenziale per quanto attiene alle prestazioni individuate – che
le Regioni Emilia Romagna e Piemonte
hanno, molto opportunamente, presentato ricorso alla Corte costituzionale
per la dichiarazione dell’illegittimità costituzionale dei commi del decreto
riferiti alla Social Card. Certamente prima del pronunciamento della Corte
costituzionale proseguirà la messa in atto della Social Card. Ma, a prescindere
dai tempi con i quali la Corte si esprimerà, è importante – come osservato da
questa rivista – che venga espressa «una decisione che impedisca la reiterazione
di analoghe iniziative e che stabilisca l’obbligo dell’erogazione di tutti i
fondi socio-assistenziali alla Regioni e ai Comuni, di cui vi sono esempi
positivi di intervento nei confronti degli indigenti» (6). In ogni caso,
invece di violarne il dettato, è proprio alla Costituzione – e non ad un
malinteso spirito caritatevole – che il Governo dovrebbe far riferimento se
davvero intende contrastare condizioni di disagio economico e di vera e propria
povertà presenti nel Paese. Dando in primo luogo attuazione all’articolo 38 con
il quale si stabilisce che «ogni
cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha
diritto al mantenimento e all’assistenza sociale».
Le fonti di finanziamento della Carta
Il Fondo speciale per il finanziamento della Carta
acquisti, istituito con la legge n. 113/2008, viene alimentato: dalle somme
riscosse in eccesso, dagli agenti della riscossione, da soggetti iscritti a
ruolo; dalle somme conseguenti al recupero dell’aiuto di Stato; dalle somme
versate dalle cooperative a mutualità prevalente; con trasferimenti dal
bilancio dello Stato; con versamento a titolo spontaneo e solidale effettuati
da chiunque, ivi inclusi, in particolare, le società e gli enti che operano nel
comparto energetico (7). Sulla base di tali previsioni normative, oltre ad un
finanziamento iniziale di 170 milioni di euro, stanziati con il decreto del
Ministro dell’economia e delle finanze n. 96257 del 2 settembre 2008 – a fronte
del quale il Governo ha provveduto, nel 2008, a decurtare il Fondo nazionale
per le politiche sociali di 271 milioni di euro – sono state devolute al Fondo
per la Carta acquisti le “donazioni a
titolo spontaneo e solidale” di Eni S.p.A ed Eni Foundation (200 milioni di
euro, di cui 100 milioni da versare entro il 31 dicembre 2008 e 100 milioni
entro il 30 giugno 2009) e di Enel S.p.A ed Enel Cuore Onlus (50 milioni di
euro, di cui 25 milioni entro il 31 dicembre 2008 e 25 milioni entro il 30
giugno 2009) (8). Infine, con il decreto del Ministro dell’economia e delle
finanze n. 16792 del 18 febbraio 2009, è stata versata sul Fondo la somma di
485.572.317 euro derivante dal recupero di aiuti di Stato.
Un nuovo decreto sulla Carta acquisti
Con il decreto del Ministero dell’economia e delle
finanze del 27 febbraio 2009 (9) il Governo ha provveduto ad apportare alcune integrazioni e modifiche ai precedenti
criteri di individuazione dei titolari della Carta acquisti.
Nella sostanza il nuovo provvedimento non modifica l’impianto delle
misure definite con i decreti precedenti. Come informa il sito del Governo, in
una pagina pubblicata l’11 marzo 2009 (10), le integrazioni e le modifiche
contenute nel decreto di febbraio «sono
state introdotte sulla base degli elementi acquisiti nella prima fase di
operatività del programma e in seguito all’aumento delle disponibilità
finanziarie acquisite (donazioni Eni, Enel e recupero aiuti di Stato)».
Grazie al concorso di tali fattori si è dunque provveduto a prorogare il
termine di scadenza (slittato ad aprile 2009) per richiedere la Carta con
accreditamento retroattivo per i mesi di ottobre, novembre e dicembre 2008 e
del bimestre gennaio-febbraio 2009. Si è inoltre previsto che, a partire dal
2009, le soglie Isee di accesso vengano rivalutate annualmente in base alla
percentuale di incremento delle pensioni. Ferme restando le condizioni relative
agli immobili di proprietà e al possesso dell’auto, quest’anno la Carta
acquisti spetterà pertanto: agli anziani, cittadini e residenti italiani, tra i
65-69 anni, con redditi o pensione fino al limite Isee di 6.198 euro l’anno
(dai 70 anni la soglia sale fino a 8.264 euro l’anno) ed alle famiglie con
figli sotto i 3 anni, con indicatore Isee di 6.198 euro l’anno.
Il decreto prevede inoltre che l’accreditamento delle somme (40 euro
mensili, che restano tali) non venga più effettuato dal bimestre successivo, ma
da quello corrente e, nel caso in cui il beneficiario perda uno dei requisiti
(come, per esempio, il superamento dell’età dei tre anni a metà bimestre),
l’effetto non si ripercuoterà sulla misura della ricarica bimestrale che
resterà di 80 euro. Viene poi disposto il diritto alla Carta anche per gli
“incapienti”, ovvero per le persone il cui reddito, ai fini Irpef, risulta pari
a zero. Ed ancora: la Carta potrà essere utilizzata anche per acquistare
prodotti farmaceutici e parafarmaceutici e viene estesa la possibilità di
intestarla ad una persona di fiducia, anche agli «esercenti la potestà sui beneficiari che hanno impedimenti di natura
fisica o che sono soggetti a provvedimenti restrittivi dell’Autorità
giudiziaria».
Il decreto si rivolge anche alle amministrazioni e alle associazioni
coinvolte nel programma «chiedendo in
particolare all’Inps la “tempestività” della verifica dei requisiti di chi
richiede la carta e a Enti locali e Caf di collaborare sia nella fase di
promozione dell’iniziativa, sia in quella di rilascio: nel primo caso
attraverso attività volontarie di supporto alla presentazione delle domande,
nel secondo (dopo apposita convenzione e autorizzazione del Ministero del
lavoro), incaricandosi di raccogliere le domande e trasmetterle all’Inps, per
poi inviare la carta acquisti direttamente alla residenza del beneficiario»
(11). Infine si stabilisce che le
Regioni, le Province autonome e gli Enti locali potranno integrare – previa stipulazione
di appositi protocolli d’intesa con il Ministero dell’economia e delle finanze
e con il Ministero del lavoro, della
salute e delle politiche sociali – i versamenti al Fondo di finanziamento della
Carta acquisti «vincolando l’utilizzo dei
propri contributi a specifici usi a favore dei residenti nel proprio ambito di
competenza territoriale».
La riscoperta della donazione
caritatevole
Con il nuovo decreto la Social Card viene sempre più chiaramente proposta come una sorta di
collettore nazionale nel quale far confluire le donazioni – pubbliche e
private – che vengono individuate come lo strumento centrale di un nuovo
sistema di sicurezza sociale. Del resto – come si può leggere nel Libro bianco sul futuro del modello sociale –
«Non si può (…) non ricordare il
contributo che danno alla sostenibilità del nostro sistema di welfare le tante
azioni generose che ogni giorno, singolarmente o in modo associato o
cooperativo, compiono gli italiani. Nessun sistema potrà fare a meno dei
sacrifici, grandi o piccoli, che tantissime persone donano quotidianamente per
il bene comune concorrendo alla coesione sociale. La storia del nostro Paese sembra una vera e propria storia del dono,
grazie alle opere che sono nate a sostegno, tutela e promozione della persona. Dalla
salute alla educazione, dalla casa al lavoro, non ci sono spazi che l’impeto di
carità non abbia coperto in maniera sapiente, umile ed elastica. La
distribuzione non omogenea di tali attività è peraltro determinata dalle
caratteristiche dei diversi modelli organizzativi dei servizi pubblici locali.
Ove questi sono inefficienti e non valorizzano le funzioni territoriali non
creano le condizioni per lo sviluppo del volontariato che ha bisogno della
assegnazione di ruoli definiti. La inefficienza si rivela così doppiamente
onerosa» (12).
In sintesi, se
“l’impeto della carità” non ha ancora risolto completamente il problema del
disagio sociale, la colpa è dei servizi pubblici locali che non hanno
saputo organizzare le proprie attività in funzione del sostegno al
volontariato. Per il futuro occorre dunque «confermare
e rafforzare gli strumenti di sostegno dello Stato alle iniziative generose
della società, dalle agevolazioni fiscali alle donazioni, alla regolazione
agevolata delle imprese sociali, alla possibilità per i contribuenti di
disporre liberamente di una parte del prelievo fiscale a loro carico
indirizzandolo a soggetti meritevoli opportunamente selezionati» (13). La risposta alle fondamentali esigenze
di vita non viene dunque ricercata operando sul terreno dei diritti ma
attraverso l’elemosina che, proprio perché discrezionale, non rappresenta
affatto una garanzia.
Ovviamente occorre incoraggiare «le iniziative generose della società», specialmente nelle
situazioni di emergenza, ma dette iniziative – data la loro natura
discrezionale – non possono e non devono sostituire le funzioni del settore
pubblico volte a garantire le esigenze fondamentali di vita. Analoghe
considerazioni valgono per l’importantissimo apporto del volontariato.
In ogni caso, nell’immediato, l’intenzione del Ministro
Sacconi è di ampliare la Social Card: «aumenteremo
per via amministrativa il numero di fruitori tra gli anziani in condizioni di
disagio e dei bambini in famiglie in stato di povertà. L’importante è avere
attivato, attraverso questo strumento, la prima rilevazione concreta della
cosiddetta platea del “bisogno effettivo”: quella della povertà assoluta. Poi è
fondamentale avere attivato attraverso la carta
un canale di comunicazione con il mondo delle donazioni. A questo proposito
faccio un appello: i privati che vogliono realizzare donazioni o gli enti
locali che vogliono proteggere i più deboli, usino questo canale» (14).
Un approccio compassionevole alla
povertà “estrema e rara”
Posto che – come affermato nel Libro bianco – «la carità, componente essenziale dell’uomo,
si esplica quotidianamente nel lavoro e nella inesausta inventiva di ciascuno,
impegnato a rispondere al bisogno proprio e altrui», che la carità «ha letteralmente dato un volto al nostro
Paese» e che solo da essa «nasce una
capacità di costruzione sociale», quale strumento migliore della Carta
acquisti si poteva inventare per promuovere un rinnovato esercizio di tale
virtù? Di ciò è convinto il Ministro, secondo il quale «la “carta acquisti” – comunque giudicata nel suo primo ingresso –
ha oggettivamente introdotto un moderno e anonimo canale di comunicazione tra
le istituzioni, gli eventuali donatori privati e una platea del bisogno
assoluto che nel tempo dovrà essere ulteriormente identificata affinando i
criteri di selezione. Essenziale è il ruolo responsabile delle organizzazioni
caritatevoli come dei servizi socio-sanitari territoriali – ove sono integrati
con quelli assistenziali – e delle autonomie locali, soggetti idonei a concorrere
a selezionare i destinatari di questi interventi straordinari e a realizzare
buone pratiche da sostenere e diffondere. La povertà assoluta, proprio per la
sua condizione estrema e rara, non trova facilmente rappresentazione sociale e
politica. È auspicabile che i diversi approcci culturali, da quello
compassionevole a quello strutturale, convergano verso soluzioni pragmatiche –
e reversibili ove inefficaci – con il solo scopo di raggiungere risultati
tangibili».
Che la povertà non trovi adeguata rappresentazione
sociale e politica è cosa nota! Ma
affermare che essa è “rara” a fronte del fatto che il 4,1% di italiani vivono
in condizione di povertà assoluta (Istat 2007) (15) non è certo veritiero! Quel che di certo si può rilevare è la non
volontà di affrontare il problema da parte di tutti i Governi che si sono
avvicendati alla guida del Paese: compreso quello in carica che dal novero dei
beneficiari della Carta acquisti – inizialmente stimata in circa 1,3 milioni di
persone – ha escluso non solo i soggetti con handicap invalidanti
impossibilitati a svolgere attività lavorativa e privi di qualsiasi altra
risorsa economica che continueranno a ricevere la miserevole pensione mensile
di 255,13 euro (importo 2009), ma anche tutte le persone con meno di
sessantacinque anni, senza figli di età inferiore ai tre anni, in situazione di
oggettiva povertà, comprese quelle a reddito zero (16). Inoltre, come si è
osservato in premessa, a fronte di tali esclusioni – e con buona pace della
millantata “platea del bisogno assoluto” – ha previsto che il beneficio venga
concesso anche a chi possiede i patrimoni immobiliari elencati in precedenza,
un’automobile (di qualunque pregio), dei risparmi (che non incidono sull’Isee
se contenuti in 15.000 euro) e che – magari – abbia effettuato, in precedenza,
donazioni dei propri beni.
Infine, con riferimento al ripetuto richiamo del
Ministro al concetto di carità, occorre osservare che, nei testi esaminati,
essa viene declinata esclusivamente come una pratica umiliante di elemosina: senza considerare che, come ha di
recente ricordato il Cardinal Martini, «far
del bene, aiutare il prossimo è certamente un aspetto importante ma non è
l’essenza della carità.(…). La carità non è elemosina. La carità predicata da
Gesù è partecipazione piena alla sorte degli altri. Comunione degli spiriti,
lotta all’ingiustizia» (17).
Lo stigma sociale della Social Card
Quanto all’affermazione che la Social Card rappresenta
«un moderno e anonimo canale di
comunicazione» è sotto gli occhi di tutti che si tratta – al contrario – di
uno strumento che impone uno stigma
sociale agli utilizzatori: costretti a rivelare pubblicamente – sia
all’atto della richiesta del sussidio che nel momento dell’utilizzo dello
stesso per l’acquisto di beni e servizi – la propria non autosufficienza
economica ed anche una sorta di “inabilitazione” a scegliere cosa acquistare.
La Carta acquisti è infatti una misura malamente
copiata dal programma statunitense del Supplemental
Nutrition Assistance Program (ex Food Stamps) finalizzato a permettere, ai
nuclei familiari a basso reddito, di acquistare i cibi necessari ad una dieta
alimentare adeguata, con esclusione degli alcolici, del tabacco, delle vitamine
e delle medicine. Tali esclusioni fanno comprendere che il programma di
sostegno americano è essenzialmente rivolto a cittadini che coniugano la
povertà economica con comportamenti devianti. Di qui la scelta della debit card elettronica in quanto
strumento idoneo a controllare che le risorse pubbliche trasferite vengano
utilizzate per l’acquisto di cibo e beni primari e non per procurarsi alcool e
droga. Nella versione italiana la Carta acquisti è invece destinata a soggetti
(anziani e nuclei con figli entro i tre anni di vita) che non manifestano, in
genere, comportamenti tali da rendere sconsigliabile l’utilizzo di una normale
contribuzione in denaro o di una integrazione del reddito da essi già
percepito. Per tali ragioni non si può
che esprimere un giudizio radicalmente negativo su uno strumento «che per le sue caratteristiche pone il
povero nella condizione di “dichiararsi implicitamente” ogni volta che usa la
Carta acquisti» (18). Ed è in tal senso sorprendente che Emanuele Ranci
Ortigosa – dopo aver osservato che nel Libro bianco non viene detto nulla di
concreto sul tema del contrasto alla povertà – affermi però che detto problema «potrebbe essere affrontato anche a partire
dalla Social Card, per spingersi però decisamente oltre, in termini sia di
universalismo selettivo sia di sostegno per la valorizzazione delle opportunità
e attivazione dei soggetti» (19).
Una misura costosa, pasticciata e iniqua
Con l’utilizzo della Carta acquisti si impone un
modello assistenziale emarginante che si fonda su un presupposto non vero (20):
quello secondo il quale «i destinatari
saranno “gli ultimi degli ultimi che spesso non hanno alcuna rappresentatività
ai tavoli”». Un modello che inoltre, come si è detto, il Ministro Sacconi,
intende rendere “strutturale” affermando che «in futuro lo strumento in questione “potrà veicolare altre cose
attraverso i canali del dono e della liberalità”» (21). In sostanza «il Governo
sembra deciso a insistere sulla Social Card, nonostante questo strumento non abbia fin qui rispettato le attese,
piuttosto che optare per un irrobustimento delle pensioni minime. I requisiti
fissati dalla manovra estiva del 2008 hanno di fatto limitato a poco meno di
600mila gli accessi a questo strumento rispetto agli oltre 1,2 milioni
preventivati. Di conseguenza i 450 milioni stanziati sono rimasti in gran parte
inutilizzati» (22) e quindi «il fondo inutilizzato per il bonus è stato
dirottato sull’Abruzzo» (23).
Ma, oltre ai giudizi
non certo lusinghieri espressi da molti organi di stampa, a far sorgere
qualche dubbio in seno al Governo sulla
validità dello strumento, dovrebbero contribuire i dati sui costi
presentati da Giovanna Boursier nella trasmissione televisiva “Report” del 5
aprile 2009 (24).
Secondo la giornalista, a fine marzo 2009 «su 1 milione e 300mila destinatari previsti dal Ministro Tremonti (…) le carte attivate sono 517mila, e 700mila
quelle richieste». «Tirando le somme,
per produrre 2 milioni di carte e attivarne un terzo, abbiamo speso 2 milioni e
170mila euro nella carta, 400mila euro per spedire 1 milione e 300mila lettere
a presunti beneficiari, altri 10 milioni e mezzo per i Caf per la compilazione
dei moduli, 2 milioni nel personale dei call center, poi c’è la pubblicità e la formazione degli addetti. In totale
dovrebbero essere circa 21 milioni» (25).
Inoltre, come segnala Maria Vittoria Orsolato in un
articolo di fine gennaio 2009, «pare che
negli ultimi tempi il Codacons abbia avuto un boom di contatti. Una marea
inferocita di pensionati e genitori single ha fatto appello all’associazione in
difesa dei consumatori per denunciare un fenomeno che le molte sibille dark
dell’informazione nostrana avevano
paventato: la Social Card promossa dal Governo è una truffa. Si era già parlato
di come fosse difficile raggiungere gli standard indicati nel modulo Isee, ma
oltre al danno per le migliaia di persone ingiustamente escluse si aggiunge –
come nelle migliori commedie all’italiana – la beffa di quanti la Social Card
l’hanno ricevuta ma non l’hanno ancora utilizzata. Secondo i dati forniti
dall’Inps, già al primo pagamento 190mila carte di credito su 520mila erogate –
circa un terzo – risultano scoperte. (…) Ciò è dovuto al fatto che il Governo
manda le tessere alle persone in lista, senza fare preventivamente le
necessarie verifiche sulla situazione reddituale» (26).
Come osserva Morena Piccinini, segretaria confederale
Cgil, «dai primi risultati della fase di
avvio della Social Card si prefigura il fallimento della misura, sul quale il
Governo farebbe bene a riflettere (..): un numero di richieste molto inferiore
al numero dei beneficiari previsto; disfunzioni di tipo organizzativo che
aumentano il disagio e la vergogna di chi sta utilizzando la carta; un uso
della carta da parte di componenti ordini religiosi che, seppur nullatenenti,
non vivono gli stessi disagi e le tante difficoltà di altre categorie sociali» (27).
Già, perché la Social Card – che certamente non ha
raccolto un plauso generalizzato da parte dei beneficiati (28) – si è rivelata
invece uno strumento particolarmente
efficace per il sostegno economico del clero. Ed a conferma di ciò si è
assistito ad un vero e proprio «boom di
ritiri della Social Card a Verona, ma a detenere il primato è una piccola
località della provincia, Castelletto di Brenzone, dove ne sono state
consegnate 50. La ragione di un così massiccio ricorso alla carta acquisti
ministeriale, conferma la Direzione comunicazioni e relazioni esterne del
Triveneto di Poste Italiane, è legata alla significativa presenza nell’area di
istituti religiosi. Dai dati diffusi dalle Poste (…) sono oltre 300 le suore e
i frati che, risultando nullatenenti, hanno già ottenuto la Card recandosi a
ritirarla personalmente negli uffici postali del capoluogo scaligero» (29).
Un boom che è destinato ad estendersi visto che, con
l’ultima stesura del decreto, si è previsto il diritto al sussidio a
prescindere dal requisito di “incapienza”. Come infatti segnalava Avvenire nel mese di dicembre 2008, «il requisito principale “l’età minima di 65
anni” si accompagna alla condizione di “soggetto incapiente”, cioè di persona
la cui imposta Irpef risulti pari a zero nei due anni che precedono la
richiesta della Social Card. Il non possedere redditi (condizione propria dei
religiosi fino a 64 anni di età) e quindi l’assoluta inesistenza dell’Irpef
nell’anno o nei due anni anteriori alla richiesta della carta, anziché
agevolare, impediscono l’immediato diritto al beneficio. È il caso del
religioso che da quest’anno ha ricevuto l’assegno sociale avendo compiuto
l’età, e che negli anni 2007/2006 non è stato neppure interessato alle
dichiarazioni dei redditi. Questa condizione lo costringe ad attendere l’età
dei 66 (oppure dei 67) anni, prima di avere diritto alla carta nel 2009 (o nel 2010), sempre che
il sistema dell’agevolazione, come impostato, prosegua senza altre modifiche» (30). Modifiche che sono invece
provvidenzialmente intervenute!
Considerazioni conclusive
è evidente che, per
intervenire a sostegno degli anziani e delle famiglie con figli minori in
condizioni di indigenza, sarebbe stato sufficiente aumentare l’importo di
alcune misure – già previste dallo
Stato e palesemente al di sotto dei valori economici definiti “accettabili”
dall’Istat nel rapporto sulla povertà assoluta (31) – quali gli assegni sociali
(409,05 euro per 13 mesi) e gli assegni
per nuclei con Isee non superiore a 22.480,91 euro annui e tre figli minori
(124,89 euro per 13 mesi). Si sarebbero così evitati sprechi e, magari, si
sarebbe potuto intervenire anche sulla pensione
di invalidità civile (255,13 euro per 13 mesi che, a certe condizioni ed a
richiesta dell’interessato, possono essere incrementati di ulteriori 10,33
euro) erogate a persone di età compresa
tra 18 e 59 anni (32) e sull’indennità di accompagnamento (472,04 euro per
12 mesi) destinata alle persone che abbisognano di assistenza continuativa non
essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita.
Inoltre, invece di tagliare sistematicamente i fondi
per il settore sociale (33), si dovrebbe finalmente provvedere alla definizione ed al finanziamento dei livelli essenziali
di cui all’articolo 22 della legge 328/2000 prevedendo che i Comuni titolari
delle funzioni mettano doverosamente in atto opportune misure di contrasto
della povertà e sostegno al reddito; per favorire la vita autonoma e la
permanenza a domicilio di persone totalmente dipendenti o incapaci di compiere
gli atti propri della vita quotidiana; per il sostegno dei minori in situazione
di disagio e dei loro nuclei familiari.
Purtroppo, per ragioni “ideologiche”, si è invece
preferito avviare un marchingegno palesemente finalizzato a far passare una
nuova morale del welfare, «fondata sulla
progressiva privatizzazione delle responsabilità, che significa che gli
individui devono assumersi l’impegno di rispondere ai propri bisogni di salute
e di benessere» (34). In una
società che si vuole dinamica e costituita da soggetti autonomi i cittadini
devono, infatti, essere in grado di contare solo su stessi. Agli altri – quelli
meno capaci di competere o più sfortunati – dovranno provvedere, secondo il
Governo, le «iniziative generose della
società» (anch’esse private e,
come tali, del tutto discrezionali)
con il supporto degli «strumenti di
sostegno dello Stato» volti a promuoverle e a favorirle: «dalle agevolazioni fiscali alle donazioni,
alla regolazione agevolata delle imprese sociali, alla possibilità per i
contribuenti di disporre liberamente di una parte del prelievo fiscale a loro
carico indirizzandolo a soggetti meritevoli opportunamente selezionati»
(35). La Social Card mette in campo – come si è visto – molti di questi strumenti. Per questa ragione
si può considerare come un primo esperimento
finalizzato ad avviare la transizione verso uno Stato sociale minimo. Una
riforma da realizzare perseguendo gli obiettivi indicati nel Libro bianco del
Ministro Sacconi: «Il “superamento della
distinzione fra pubblico e privato”, elemento fondamentale del “welfare delle
opportunità”, attraverso il ridimensionamento del pubblico e il riscatto del
privato, erroneamente considerato “amorale”; lo sviluppo di un sistema che
“stimoli la responsabilità del singolo”: è l’idea della persona protagonista
della propria salute, che “cerca prima di tutto di potenziare le proprie
risorse per rispondere al bisogno”; lo “sviluppo di un sistema a più pilastri”,
con un pilastro a “capitalizzazione reale” anche nella sanità e “nuove forme
integrative di assistenza sanitaria e socio-sanitaria”; il riconoscimento del
valore del “dono e della solidarietà”, anche rafforzando “gli strumenti di
sostegno dello Stato”, quali le agevolazioni fiscali, in grado di promuoverne
le straordinarie potenzialità. Quattro punti che rivelano l’intenzione di
puntare a un sistema completamente nuovo: di fronte alla malattia dovremo
imparare a potenziare le capacità individuali di risposta, sperare nella
pratica della carità, acquistare coperture assicurative integrative e smetterla
di pensare che il servizio pubblico sia in grado di fornirci un parere più
disinteressato del privato» (36).
* Direttore del Cisap, Consorzio dei servizi
alla persona dei Comuni di Collegno e Grugliasco (Torino).
(1) Legge 6 agosto 2008, n. 133, “Conversione
in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante
disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione
tributaria”.
(2) Decreto 16 settembre 2008 “Criteri e
modalità di individuazione dei titolari della Carta acquisti, dell’ammontare
del beneficio unitario e modalità di utilizzo del Fondo di cui all’articolo 81,
comma 29, del decreto-legge convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto
2008, n. 113” e decreto 7 novembre 2008 “Integrazione dei criteri e delle
modalità di individuazione dei titolari della Carta acquisti, dell’ammontare
del beneficio unitario e modalità di utilizzo del Fondo di cui all’articolo 81,
comma 29 del decreto-legge convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto
2008, n. 113”.
(3) «Confcommercio,
Confcooperative-Federconsumo, Confesercenti, Federdistribuzione e Lega
Cooperative hanno aderito a una convenzione per il riconoscimento ai
beneficiari della Social Card di uno sconto del 5% sulle spese effettuate con
la stessa carta. Lo sconto sarà cumulabile con le altre iniziative promozionali
o sconti applicati dai negozi e potrà essere riconosciuto direttamente sul
conto finale di spesa, oppure mediante buoni utilizzabili per i successivi
acquisti. I negozi convenzionati saranno riconoscibili dal simbolo del
programma Carta acquisti esposto sulla vetrina». Valerio Stroppa,
“Donazioni deducibili”, Italia Oggi, 19
dicembre 2008.
(4) Ministero del lavoro, della salute e delle
politiche sociali, Libro bianco sul
futuro del modello sociale - La vita buona nella società attiva, 2009.
(5) Francesco Santanera, “Social Card,
obiezioni e confusione”, Vita, 13
febbraio 2009.
(6) Editoriale Op. cit.
(7) Decreto 11 dicembre 2008, “Disciplina dei
criteri e modalità per i versamenti a titolo spontaneo e solidale e per la
partecipazione all’iniziativa della Carta acquisti”. Con il provvedimento del
Ministero dell’economia e delle finanze si stabilisce che, in base alle somme
versate, i “benefattori” potranno avere
la qualifica di: “donatore” (per versamenti inferiori a un milione di
euro nel corso di un anno solare);
“donatore partecipante” (per versamenti di importo pari o superiore a un
milione di euro); “donatore sostenitore” (per versamenti di importo pari o
superiore a venti milioni di euro); “donatore sostenitore dell’anno” (per
versamenti di maggiore importo, comunque superiore a venti milioni di euro).
Infine i donatori potranno entrare nella
“lista d’onore”, riservata a coloro che effettueranno versamenti per un
importo complessivo pari o superiore a cento milioni di euro. Alle varie
qualifiche corrisponde la possibilità di reclamizzare in diversi modi
l’adesione al programma della carta (dall’utilizzo del logo e dei marchi della
Carta acquisti associati al proprio marchio e logo in campagne pubblicitarie,
alla facoltà di chiedere la presenza del proprio logo in campagne istituzionali
organizzate dai Ministeri dell’economia e del lavoro). I donatori sostenitori
potranno inoltre vincolare l’uso dei contributi a specifici utilizzi, pur
nell’ambito delle finalità del Fondo.
(8) Non vi è dubbio che gli Enti citati
abbiano aderito con entusiasmo – e che altri ne seguiranno – visto che i
suddetti versamenti sono deducibili per un importo non superiore al 2 per cento
del reddito d’impresa dichiarato.
(9) Decreto del Ministero dell’economia e
delle finanze 27 febbraio 2009, “Integrazione e modificazione dei criteri di
individuazione dei titolari della Carta acquisti e fissazione delle modalità
con cui le amministrazioni regionali e locali possono integrare il Fondo di cui
all’articolo 81, comma 29 del decreto legge 25 giugno 2008, convertito, con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 113”.
(10) www.governo.it/governoinforma/dossier/carta_acquisti/
index.html.
(11) Federico Gavioli, “Ricarica maggiorata,
richiesta entro il 30 aprile”, Guida agli
Enti locali - Il Sole 24 Ore, n. 14, 2009.
(12) Ministero del lavoro, della salute e
delle politiche sociali. Op. cit.
(13) Ibidem.
(14) Intervista al Ministro Maurizio Sacconi.
Cfr. Alberto Orioli, “È l’ultimo miglio, ora vediamo l’oasi”. Il Sole
24 Ore, 28 giugno 2009.
(15) Cfr. Mauro Perino, “Interventi proposti
in merito ai poveri ultrasessantacinquenni e agli inabili al lavoro” pubblicato
in questo numero della rivista.
(16) Cfr. editoriale “La social card: una grave offesa alla dignità delle persone e dei
nuclei familiari in condizione di disagio socio-economico”, Prospettive assistenziali, n. 164, 2008.
(17) Eugenio Scalfari, “Il Cardinale Martini.
Un Concilio sul divorzio”, la Repubblica,
18 giugno 2009.
(18) Franco Pesaresi, “La social card”, Appunti , n.
181, 2009.
(19) Emanuele Ranci Ortigosa, “Un libro troppo
bianco”, Prospettive sociali e sanitarie,
n. 11, 2009.
(20) Cfr. Editoriale. Op. cit.
(21) Eugenio Bruno, “Social card, aiuto da 40 euro al mese”, Il Sole 24 Ore, 27 novembre 2008.
(22) Marco Rogari, “La manovra rafforza bonus
famiglie e Social Card”, Il Sole 24 Ore,
25 giugno 2009.
(23) Federica Micardi, “Fuori a sorpresa bonus
famiglia e Social Card”, Il Sole 24 Ore,
27 giugno 2009.
(24) «Tremonti
non ha gradito l’inchiesta sulla “Social Card” realizzata da “Report” di Milena
Gabanelli e chiede che venga punita dal Garante delle comunicazioni e dalla
Commissione di vigilanza sulla Rai. Il Ministro non contesta i dati
pazientemente raccolti, ma l’impostazione del servizio». Fonte www.lavoce.info.
(25) Giovanna Boursier, “Poveri noi!”,
“Report”, Rai 3, 5 aprile 2009.
(26) Maria Vittoria Orsolato, “La truffa della
Social Card”, www.carta.org , 23
gennaio 2009.
(27) Cfr. “Il pasticcio della Social Card”,
www.rassegna.it, 15 gennaio 2009.
(28) E di ciò sembra essersi accorto anche il
Ministro Tremonti che formula una piccola autocritica sulla Social Card: «Pensavamo che ne avrebbero usufruito 1,3
milioni di persone, ma in base ai nostri dati è stata usata da 600-700mila
persone. Va ritarata, ma non con la banca dati attuali perché è insufficiente».
Citato in Luca Iezzi, “Sbloccati 23 miliardi per i debiti dello Stato”, la Repubblica, 1 luglio 2009.
(29) “Social Card, in fila anche frati e
suore”, La Stampa, 3 gennaio 2009.
(30) “Vittorio Spinelli, “Social Card per
pochi religiosi”, www.avvenire.it, 4
dicembre 2008.
(31) Cfr. Mauro Perino. Op. cit.
(32) Al compimento dei 60 anni ai beneficiari
della pensione di invalidità civile viene erogato l’assegno sociale.
(33) Per il Fondo nazionale delle politiche
sociali sono stati complessivamente
previsti, nel 2008, 1.464 milioni di euro (con un taglio, rispetto al 2007, del
30% circa della quota destinata alle Regioni che è passata da 956 a circa 656
milioni di euro). Cifra che scende ulteriormente a 1.311 milioni per il 2009 (-
20%). Il Fondo per le politiche della famiglia, dai 276 milioni di euro del
2008, scende a 186 milioni di euro per il 2009 (- 33%). Il Fondo pari
opportunità prevede, nel 2009, una dotazione di 30 milioni di euro (- 32%),
mentre lo stanziamento per il Fondo per l’inclusione sociale degli immigrati
(già ridotto, nel 2008, dai 100 milioni
originariamente previsti dal Governo Prodi a 5 milioni di euro) viene azzerato.
Per il Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione
viene previsto uno stanziamento,
per l’anno 2009,
di 161,8 milioni di euro (- 21%),
mentre per il Fondo per le non autosufficienze ci si è limitati a prevedere 300
milioni per il 2008, 400 per il 2009 e nulla per gli anni successivi.
(34) Remo Siza, “Privatizzare la povertà è
impoverente”, Animazione sociale, n.
5, 2009.
(35) Ministero del lavoro, della salute e
delle politiche sociali. Op. cit.