PROPOSTA
DI LEGGE SUI FIGLI ADOTTIVI: C’è
IL PERICOLO
CHE
FAVORISCA I PARTI CLANDESTINI E GLI INFANTICIDI
In data 12 novembre 2008 gli on. Domenica Zinzi,
Michele Vietti, Giuseppe Naro, Angelo Cera, Nunzio Francesco Testa e Michele
Pisacane hanno presentato alla Camera dei Deputati la proposta di legge n. 1899
“Modifica all’articolo 28 della legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di
accesso all’adottato alle informazioni che lo riguardano”, di cui riportiamo
integralmente la relazione e l’articolato.
Relazione
Onorevoli Colleghi! - A differenza dei figli
riconosciuti dalla madre naturale e successivamente adottati, ai quali
l’articolo 28 della vigente legge sull’adozione, la legge 4 maggio 1983, n.
184, consente, raggiunta l’età di venticinque anni, di conoscere l’identità dei
propri genitori biologici, i figli adottivi non riconosciuti alla nascita non
possono accedere a tali informazioni se non sono trascorsi cento anni dalla
nascita, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 93 del codice in materia di
protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n.
196. Il diritto di venire a conoscenza della propria identità, infatti,
confliggerebbe con quello della donna che, al momento del parto, non acconsentì
ad essere nominata.
Tale diritto è, pertanto, considerato dalla normativa
vigente prevalente sull’interesse del figlio, anche adulto, a poter conoscere
le proprie origini. Questo, tuttavia, impedisce a tali soggetti di fare luce su
una zona senza ricordi e senza storia della loro vita e del loro sviluppo,
rendendoli eternamente incompleti e destinati a morire senza aver avuto piena
cognizione di loro stessi.
La conoscenza delle origini contribuisce a formare
l’identità, entrando nell’insieme di realtà che rappresentano il punto di
partenza dello sviluppo umano. Non si vuole in questa sede che venga messa in
discussione la possibilità per la donna di partorire in anonimato, riconoscendo
le valenze racchiuse in tale istituto legislativo, né tanto meno si auspica che
lo Stato non rispetti il patto concluso con la madre a cui fu consentito di
partorire in anonimato.
Con questa iniziativa legislativa si vuole dare ai
figli e alle loro madri naturali un’ulteriore opportunità prevedendo che il tribunale per i minorenni, valutata la
richiesta di accesso ai documenti da parte dell’adottato, verifichi se la
volontà di anonimato della madre sia ancora attuale o se essa sia mutata; in
tale ultimo caso si prevede che la stessa madre esprima il suo consenso al
superamento dell’anonimato dichiarando la revoca del diniego. Tale modifica
alla normativa vigente contribuirebbe a rimodulare lo sbilanciamento oggi
esistente nei confronti dei figli adottivi non riconosciuti alla nascita, tra
due diritti in conflitto, quello di tali soggetti a conoscere le proprie
origini, e quello delle loro madri biologiche a mantenere l’anonimato.
Riteniamo che uno Stato civile e democratico come
l’Italia non possa, anche sulle tematiche in oggetto, non allinearsi al resto
dell’Europa, riconoscendo a tutti i cittadini pari diritti, pur nel rispetto
della volontà di ciascuno e delle sue scelte.
Testo della
proposta di legge
Art. 1.
1. Il comma 7 dell’articolo 28 della
legge 4 maggio 1983, n. 184, è sostituito dal seguente:
«7.
L’adottato può accedere a informazioni che riguardano la sua origine, comprese
quelle concernenti la procedura di adozione, i dati sanitari, i periodi di
permanenza in istituti o altro, con l’unica esclusione dell’identità dei
genitori biologici qualora egli non sia stato riconosciuto alla nascita. In
tale ultima ipotesi, previa richiesta dell’adottato che abbia compiuto i
venticinque anni di età, il tribunale per i minorenni del luogo di residenza
dell’adottato, valutato il caso, è tenuto a informare la madre e il padre
naturali della richiesta di accesso alle informazioni da parte dello stesso
adottato e a richiedere il loro consenso al superamento dell’anonimato. Qualora
la madre risulti deceduta e il padre risulti deceduto o non identificabile, il
medesimo tribunale, su richiesta dell’interessato, procede direttamente ad
acquisire le informazioni concernenti le loro generalità e le loro anamnesi
familiari, fisiologiche e patologiche, in particolare per quanto concerne
l’eventuale presenza di patologie ereditarie trasmissibili e le cause del decesso,
nonché il deposito di loro organi presso banche sanitarie» (1).
Osservazioni del
csa
Il Csa (Coordinamento sanità e assistenza fra i
movimenti di base) ha inviato in data 6 marzo 2009 ai presentatori della
proposta di legge 1899/Camera una lettera avente per oggetto:
1. ritiro della proposta di legge n. 1899 “Modifiche
all’articolo 28 della legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di accesso
all’adottato delle informazioni che lo riguardano”, presentata alla Camera dei
Deputati il 12 novembre 2008;
2. appoggio dell’esame e approvazione della proposta di
legge n. 1266 “Sostegno alle gestanti e
madri in condizioni di disagio socio-economico e misure volte a garantire il
segreto del parto alle donne che non intendono riconoscere i loro nati”.
Il testo della lettera è il seguente:
1. Perché
chiediamo il ritiro della proposta
Questo Coordinamento, che funziona ininterrottamente
dal 1970 e che raggruppa le organizzazioni sotto elencate (2), chiede agli
Onorevoli Zinzi, Vietti, Naro, Cera, Nunzio Francesco Testa e Pisacane di
ritirare la proposta di legge n. 1899 volta a consentire agli adottati, nati da
donne che non li hanno riconosciuti come figli in base alle vigenti norme sul
segreto del parto, di poter conoscere la propria procreatrice.
Il ritiro viene chiesto per i seguenti motivi:
a) da molti decenni la garanzia assoluta del
segreto del parto è stata ed è la condizione sine qua non che ha consentito
ogni anno a circa 350 bambini non riconosciuti di nascere e di essere inseriti
dopo pochi giorni presso famiglie che, espletate le procedure previste dalla
legge, li hanno adottati rendendoli loro figli legittimi a tutti gli effetti;
b) non è
concretamente attuabile quanto previsto nella proposta di legge in oggetto
circa la conservazione del segreto del parto. Infatti se si stabilisce che
viene contattata la donna che non ha riconosciuto il proprio nato al fine di
accertare se è disponibile ad incontrarlo, per forza di cose numerose sono le
persone che vengono a conoscenza della sua identità:
- il presidente e i giudici del Tribunale per i
minorenni a cui si rivolge l’adottato, che devono provvedere all’espletamento della richiesta;
- i cancellieri che provvedono alle registrazioni e
alle comunicazioni interne ed esterne;
- il direttore sanitario dell’ospedale in cui è
avvenuto il parto, al quale viene chiesto di ricercare il nominativo della
donna e di individuare e trasmettere i relativi dati anagrafici (cognome, nome,
luogo e data di nascita, ecc.) al fine di poterla ricercare;
- il o gli
operatori ai quali il direttore sanitario affida la ricerca di cui sopra e la
trasmissione dei dati raccolti;
- il o gli addetti alla ricerca del recapito della
donna, alla comunicazione alla stessa dell’istanza presentata ed a raccogliere
la sua decisione;
c) come è evidente, l’alto numero delle persone
coinvolte rende possibile ed assai probabile la segnalazione a terzi
(giornalisti della televisione, della radio e della carta stampata) del
nominativo della donna che non ha riconosciuto il proprio nato;
d) sono da prevedere segnalazioni effettuate a scopo
di lucro in quanto, essendo numerose le persone coinvolte, di fatto non è praticamente possibile individuare il
soggetto responsabile;
e) ulteriori complicazioni possono insorgere nel caso
in cui nello stesso ospedale e nello
stesso giorno siano nati più bambini non riconosciuti dello stesso sesso.
Ad avviso del
Csa occorre quindi che non siano modificate le attuali norme di legge che non
consentono agli adottati e agli altri soggetti non riconosciuti di poter
conoscere l’identità della donna che li ha partoriti
Infatti è ovvio che la diffusione di notizie sulla
violazione del segreto del parto, anche se si trattasse di un sol caso,
potrebbe avere effetti devastanti sulle partorienti e sui loro nati.
Le donne che non intendono riconoscere i loro nati,
non avendo più fiducia nell’assoluta riservatezza delle strutture sanitarie,
potrebbero orientarsi verso i parti “fai da te” con evidenti pericoli per la
loro salute e per quella dei neonati.
Un’altra conseguenza potrebbe essere quella della
scelta del cassonetto in cui gettare il bambino.
Perché non
deve essere modificata l’attuale normativa sul segreto del parto
Coloro che non sono stati riconosciuti dai loro
procreatori dovrebbero considerare che molto probabilmente sono nati perché il
legislatore ha previsto le norme vigenti sul segreto del parto.
Detto segreto non solo è una concreta e validissima
misura contro gli infanticidi, ma è anche una modalità che può essere scelta
dalle donne che non accettano il loro nato (ad esempio perché originato da una
violenza subita) e nello stesso tempo rifiutano l’aborto.
L’adozione come filiazione vera
Ricordiamo che nel decreto sull’apostolato dei laici,
il Concilio Ecumenico Vaticano II ha inserito la seguente dichiarazione: «Tra le varie opere di apostolato familiare
ci sia concesso di enunciare le seguenti: adottare come figli propri i bambini
in stato di abbandono». Si osservi che l’espressione latina del testo “Infantes
derelictos in filios adoptare” dice molto di più di quanto risulti
dalla traduzione italiana autentica. Infatti “in filios” esprime, giustamente, “la risultanza effettiva di piena filiazione”, mentre “come figli”
può sembrare un semplice paragone.
Come aveva giustamente rilevato il dotto
giurista-moralista Padre Salvatore Lener S. J. su Civiltà Cattolica, «l’adozione di un bambino è equiparabile ad
un innesto». Se si procede, ad esempio, all’innesto di un pesco su un
susino o su un mandorlo, tutti i frutti, belli o brutti, buoni o cattivi, sono
sempre e solo pesche, allo stesso modo di quando le radici sono di pesco.
Nel messaggio inviato dal Cardinale Carlo Maria
Martini agli organizzatori e ai partecipanti del convegno europeo “Bambini
senza famiglia e adozione”, svoltosi a Milano il 15 e 16 maggio 1997, aveva
sottolineato che «la maternità e la paternità non si identificano semplicemente con la
creazione biologica, perché “nato da” non è sinonimo di “figlio di”» .
Di notevole importanza il discorso pronunciato dal
Pontefice Giovanni Paolo II il 5 settembre 2000 ai partecipanti dell’incontro
con la famiglie adottive promosso dalle Missionarie della carità: «Adottare
significa riconoscere che il rapporto tra genitori e figli non si misura solo
sui parametri genetici. L’amore
che genera è innanzitutto dono di sé. C’è una “generazione” che avviene
attraverso l’accoglienza, la premura, la dedizione. Il rapporto che ne
scaturisce è così intimo e duraturo, da non essere per nulla inferiore a quello
fondato sull’appartenenza biologica. Quando esso, come nell’adozione, è anche giuridicamente
tutelato, in una famiglia stabilmente legata dal vincolo matrimoniale, esso
assicura al bambino quel clima sereno e quell’affetto, insieme paterno e
materno, di cui egli ha bisogno per il suo pieno sviluppo umano. Proprio questo
emerge dalla vostra esperienza. La vostra scelta e il vostro impegno sono un
invito al coraggio e alla generosità per tutta la società, perché questo dono
sia sempre più stimato, favorito e anche legalmente sostenuto».
Sotto il profilo strettamente giuridico ricordiamo che
nell’ordinanza del 5 febbraio 1997 il Presidente del Tribunale per i minorenni
di Torino aveva giustamente puntualizzato quanto segue: «Dire che l’adottato avrebbe “un diritto a conoscere i primi genitori”
significa implicitamente dire che un legame fra i primi e i secondi sussiste
ancora: significa, in altre parole, far riferimento ad una “doppia
genitorialità” che invece l’adozione legittimante italiana ha chiaramente
voluto escludere».
2. Perché
sollecitiamo l’esame e l’approvazione della proposta di legge n. 1266
presentata alla Camera dei Deputati dal Consiglio regionale del Piemonte
Ai sensi del 5° comma dell’articolo 8
della legge 328/2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato
di interventi e servizi sociali” alle Regioni è stato attribuito il compito di
disciplinare il trasferimento ai Comuni o ad altri enti locali delle funzioni
di cui alle leggi 6 dicembre 1928 n. 2838 e 18 marzo 1993 n. 67 concernenti le
prestazioni obbligatorie relative alle gestanti e madri, ai nati fuori dal
matrimonio, ai bambini non riconosciuti, nonché ai ciechi e sordi poveri
rieducabili (così definiti dal regio decreto 383/1934). Con la legge di cui
sopra le Regioni devono, inoltre, definire il passaggio ai Comuni o ad altri
enti locali delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali occorrenti per
l’esercizio delle succitate funzioni.
La legge 6 dicembre 1928 n. 2838
stabilisce che le Amministrazioni provinciali devono assistere i fanciulli
figli di ignoti ed i bambini nati fuori dal matrimonio riconosciuti dalla madre
e in condizione di disagio socio-economico. È, altresì, previsto che «nelle Province, nelle quali lo consiglino le
condizioni locali, l’assistenza del fanciullo deve, ove sia possibile, avere
inizio all’epoca della gestazione della madre».
La legge 18 marzo 1993 n. 67 ha disposto
la restituzione alle Province delle funzioni assistenziali concernenti i minori
figli di ignoti, i fanciulli nati fuori dal matrimonio, le gestanti e madri, i
ciechi e i sordi poveri rieducabili, che erano state attribuite ai Comuni dalla
legge 8 giugno 1990 n. 142 “Ordinamento delle autonomie locali”.
È evidente la necessità di assumere
provvedimenti al fine di prevenire gli infanticidi e gli abbandoni tardivi dei
minori riconosciuti senza tener conto delle loro esigenze o sotto la pressione
di persone e/o organizzazioni incompetenti.
Inoltre occorre
assicurare alle gestanti in condizioni di disagio socio-economico i necessari
sostegni sociali, affinché con la massima responsabilizzazione possibile
riconoscano o non riconoscano i loro nati.
A tal fine, e anche
allo scopo di adeguare alle odierne esigenze la vigente legge 2838/1928, il
Consiglio regionale del Piemonte all’unanimità ha presentato alla Camera dei
Deputati la proposta di legge n. 1226 “Interventi a favore delle gestanti e
madri per garantire il segreto del parto
alle donne che non intendono riconoscere i loro nati” così redatta:
«1) Le
Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano garantiscono gli interventi
socio-assistenziali nei confronti delle gestanti presenti sul proprio
territorio, indipendentemente dalla loro residenza anagrafica, che necessitano
di specifici sostegni in ordine al riconoscimento o meno dei loro nati ed al
segreto del parto. Alle gestanti e ai loro nati sono altresì garantiti gli
interventi per la continuità assistenziale e per il loro reinserimento sociale.
«2) Gli
interventi di cui al comma 1 costituiscono livello essenziale ai sensi
dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.
«3) Le leggi
regionali e delle Province autonome di Trento e Bolzano individuano, ai sensi
dell’articolo 8, comma 5, della legge 8 novembre 2000, n. 328, gli enti locali
titolari degli interventi e le modalità di esercizio degli stessi».
Con le disposizioni di cui sopra gli interventi sono
rivolti anche alle gestanti senza permesso di soggiorno che altrimenti non
avrebbero accesso ai servizi socio-assistenziali.
La legge
26/2006 della Regione Piemonte
A titolo informativo si segnala che il Consiglio
regionale del Piemonte ha approvato all’unanimità la legge 26/2006 “Modifiche
all’articolo 9 della legge regionale 8 gennaio 2004, n. 1 ‘Norme per la
realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali e
riordino della legislazione di riferimento’” così formulata:
«1. Dopo il
comma 5 dell’articolo 9 della legge regionale 8 gennaio 2004 n.1 (“Norme per la
realizzazione del sistema regionale integrato di interventi e servizi sociali e
riordino della legislazione di riferimento”), sono aggiunti i seguenti commi:
«5 bis. Le
funzioni relative agli interventi socio-assistenziali nei confronti delle
gestanti che necessitano di specifici sostegni in ordine al riconoscimento o
non riconoscimento dei loro nati e al segreto del parto sono esercitate dai
soggetti gestori individuati dalla Giunta regionale, sentita la competente
Commissione consiliare e previa concertazione con i Comuni.
«5 ter. Nei
casi di cui al comma 5 bis, i soggetti gestori, durante i sessanta giorni
successivi al parto, garantiscono alle donne già assistite come gestanti ed ai
loro nati gli interventi socio-assisitenziali finalizzati a sostenere il loro
reinserimento sociale. Dopo tale periodo ai medesimi beneficiari è assicurata
la continuità assistenziale secondo i criteri e le modalità attuative previsti
al comma 5 quinquies. Gli interventi socio-assistenziali a favore dei neonati
non riconosciuti sono garantiti fino alla loro adozione definitiva.
«5 quater.
Gli interventi di cui al comma 5 bis sono erogati su richiesta delle donne
interessate e senza ulteriori formalità, indipendentemente dalla loro residenza
anagrafica.
«5 quinquies.
Con il provvedimento di individuazione dei soggetti gestori competenti di cui
al comma 5 bis, la Giunta regionale definisce altresì criteri, procedure e
modalità per l’esercizio delle relative funzioni.
«5 sexies. Le
risorse necessarie all’erogazione degli interventi di cui al comma 5 bis sono
reperite in seno al fondo regionale di cui all’articolo 35, comma 7».
ULTERIORI CONSIDERAZIONI
Oltre alle succitate problematiche, occorre
considerare altresì che la ricerca della propria procreatrice può anche essere
motivata dal desiderio di rovinare la reputazione della stessa procreatrice, le
cui evidenti conseguenze negative possono coinvolgere anche l’eventuale nucleo
familiare di appartenenza (coniuge, figli, altri congiunti).
Inoltre non si può escludere a priori che
dall’incontro possano derivare comportamenti e/o atti violenti.
Queste sono ulteriori considerazioni che confermano la
validità delle norme vigenti sul segreto del parto.
(1) Il vigente comma 7
dell’articolo 28 della legge 184/1983 è così redatto: «L’accesso alle informazioni non è consentito se l’adottato non sia
stato riconosciuto alla nascita dalla madre naturale e qualora anche uno solo
dei genitori biologici abbia dichiarato di non voler essere nominato, o abbia
manifestato il consenso all’adozione a condizione di rimanere anonimo».