A.1. Gli assistiti sono considerati dal Governo elementi passivi e
parassitari
Nella relazione allegata al bilancio
dello Stato del 1969, il Ministero dell’interno, che all’epoca detiene a
livello nazionale le più importanti competenze in materia di sostegno alle
persone e ai nuclei familiari in gravi difficoltà, si esprime nei
seguenti termini: «L’assistenza pubblica ai bisognosi (…) racchiude in sé
un rilevante interesse generale, in quanto i servizi e le attività
assistenziali concorrono a difendere il tessuto sociale da elementi
passivi e parassitari».
A.2. Una babele costituita da oltre 50 mila enti, organi e uffici di
assistenza
Negli anni ’60 operano nel settore
dell’assistenza: 14 Ministeri (tutti, compresa la Presidenza del Consiglio
dei Ministri); 8.050 Comuni; 8.050 Enti comunali di assistenza (Eca),
autonomi nei riguardi degli enti locali e delle altre istituzioni; 8.050
Comitati comunali dell’Opera nazionale per la protezione della maternità e
dell’infanzia (Onmi); 7.038 Patronati scolastici (stima), a cui è affidato
il compito di assistere i fanciulli frequentanti le scuole
elementari; 2.173 Casse scolastiche (stima) incaricate di soccorrere gli
allievi bisognosi delle scuole medie; 95 Comitati provinciali dell’Onmi,
più la sede nazionale; 95 Uffici provinciali dell’Aai (Amministrazione per
le attività assistenziali italiane e internazionali), compresa la sede
nazionale; 95 Sedi del Commissariato della gioventù italiana (ex Gil -
Gioventù italiana del littorio), più la sede nazionale; 95 Sedi
provinciali dell’Ente nazionale per la protezione del fanciullo, più la
sede nazionale; 94 Comitati provinciali dei patronati scolastici; 94
Assessorati provinciali all’assistenza; 94 Uffici di assistenza presso le
prefetture; 94 Comitati provinciali di assistenza e beneficenza pubblica;
2.375 (stima) Sedi nazionali e provinciali dei 25 enti nazionali per gli
orfani e assimilati (Ente nazionale per l’assistenza agli orfani dei
lavoratori italiani, Opera nazionale per gli orfani di guerra, Opera
nazionale per gli orfani di guerra anormali psichici, Opera nazionale di
assistenza agli orfani ed ai figli dei militari della guardia di finanza,
Ente nazionale di assistenza agli orfani degli agenti di custodia, ecc.);
142 Case di rieducazione, riformatori, uffici distrettuali di servizio
sociale; 154 Consigli di patronato per i liberati del carcere e per
l’assistenza alle famiglie di detenuti; 9.407 Istituzioni pubbliche di
assistenza e beneficenza (Ipab), le ex opere pie; 5.718 Centri assistenza
dipendenti da enti pubblici.
Pertanto gli enti,
organi e uffici di assistenza pubblici esistenti nel nostro Paese (salvo
le inevitabili omissioni) superano l’incredibile cifra di 50 mila. A
questi si deve aggiungere una parte delle 13.027 istituzioni caritative ed
assistenziali (non comprese nelle strutture precedenti) operanti nella
sfera d’azione della Chiesa cattolica, nonché un numero imprecisato di
istituzioni private laiche.
A.3. Istituti e ricoverati
Per quanto riguarda l’insieme degli istituti e degli assistiti, secondo i
dati dell’Annuario statistico dell’assistenza e della previdenza sociale,
nel 1960 la situazione è la seguente (1):
-
brefotrofi (2) n. 111, ricoverati 8.699
-
orfanotrofi n. 1.093, ricoverati 59.854
- istituti con soli
minori poveri o abbandonati n. 281, ricoverati 15.265
-
istituti con soli anormali e minorati n. 169, ricoverati 18.810
- istituti con soli vecchi indigenti n. 1.699, ricoverati 88.089
- istituti con altre categorie di ricoverati n. 315, ricoverati 16.346
- istituti con più categorie di ricoverati n. 1.979, ricoverati 167.053
- colonie permanenti (3) n. 200, ricoverati 61.402
Totale
istituti n. 5.847, ricoverati n. 435.518
Nel 1960, la situazione dei minori
istituzionalizzati è la seguente: in allevamento interno dei brefotrofi n.
8.699; ricoverati in orfanotrofi n. 59.854; ricoverati in istituti per
soli minori poveri e abbandonati n. 15.265; ricoverati in istituti con più
categorie di ricoverati n. 125.431.
Totale minori
ricoverati n. 209.249.
Inoltre, sono 92.502 i
minori assistiti nei brefotrofi (4) in allevamento esterno (cfr. la nota
2), di cui: illegittimi non riconosciuti n. 17.345; illegittimi
riconosciuti n. 74.999; legittimi n. 158. Totale minori assistiti in
allevamento esterno n. 92.502
Fra i minori in
allevamento interno ed esterno, quelli non riconosciuti sono
complessivamente 21.113. Continuano ad essere ricoverati negli istituti di
assistenza nonostante che quasi tutti questi bambini possano essere
adottati dalle numerose famiglie in attesa, sovente da anni. L’adozione
poteva essere disposta con estrema facilità, senza la preventiva
autorizzazione della Magistratura o di altri enti. Con l’adozione degli
oltre 20mila minori ricoverati si sarebbero notevolmente ridotte le spese
a carico delle Province.
Per quanto riguarda gli
anziani, il ricovero è quasi sempre dovuto alla mancanza di mezzi
economici. La pensione sociale non è ancora stata istituita e sono
rarissimi i Comuni che erogano contributi ai vecchi (e agli altri
soggetti) privi dei mezzi necessari per vivere. Inoltre, l’assistenza
fornita dagli Eca, Enti comunali di assistenza, è estremamente carente
sotto tutti i punti di vista (qualificazione del personale, tipologia
degli interventi, importo delle erogazioni, ecc.).
Gli anziani cronici non autosufficienti sono quasi mai curati presso
strutture ospedaliere, ma sono rinchiusi nelle case di riposo o,
addirittura, nei manicomi.
Nel 1960 le persone
iscritte negli elenchi comunali dei poveri, condizione indispensabile per
ottenere l’assistenza sanitaria gratuita, sono 3.234.403.
Riferiti allo stesso 1960, si riportano alcuni
dati concernenti i principali enti di assistenza:
a) dai 7.038 patronati scolastici sono assistite 1.674.073 persone;
b) gli assistiti dalle Province sono 393.501 (malati di mente 133.985,
minorati psichici 19.577, illegittimi 178.264);
c)
per quanto riguarda l’Onmi, i dati sono i seguenti:
- donne (assistenza igienico-sanitaria) 222.647
-
minori (assistenza igienico-sanitaria) 787.835
-
donne (altre forme di assistenza) 131.533
- minori
(altre forme di assistenza) 653.547
d) gli
assistiti dall’Aai, Amministrazione per le attività assistenziali italiane
e internazionali, sono 1.838.106, di cui 482.520 presso colonie estive. I
prodotti distribuiti (in tonnellate) riguardano: farina 30.096, pasta e
riso 12.831, zucchero 1.901, marmellata 988, carne e pesce 3.463,
formaggio 1.229, altri prodotti 10.282, latte pastorizzato ettolitri
55.618.Inoltre, sempre nel 1960, le presenze nei dormitori pubblici e
asili notturni sono 2.829.557, di cui 417.597 di soggetti di età inferiore
ai 18 anni.
A.4. Un esempio
del caos assistenziale esistente nel 1960
Il minore
nato fuori dal matrimonio non riconosciuto o riconosciuto dalla sola
madre: 1) dalla nascita al 15° anno di età è
assistito dalla Provincia tramite gli istituti provinciali per l’infanzia,
le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (Ipab) e gli istituti
privati aventi sedi nella provincia o al di fuori di essa;
2) dal 15° al 18° anno è assistito dall’Onmi;
3)
dal 18° anno in poi dall’Eca;
4) se al momento
della prima richiesta di assistenza il minore non riconosciuto o
riconosciuto dalla sola madre ha superato il 6° anno di età, la competenza
non è più della Provincia ma dell’Onmi;
5) se il
minore viene legittimato oppure è riconosciuto anche o solo dal padre, la
competenza è demandata dalla Provincia all’Onmi;
6)
se il minore riconosciuto dalla sola madre ha un’età inferiore ai 15 anni
e rimane orfano, la competenza passa dalla Provincia a uno dei numerosi
enti di assistenza per gli orfani, sempre che la defunta appartenesse a una
delle categorie previste dalle leggi istitutive degli enti stessi;
7) se il minore è riconosciuto da madre profuga, competente è il Ministero
degli interni o la Regione. Quando acquisisce il domicilio di soccorso, la
competenza può essere trasferita alla Provincia sempre che non si
verifichi l’ipotesi di cui al punto 4;
8) se il
minore riconosciuto dalla madre è cieco o sordomuto, la competenza
assistenziale resta alla Provincia anche dopo il 15° e il 18° anno di età;
9) se il minore è insufficiente mentale, la competenza viene determinata a
seconda che la Provincia o l’Onmi o altri enti abbiano o meno istituito i
servizi (non obbligatori) per i suddetti soggetti;
10) se il minore è gravemente disadattato, alcune o tutte le competenze
possono passare al Tribunale per i minorenni, all’istituto di rieducazione
o all’ufficio distrettuale di servizio sociale del Tribunale per i
minorenni; 11) se il minore è segnalato
dall’autorità di pubblica sicurezza per il ricovero in istituto, la
competenza è del Comune;
12) se il minore è
fisicamente handicappato, alcune o tutte le competenze possono essere
assunte dal Comune;
13) se il fanciullo
riconosciuto dalla madre ha bisogno di assistenza scolastica, questa è
prestata non dall’ente che lo assiste, ma dal patronato scolastico se
frequenta la scuola elementare, dalla cassa scolastica se è inserito in
una scuola media;
14) salvi i casi di assoluta
urgenza, la madre nubile e il minore da essa riconosciuto sono assistiti
dalla Provincia territorialmente competente secondo il domicilio di
soccorso, anche se la residenza effettiva è altrove (il domicilio di
soccorso si acquisisce solo dopo due anni di residenza nello stesso
luogo); 15) il minore nato fuori del matrimonio è
inoltre soggetto ai cambiamenti di istituto causati dalle disponibilità
degli enti erogatori, dalla ricettività degli enti ricoveranti e dalle
loro regole statutarie, ad esempio dimissioni al raggiungimento di una
certa età.
A.5. Il crudele
marchio del Codice canonico
Durante decenni e
decenni le persone nate al di fuori del matrimonio, definite “illegittime”
e cioè “fuori dalla legge”, sono considerate inaffidabili dalla Chiesa
cattolica per quanto concerne il sacerdozio, con le evidenti gravissime e
nefaste conseguenze personali e sociali. Infatti il Codice canonico,
promulgato da Papa Benedetto XV nel 1917, oltraggia le persone nate fuori
da matrimonio stabilendo che:
a) sono irregolari
per difetto gli illegittimi, sia l’illegittimità pubblica o occulta, se
non sono stati legittimati;
b) sono esclusi dalla
dignità cardinalizia gli illegittimi anche se per un successivo matrimonio
sono stati legittimati;
c) sono idonei alla dignità
vescovile esclusivamente i nati da legittimo matrimonio, ma non coloro la
cui legittimità è stata conseguita da un successivo matrimonio;
d) per l’accesso alle dignità abbaziali o prelatizie valgono le norme
previste per i Vescovi.
A.6. Negata la dignità dei nati fuori del matrimonio
Mentre i minori nati nel matrimonio, definiti dalla legge “legittimi”,
sono assistiti dai Comuni (oltre che da altri enti), per i nati fuori del
matrimonio, denominati “illegittimi” quasi fossero dei fuori legge,
l’assistenza compete alle Province. Da notare che l’articolo 32 del regio
decreto 29 dicembre 1927 n. 2822 stabilisce per i minori “illegittimi” che
«dopo il terzo anno, i fanciulli sono preferibilmente collocati in idonei
istituti (…)». Soltanto nei casi in cui non sia possibile
l’istituzionalizzazione, «i fanciulli vengono affidati ad allevatori
esterni, possibilmente abitanti in campagna». Invece, per i minori
“legittimi”, la priorità dell’assistenza è diametralmente opposta a quella
riservata agli “illegittimi”. Infatti, come prevede l’articolo 178 del
regio decreto 15 aprile 1926 n. 718, possono essere ricoverati in istituto
solamente «i fanciulli per i quali non sia attuabile od opportuno il
collocamento presso famiglie». Fra gli esempi di dignità calpestata, si
ricorda la lettera inviata in data 9 settembre 1967 dal Convitto
“Guglielmo Marconi” per la preparazione dei radiotelegrafisti, meccanici
navali, elettricisti e frigoristi di bordo, con sede a Ruta di Camogli,
Genova, diretto dai Padri Scolopi, così redatta: «Siamo oltremodo dolenti
di dover rinviare tutta la documentazione relativa al giovane C. G. poiché
la Commissione esaminatrice per la ammissione al concorso al convitto non
ritiene di poter ammettere allo stesso il giovane da voi presentato. Il
caso è oltremodo doloroso e preoccupante, ma il regolamento interno del
collegio non ammette deroghe per i figli illegittimi o di famiglia
irregolare. La vita del mare che i giovani nostri dovranno affrontare
richiede serenità d’animo e tranquillità di spirito che purtroppo non
possono avere quei marittimi la cui famiglia dolorosamente non esiste.
L’immettere alla vita del mare un giovane senza padre sarebbe creare uno
spostato e procurargli delle preoccupazioni che la vita del mare senza
dubbio accentuerà. Questa Direzione si augura che possiate inviare giovani
sani famigliarmente, i quali saranno benevolmente accolti nel collegio».
A.7. Una legge disumana
Fino all’entrata in vigore della legge 14 marzo 1968, n. 274, promossa
dall’Anfaa, sono in vigore gli articoli 75 e 77 del regio decreto 7 luglio
1939 n. 1238 sull’ordinamento dello stato civile. Essi stabiliscono che,
quando un bambino è trovato abbandonato a sé stesso e non può essere
identificato, venga redatto un atto di nascita nel quale sono trascritti
solo l’anno e il mese (e non il giorno) in cui presumibilmente è nato. Il
luogo viene indicato con una delle seguenti parole “ignorasi” o “trovato”.
In quel periodo in tutti i documenti sono contenute anche le generalità
della madre e del padre. Di conseguenza nel certificato di nascita, nella
carta di identità, nel passaporto, nella pagella, nella patente, nel
libretto di lavoro, nelle pubblicazioni di matrimonio e negli altri
documenti sono trascritte le seguenti informazioni: nato a … ignorasi o
trovato il … presumibilmente nel mese di … dell’anno …paternità … NN,
maternità … NN. Inoltre vi sono ufficiali di stato
civile che attribuiscono ai bambini trovati e non identificati (e a volte
anche a quelli non riconosciuti), cognomi (ad esempio Diotallevi, Degli
Esposti, Esposito, ecc.).
A.8. Bambini usati come cavie
In un articolo
pubblicato su Il Giorno del 25 marzo 1971 il noto Professore Giulio
Maccacaro aveva denunciato che, nelle sperimentazioni di nuovi farmaci, le
persone malate erano spesso utilizzate al posto dei topi e che fra le
vittime scelte vi erano anche bambini e fanciulli colpiti da menomazioni.
Ecco la sua testimonianza: «Di esperimenti condotti sui bambini ne ricordo
uno compiuto presso l’Istituto di igiene e la clinica pediatrica
dell’Università di Pisa. Gli autori […] erano curiosi di sapere se alcuni
tipi di un microbo “l’escherichia coli” possono produrre enteriti nei
bambini. I nostri studi […] sono stati condotti su soggetti affetti da
gravi alterazioni cerebropatiche e, successivamente, anche su bambini sani
e convalescenti. A questi bambini – dell’ospizio della clinica – […] hanno
fatto ingoiare culture di germi noti come capaci di accompagnarsi ad
episodi acuti di gastroenterite per poi vedere cosa succedeva agli
sventurati». Nello stesso articolo Giulio Maccacaro aveva segnalato che il
Direttore generale dell’Istituto Gaslini di Genova aveva deciso di usare
«i bambini ricoverati nelle cliniche universitarie convenzionate e
ospitate dal Gaslini […] per fotografare il virus dell’epatite virale.
Allora prende tre bimbi (S.P. femmina anni 2, D.L. femmina anni 2, C.T.
maschio anni 8) ricoverati al Gaslini per questa grave malattia e a
ciascuno, perforando l’addome, asporta un pezzetto di fegato da guardare
al microscopio elettronico. Per essere più sicuro di riuscire nell’intento
– racconta S. (…) – ero ricorso ad un espediente farmacologico: prima
della biopsia somministrai ai primi due bimbi 8 milligrammi per
chilogrammo di peso al giorno di azatiopirina per tre giorni e al terzo
bimbo 8 per cinque giorni […]. L’azatiopirina poteva nel nostro caso
ridurre i poteri immunitari e rendere pertanto più agevole la maturazione
del virus».
A.9. Altre
violenze
Numerosi e particolarmente crudeli sono
gli episodi di violenza accertati negli anni ’60 dalla magistratura (5).
Ad esempio, il Tribunale di Firenze in data 3 dicembre 1968 condanna
alcuni operatori dell’Istituto di Prato “Maria Vergine Assunta in Cielo”,
noto come istituto dei Celestini, per i gravissimi atti compiuti contro i
bambini ivi ricoverati. I fatti riguardano: punizioni particolarmente
sadiche (bastonate, frustate, schiaffi, leccare la propria pipì o il
pavimento, essere legati a crocefisso sotto il letto o ai piedi di esso,
privazione del cibo, ecc.), nonché condizioni igieniche disastrose, abiti
sporchi, grave ritardo rilevato nello sviluppo intellettivo della maggior
parte dei bambini, omissione dei controlli sanitari, ecc. Un’ispettrice
scolastica, con riferimento agli anni 1955-56, segnala che «i ragazzi
erano malnutriti ed erano assoggettati a punizioni intollerabili come
mangiare anche per quindici giorni la pappa di pane senza sale o con
l’olio di fegato di merluzzo, essere legati alle zampe del letto sotto di
questo, ricevere percosse». I bambini avevano segnalato che una delle loro
aguzzine «li puniva anche facendoli stare in ginocchio, con le mani sotto
le ginocchia e con dei sassolini sotto le mani». Tipiche le punizioni per
l’enuresi notturna (fatto che colpisce gran parte dei bambini
istituzionalizzati a causa delle sofferenze patite): «Le gocce di pipì
strizzate in bocca dalle mutandine bagnate», i vasi da notte messi in
testa, il leccare con la lingua l’orina colata in terra o il tenere
avvolte al capo le lenzuola bagnate. Al riguardo Salvatore, un bambino di
dieci anni (al tempo dei fatti ne aveva sette), deponendo davanti al
magistrato durante il processo svoltosi nel 1968 contro il direttore padre
Leonardo e gli aguzzini dell’istituto dei Celestini di Prato, aveva
riferito che N. L. lo aveva costretto a fare «un bagno freddo tenendogli
la testa sotto acqua» e che «più volte gli aveva fatto leccare il
sudiciume che era sul pavimento e anche l’orina di altri ragazzi». Molto
significativa l’esperienza di Fausto, ricoverato in ospedale dopo essere
caduto da un albero sul quale si era arrampicato. Infatti alla maestra che
era andata a trovarlo aveva detto: «Quando ritorno all’istituto mi rompo
un altro braccio perché bene così non sono mai stato».
Da notare che la vicenda dell’istituto dei Celestini durò ben 32 anni (6).
Mentre negli anni ’60 numerosi enti privati di assistenza non forniscono
adeguate prestazioni ai minori ricoverati, la magistratura non si comporta
sempre in modo accettabile. Ad esempio, il Tribunale di Torino, nella
sentenza pronunciata il 31 marzo 1967 nei confronti di tre imputati, il
direttore e le due vice degli istituti psico-pedagogici situati a Vernone,
Cinzano e Brusasco, rileva che non vi è dubbio sul fatto che molti dei
bambini ricoverati sono stati privati di qualche pasto, fatti stare in
piedi o in ginocchio per un certo tempo e percossi alle volte con
particolare violenza con «sberle, ceffoni, colpi di canna e di bastoni».
Detto convincimento emerge dalle dichiarazioni dei bambini che hanno
subito tali trattamenti e dalle loro deposizioni ricche di particolari e
confortate talvolta anche dalle deposizioni dei testi oculari, nonché
dalle parziali ammissioni del direttore. Ma il Tribunale arriva quasi a
giustificare detti comportamenti sostenendo che dette punizioni venivano
inflitte solo in occasione di mancanze più o meno gravi, per cui i tre
imputati non percuotevano i bambini per malvagità d’animo, ma per finalità
esclusivamente educative (7).
Un altro esempio. Il
Pretore di Capriati Volturno assolve il 15 gennaio 1970, per aver agito in
stato di legittima difesa, P. O., accusato di abuso di mezzi di correzione
in danno di un convittore dodicenne al quale aveva procurato lesioni
fissandogli ai piedi due pezzi di ferro dal complessivo peso di kg 3,450 a
mezzo di catena con lucchetto per impedirgli di allontanarsi dall’istituto
Padre Montorsoli, come aveva già fatto in precedenza (8).
Inconcepibile, nonostante le prove schiaccianti raccolte, l’assoluzione in
istruttoria, datata 11 febbraio 1967 «perché il fatto non costituisce
reato» di S. M. che insieme a Monsignor S.A. dirige l’istituto “Villaggio
dei Santi” imputata di maltrattamenti «per avere, trascurando l’igiene,
fornendo un regime alimentare insufficiente e non provvedendo a un
confacente sistema di riscaldamento degli ambienti e delle camerate,
sottoposto numerosi bambini indigenti e orfani, ricoverati presso il
villaggio San F. di R. (Catania), a gravissimi disagi fisici e morali e a
un regime di vita degradante e umiliante». I carabinieri segnalano alla
locale Pretura che «molti bambini indigenti ricoverati presso il villaggio
San F. sono in preda ai pidocchi (…) e costretti a vivere in locali
igienicamente malsani (…) non vengono sufficientemente alimentati e
dormono in camerate non riscaldate le cui finestre sono prive in parte di
vetri». Il giorno successivo, il magistrato si reca presso l’istituto in
cui sono ricoverati 270 minori, accerta, a parte la mancanza di vetri, che
nel dormitorio delle bambine, un locale di circa 12 x 12 metri «per la
mancanza di un pezzo di muro da una buca entra l’acqua nella camerata» e
che «oltre una grande umidità si nota fetore». Inoltre, «sollevate le
coperte dei lettini si rinvengono le lenzuola di tutti i letti
completamente sporche e macchiate di urina (…). Le coperte sono sporche e
lacere (…). I due lettini delle sorveglianti hanno materassi di lana,
federe e lenzuola pulite (…). Devono essere tenuti i cappotti sia per
l’umidità che proviene dal pavimento bagnato, sia per il vento che
proviene dai finestroni». Analoga la situazione accertata dal magistrato
nel secondo dormitorio con 26 lettini e in un altro locale con altri 63
letti. Certifica, inoltre, che «non può materialmente entrare nei
gabinetti perché sono sommersi nell’urina (…). Il pavimento è quasi
completamente coperto da feci già invase dalle mosche».
Lo stesso magistrato afferma, altresì, che nel locale in cui una maestra
impartiva le lezioni a trenta bambini «tutti hanno la faccia sporca.
L’aula è priva di qualsiasi sussidio didattico (…), vi è un pezzo di
lavagna, circa tre quarti di una vera lavagna, tutta rotta (…). I banchi
sono lerci, sgangherati e rotti (…). Il pavimento, che si presenta sporco,
viene pulito dai bambini con una scopa (…). In tre banchi manca parte
della panca per sedersi e poiché in ogni banco vi sono tre bambini, due
restano in piedi (…). Un banco è completamente privo di panca per cui i
bambini restano in piedi».
Negli stessi giorni in
cui il Pretore inizia le indagini, due persone che percorrono una strada a
bordo di un’auto, scorgono una bambina che porta sulle spalle il
fratellino. I carabinieri, ai quali vengono accompagnati i due ragazzi,
danno atto che «sia la predetta Giovanna che il fratellino Saverio sono
vestiti malamente con panni laceri e sporchi. Anche la loro pelle è
sporca in ogni parte del corpo, specialmente nel collo. Sono inconsolabili
e non vogliono assolutamente tornare al collegio che li ha ospitati.
Saverio ha dei pidocchi e presenta dei foruncoli alle braccia e alle mani.
I suoi denti sono tutti cariati e soffre per dolori alla bocca». La
bambina spiega: «Sono fuggita perché non potevo più sopportare che il mio
fratellino, di anni quattro, venisse continuamente malmenato» e aggiunge:
«Comune mezzo di punizione è quello di metterci in ginocchio in un
qualsiasi posto e per lunghi periodi (…). Mi è capitato di restare in
ginocchio per ore intere sul pavimento di marmo e sul selciato del
cortile, tanto che qualche volta mi sono ferita (…). Io dormo in un
lettino insieme con mio fratello e talvolta mi capita di cadere dal letto
per farlo dormire più comodamente».
Nonostante la
conferma da parte dei fanciulli interrogati delle botte ricevute («sono
anche stata malmenata dalla signorina A. con una stanga di legno lunga più
di un metro (…). Ci puniscono anche mettendoci fuori nella terrazza in
pigiama e lasciandoci all’addiaccio (…). Il letto dove dormo è fornito
solo di due coperte molto piccole e del tutto insufficienti a ripararmi
dal freddo (…). Ci sono i vetri rotti attraverso i quali penetra vento e
pioggia (…). A pranzo ci danno la pasta, ma ci sono spesso vermi, terra,
mosche, insetti (…). Certe volte veniamo bastonati con un pezzo di legno,
cosiddetta “gerla”; ci vengono inferti colpi sul capo, sul corpo e sulla
schiena»), nella sentenza assolutoria è scritto che l’esercizio
dell’azione penale relativa ai maltrattamenti «non può dirsi
sufficientemente suffragata dalle risultanze istruttorie» e non risulta
che «la condotta di costei (la direttrice S.M.) sia stata ispirata dalla
volontà di nuocere ai piccoli (…)». Inoltre «da nessun elemento del
processo emerge la sua (della direttrice) volontà di sottoporre i
fanciulli ad una situazione di abituale avvilimento della loro
personalità». Il provvedimento di assoluzione prosegue osservando che «se
tale malvagia finalità avesse guidato la condotta della S.M. non si
spiegherebbe l’indebitamento dell’ente per svariate decine di milioni onde
sopperire alla gestione (…) e ingiustificati e assurdi sarebbero i
continui appelli a enti religiosi e istituti caritatevoli per avere
sussidi ed elargizioni», tralasciando di tener conto che gli enti pubblici
avevano contribuito alla costruzione dell’istituto nella rilevante misura
dell’80% del costo.
Sconcertante anche la vicenda
di Nicola Aliotta, imputato di quattro truffe aggravate continuate e di
interesse privato in atto di ufficio, condannato dal Tribunale di Roma il
14 gennaio 1966 a quattro anni e nove mesi di reclusione e lire 1.300.000
di multa, pena aumentata dalla Corte di appello con sentenza del 30
gennaio 1967 a cinque anni di reclusione (9). Da una relazione redatta dal
collegio sindacale dell’Inps era stato accertato che «un dipendente
dell’Inps, professor Nicola Aliotta, a mezzo di società di comodo
appositamente create con lo scopo di gestire istituti preventoriali,
cliniche, sanatori, ecc. e conseguendo, con l’appoggio del padre,
autorevole consigliere di amministrazione dell’Inps, il convenzionamento
delle case di cura gestite dalle predette società (…) si era ingerito
nell’esplicazione della attività assistenziale traendo a tal fine profitto
delle deficienze che la rete sanatoriale dell’Inps presentava nelle
località prescelte». Il giro d’affari era imponente, com’è dimostrato
dalla costituzione da parte di Aliotta di numerose società a
responsabilità limitata: Sicep, Sonaga, Sogip, Sic, Sama e Sias. Ad
esempio la Sicep aveva sottoscritto una convenzione con l’Inps per il
ricovero di bambini in tre strutture site nella provincia di Lecce. La
retta convenuta con l’Inps, inizialmente di lire 1.360 al giorno per
bambino, era stata successivamente aumentata a lire 2.000. La Sicep (e
così pure le altre società) non gestiva gli istituti, ma aveva
subappaltato l’assistenza a costi nettamente inferiori. Al fine di
consentire all’Aliotta ed ai suoi collaboratori di incassare somme
rilevanti (dalla sentenza risulta che è «stato raggiunto complessivamente
l’enorme profitto non legittimo di lire 1 miliardo, 149 milioni e
400mila», veniva superata la capienza degli istituti «da un minimo del
140% a un massimo del 246%» con la conseguenza che «tale sovraffollamento
si risolveva in una insufficiente assistenza ai ragazzi e portava a
condizioni di estremo disagio». Inoltre erano stati manifestati «fondati
dubbi di indebite protrazioni delle degenze».
A.10. Il futuro dei bambini senza famiglia
dipendeva dalle scelte dell’ente di assistenza
I 50
mila enti, organi o uffici, di cui al punto A.2., hanno il potere, in
effetti un vero e proprio arbitrio, di decidere il presente e il futuro
dei bambini senza famiglia. Nel 1960 sono assistiti ben 21.113 bambini non
riconosciuti. Pertanto, per la loro sistemazione presso famiglie adottive
o affidatarie, gli organismi preposti alla loro assistenza non sono
condizionati dalle decisioni o dai pareri dei genitori e degli altri
congiunti. Ciononostante, la stragrande maggioranza dei fanciulli resta
in istituto fino al raggiungimento della maggiore età, in quel periodo
prevista al compimento del 21° anno. Poi, quasi
sempre, vengono dimessi dagli istituti e abbandonati a loro stessi. Di
conseguenza, molte sono le ragazze costrette a prostituirsi per poter
vivere e numerosi sono i maschi che ingrossano le file della delinquenza.
A.11. L’affiliazione
Negli
anni ‘60 era ancora vigente l’affiliazione, istituto giuridico creato dal
fascismo con lo scopo di soddisfare «un doppio bisogno giuridico
individuale, il bisogno, anzi il diritto, degli illegittimi perché lo
Stato intervenga a cancellare la inferiorità familiare e sociale che loro
infligge la colpa dei genitori e il bisogno spirituale, morale e talora
economico, specie nel campo agricolo, delle famiglie sterili o fornite di
poca prole, di avere un focolare allietato dal sorriso del fanciullo e di
reclutare nuove forze di aiuto e di completamento della comunità economica
familiare» (10). L’affiliazione doveva essere preceduta da almeno tre anni
di affidamento a scopo educativo. Questo periodo poteva essere interrotto
dal o dai suoi genitori in qualsiasi momento salvo diversa decisione
dell’autorità giudiziaria; inoltre era praticabile la revoca in caso di
riconoscimento tardivo da parte anche di uno solo dei genitori.
L’affiliazione aveva natura eminentemente assistenziale e si esauriva con
il raggiungimento della maggiore età dell’affiliato, salvo la
conservazione del cognome assunto o aggiunto. Su richiesta
dell’affiliante, il minore assumeva il suo cognome se figlio di ignoti o
riconosciuto da un solo genitore, lo aggiungeva al proprio se figlio
legittimo o riconosciuto da entrambi i procreatori. L’affiliato non aveva
diritto alla successione del o degli affilianti. L’affiliante, purché
maggiorenne, poteva avere qualsiasi età, essere celibe, nubile, vedovo o
coniugato. Se coniugato, come per l’adozione, era solo necessario
l’assenso del coniuge, libero di affiliare il minore oppure no.
Le gravissime carenze dell’affiliazione risultavano evidenti anche dalla
relazione della proposta di legge n. 1628 presentata alla Camera dei
Deputati il 15 ottobre 1959 dalle parlamentari Luciana Viviani e Laura
Diaz in cui si legge quanto segue: «Il 24 ottobre del 1958 si presentavano
dinanzi alla casa dei signori D. F., una famiglia di pescatori di
Pozzuoli, 10 agenti, un avvocato, un ufficiale giudiziario e la signora I.
F., madre naturale di G., una bimba di 11 anni. La famiglia D. F. aveva
preso G. dal brefotrofio di Napoli, a soli 8 mesi, e per 10 anni l’aveva
cresciuta ed educata come una figlia. La signora I. F., essendo riuscita
ad ottenere una sentenza di riconoscimento della patria potestà e quindi
l’affidamento della figlia, per superare le gravi resistenze che la
famiglia D. F. opponeva alla consegna della piccola G., aveva chiesto ed
ottenuto l’appoggio delle forze di polizia per rendere esecutiva la
sentenza. La bambina fu strappata con la forza dalle braccia della madre
adottiva. La scena, tremenda nella sua disumanità, durò per due ore. La
piccola G., condotta a Cosenza dalla madre naturale, fu rinchiusa in un
istituto assistenziale ove tuttora risiede. Non occorre essere esperti di
psicologia per comprendere come il trauma subito dalla bambina, in età
assai delicata per la sua formazione psichica, avrà gravi conseguenze e il
ricordo di quel ratto disumano resterà per sempre scolpito nella sua
memoria. «Questo episodio, che suscitò grande
impressione in tutta la popolazione di Pozzuoli, non è che uno dei tanti
che, forse con minore scalpore, si verificano nel nostro Paese. Il dramma
di G. dimostra come le leggi che regolano in Italia l’adozione e la
affiliazione rendono assai difficile per migliaia e migliaia di bambini
“illegittimi” la possibilità di essere accolti in una famiglia e di
rimanerci per sempre, sani e felici. Dichiarando di voler difendere la
famiglia, in realtà questa legge impedisce, in molti casi, che i bimbi
nati fuori dal matrimonio ritrovino un focolare sicuro e dimentichino di
essere dei “minorati sociali”».
Note
(1) Le denominazioni
riportate sono quelle utilizzate dall’Istat.
(2) I
dati riguardano solo i minori ricoverati nei brefotrofi (allevamento
interno) e non comprendono quelli in allevamento esterno, affidati a
balie, allevatori e istituti.
(3) Si tratta di
istituti che, secondo l’Istat, accolgono «per periodi piuttosto lunghi,
bambini linfatici, anemici, predisposti alla tubercolosi, ecc.». In
effetti, sono ricoverati quasi esclusivamente bambini di famiglie povere.
(4) Nei brefotrofi, su 8.699 ricoverati in allevamento interno, 3.768 sono
illegittimi non riconosciuti, 3.564 illegittimi riconosciuti e 1.367
legittimi. (5) Cfr. Bianca Guidetti Serra e
Francesco Santanera, Il Paese dei Celestini - Istituti di assistenza sotto
processo, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1973.
(6)
Cfr. “Dagli aguzzini di Prato (1963) alle torture di Laterza (1966):
responsabilità e proposte”, Prospettive assistenziali, n. 115, 1996.
(7) Cfr. Bianca Guidetti Serra e Francesco Santanera, op. cit.
(8) Ibidem.
(9) Ibidem.
(10) Relazione presentata il 4 giugno 1937 da Piola Caselli, Di Marzo e
Costamagna in merito al progetto di legge sull’affiliazione, allora
definita anche “piccola adozione”.
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