PRESA DI POSIZIONE
DEL PROCURATORE GENERALE DI LECCE
CONTRO L’ADOZIONE
MITE
Pubblichiamo
la lettera inviata il 31 marzo 2009 dal Procuratore generale della Repubblica
presso la Corte di appello di Lecce, Luigi Gennaro, alla presidente dell’Anfaa, che è stata autorizzata a
diffonderla. Il testo riprende una nota sull’adozione mite redatta
dell’Avvocato Generale Giuseppe Vignola.
L’adozione mite, com’è noto, nasce da una prassi del tribunale per i minorenni di Bari che
prevede la possibilità di trasformare l’affidamento familiare in una forma di
adozione che non recida i rapporti tra il minore e la famiglia d’origine. La
coppia che si dichiara, ab initio,
disponibile a seguire questo percorso è inserita in elenchi speciali ed
accoglierà il minore sulla base di un provvedimento di affidamento,
impegnandosi a fare tutto il necessario per facilitarne il rientro nella
famiglia di provenienza. Qualora questo dovesse risultare impossibile, alla
scadenza del periodo di affidamento, eventualmente prorogato, sarà dichiarata
“l’adozione mite”.
La prassi, che ha ispirato la proposta di legge n.
5724 intitolata “Modifiche alla legge 4 maggio 1983 n. 184 in materia di
adozione aperta e di adozione mite”, nasce dalla considerazione che per
un’elevata percentuale di bambini che vivono in situazione di grave degrado non
si procede oggi ad un’adozione legittimante, poiché i labili legami con la
famiglia di origine non consentono di ritenere sussistente lo stato di
abbandono indispensabile per la declaratoria di adottabilità. Da qui un
progetto culturale che focalizza l’attenzione su questa fascia di minorenni e
che, per un verso, elabora la categoria del “semiabbandono permanente” quale
presupposto dell’adozione, peraltro, interpreta in modo molto estensivo il
disposto dell’articolo 44 lettera d) della legge n. 184/1983.
La prima obiezione che potrebbe muoversi all’adozione
mite riguarda proprio il suo presupposto.
Chi scrive è del parere che il “semiabbandono
permanente” sia un errore concettuale. Ed infatti, se con riferimento ad un
bene, l’abbandono implica il venire meno della relazione esistente tra il
soggetto e il bene stesso, con riferimento ad un bambino non può che
sostanziarsi nella cessazione della relazione genitori-figlio. Finché questa,
sia pur labile, continua a sussistere, non può ipotizzarsi alcun “abbandono” o
“semiabbandono” (1). Ci si trova in questi casi di fronte alla temporanea
privazione di un ambiente familiare idoneo ascrivibile a cause eccezionali
(quale, ad esempio, l’impedimento del genitore ad assolvere i compiti
accuditivi ed educativi per grave malattia) o a violazione dei doveri connessi
alla funzione genitoriale la cui entità sarà oggetto di valutazione da parte
del giudice che interverrà con i necessari provvedimenti (ex articolo 333 del
codice civile). La vigente normativa, peraltro, non offre spazi a figure
intermedie, perché già disciplina correttamente, attraverso istituti quali
l’affidamento familiare e l’adozione legittimante, le differenti situazioni in
cui un minore può venirsi a trovare e prevede i più opportuni interventi in
rapporto alle modalità di esercizio della funzione genitoriale ed alla gravità
delle violazioni a questa riconducibili. L’affidamento familiare da parte dei
servizi o su disposizione del Tribunale per i minorenni in caso di mancato
assenso dei genitori trova così applicazione a fronte di situazioni di
difficoltà temporanea che rendono impossibile un’adeguata assistenza del minore
nell’ambito della sua famiglia con la quale va tuttavia mantenuto e, anzi,
rinforzato ogni legame (2). Da qui l’obbligo per l’affidatario di accogliere
presso di sé il minore e di provvedere al suo mantenimento, educazione ed
istruzione, «...tenendo conto delle
indicazioni dei genitori per i quali non vi sia stata pronuncia ai sensi degli
articoli 330 e 333 del codice civile, o del tutore, ed osservando le
prescrizioni stabilite dall’autorità affidante...» (3) il tutto con il
controllo ed il sostegno del servizio sociale che «nell’ambito delle proprie competenze... agevola i rapporti con la famiglia
di provenienza ed il rientro nella stessa del minore secondo le modalità
idonee...» (4). Tanto vale,
ovviamente, anche nel caso di minori ospitati presso una comunità di tipo
familiare, qualora sia stato impossibile un affidamento familiare (5).
Vero è che la durata massima del periodo di
affidamento previsto dalla legge è di 24 mesi, ma è anche vero che la
possibilità che il legislatore ha concesso al Tribunale per i minorenni di
prorogare senza limite alcuno tale periodo, «qualora
la sospensione dell’affidamento rechi pregiudizio al minore» (6), trova la
sua ragion d’essere proprio nella necessità di sottoporre al vaglio del giudice
specializzato quelle situazioni “al limite” in cui, pur persistendo
l’inadeguatezza della famiglia d’origine, non è opportuno recidere il legame
esistente.
A ben vedere, dunque, l’accertamento sul cosiddetto
“semiabbandono permanente” equivale a quello che i Tribunali per i minorenni
già effettuano ogniqualvolta sono chiamati a pronunciarsi sulla proroga di un
affidamento ex articolo 4 della legge 184/1983 con una conseguenza, tuttavia,
differente che implica una palese forzatura del dettato e dello spirito delle
norme: la declaratoria di “adozione mite” con gli effetti che comunque
l’adozione comporta.
E qui si pone una seconda obiezione con riferimento ad
un’eccessiva discrezionalità di cui dispone il giudice in contrasto con la
chiara volontà del legislatore che con l’adozione legittimante ha posto un
punto fermo e ben definito dal quale partire: lo stato di abbandono e cioè la «privazione di assistenza morale e materiale
da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi» (7), “stato di
abbandono” che sussiste ogni qualvolta la mancanza di un ambiente familiare
idoneo sia considerato insuperabile a nulla rilevando il fatto che, in passato,
si sia sperimentato un affidamento eterofamiliare rivelatosi poi idoneo a
risolvere la condizione del minore. Come, infatti, ha evidenziato la Suprema
Corte, l’affidamento, di per sé, non è d’impedimento alla dichiarazione di adottabilità
giusta quanto previsto dal disposto dell’articolo 8 della legge 184/1983 (non
sostanzialmente modificato dalla legge 149/2001). Un buon inserimento del
minore presso gli affidatari certamente può influire sulla successiva
trasformazione dell’affidamento provvisorio in affidamento definitivo, ma
nessuna influenza può spiegare sul riscontro della sussistenza dello stato di
abbandono (8).
Non può negarsi che l’impianto normativo vigente
preveda la possibilità di adozione anche quando vi sia la constatata
impossibilità di affidamento preadottivo (9). Tale ipotesi tuttavia è da
intendersi come assolutamente residuale e ricorrente solo nel caso in cui il
minore non possa essere inserito in una famiglia adottiva avente i requisiti
previsti per l’adozione legittimante (10). Una dilatazione interpretativa del
disposto dell’articolo 44 lettera d) della legge 184/1983 finirebbe col
distorcere le finalità dell’istituto con rischio di rilevanti danni. Non può
tacersi, infatti, e questa costituisce la terza obiezione, che “l’adozione
mite”, consentendo il mantenimento del rapporto con la famiglia d’origine, può
essere causa di ambiguità relazionali che si rifletteranno sull’armonico
sviluppo di personalità dell’adottato e di interferenze da parte dei genitori biologici
che potranno turbare anche gravemente la serenità della famiglia adottante,
situazioni tutte previste ed evitate dall’adozione legittimante attraverso
l’elisione di ogni legame, il divieto di fornire notizie, informazioni o
certificazioni, estratti o copia dai quali possa risultare il rapporto di
adozione, nonché il segreto sull’identità dei genitori biologici, con le
limitazioni e i contemperamenti di cui all’articolo 28 della legge 184/1983.
(1) Legge 4
maggio 1983 n. 184 come innovata dalla legge 28 marzo 2001 n. 149, articolo 2.
(2) Idem,
articolo 4.
(3) Idem,
articolo 5, comma 1.
(4) Idem,
articolo 5, comma 2
(5) Idem,
articolo 5, comma 3.
(6) Idem,
articolo 4, comma 4.
(7) Idem,
articolo 8, comma 1.
(8) Cassazione,
Sezione I, n. 12169 del 9 giugno 2005.
(9) Legge 4
maggio 1983 n. 184 come innovata dalla legge 28 marzo 2001 n. 149, articolo 44
lettera d).