emoriale delle vittime dell'emarginazione sociale

stampa C. ANNI ’70. ANZIANI MALATI CRONICI NON AUTOSUFFICIENTI E PERSONE CON DEMENZA SENILE: CRUDELE ED ESTESA NEGAZIONE DEI VIGENTI DIRITTI COSTITUZIONALI E LEGISLATIVI
 

L’Anfaa, Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie, ha ottenuto un ampio, anche se non completo, riconoscimento dell’assoluta negatività del ricovero in istituto dei minori, nonché l’approvazione della legge 431/1967 istitutiva dell’adozione legittimante, con il conseguente avvio dell’inserimento nelle famiglie d’origine o adottive dei 310mila fanciulli ricoverati in strutture a carattere di internato, spesso veri e propri lager .
L’Ulces, Unione per la lotta contro l’emarginazione sociale, nel frattempo, ha impedito la creazione del villaggio residenziale progettato e finanziato dalla Provincia di Torino per l’internamento di ben 500 minori con disabilità intellettiva e molto limitata o nulla autonomia. Inoltre ha promosso (oltre 200mila firme raccolte) la presentazione al Senato della proposta di legge di iniziativa popolare “Interventi per gli handicappati psichici, fisici, sensoriali ed i disadattati sociali” , che ha favorito l’approvazione della legge 118/1971, “Nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili”, le prime disposizioni del nostro Paese a tutela delle persone con disabilità.
Sulla base dei risultati raggiunti, l’Ulces ha deciso di affrontare anche la questione degli anziani malati cronici non autosufficienti e delle persone colpite dalla malattia di Alzheimer o da altre analoghe forme di demenza senile, la cui situazione era assolutamente tragica sotto tutti gli aspetti, attività che, a partire dal 2003 è stata assunta soprattutto dalla Fondazione promozione sociale onlus.

SITUAZIONI DRAMMATICHE E COMPORTAMENTI DISUMANI

C.1. Un gruppo di ricoverati del Cottolengo di Torino chiede l’eutanasia

Un esempio significativo della drammatica situazione degli anziani malati è la lettera apparsa su La Stampa del 21 agosto 1979 che riproduciamo integralmente: «Siamo un gruppo di vecchi e di handicappati del Cottolengo: ti preghiamo di fare una campagna a favore dell'eutanasia. Se l'iniziativa avrà successo ne deriverà una legge, come per l'aborto, che porterebbe tanto sollievo a molti disperati. Basterebbe che negli ospedali ci fosse un reparto per accogliere queste persone che desiderano morire, mettendo a disposizione le medicine che devono prendere e un letto per l'ultimo sonno. Ti saremo molto riconoscenti se vorrai avere pietà di noi e di tanti che si trovano nelle nostre condizioni».

C.2.Ospedale Maria Vittoria di Torino

Gelosa della sua libertà e pienamente in grado di provvedere a sé stessa, la signora A.B. di 89 anni viveva da sola a casa sua. Per motivi di emergenza si rivolge al Pronto soccorso dell’ospedale Maria Vittoria di Torino il giorno di Natale 1978 e viene malamente apostrofata con queste parole: «Non si deve andare in quelle condizioni in ospedale, alla vecchiaia bisogna pensare per tempo e farsi ricoverare in casa di riposo vent’anni prima». Sul n. 25, marzo 1979 di Controcittà il seguito della vicenda viene così descritto: «Appena ricoverata l’ammalata al Maria Vittoria, il medico chiede all’accompagnatrice di firmare un foglio in cui si impegna a portar via “la vecchia” entro tre giorni. Il foglio non viene firmato e l’accompagnatrice dichiara al medico di accettare la dimissione solo quando la direzione sanitaria dichiarerà che la paziente non ha più bisogno di cure ospedaliere. Il medico a questo punto va su tutte le furie e scoppia una vivace polemica fra tutto il personale sanitario presente e l’accompagnatrice. Data la situazione, l’accompagnatrice provvede a mettere un’infermiera a pagamento, sia per rassicurare la paziente che per calmare il personale sanitario. Il 29 dicembre (dopo quattro giorni di ricovero) un infermiere comunica che avrebbero trasferito la paziente alle Molinette dove ci sarebbe stato il reparto adatto. È chiaro che vogliono liberarsi a tutti i costi di quella malata. Per evitare che la malata sia trasportata da sola, una vicina di casa si reca al Maria Vittoria e alle Molinette anche per controllare dove avrebbero messo la signora. Questa persona rimane molto sconvolta nel vedere come avviene il trasferimento: si tratta di una malata che respira a fatica, che si agita, che ha il catetere e l’ipodermoclisi. Il viaggio è allucinante. Il medico del Pronto soccorso delle Molinette è infuriato e grida che quelli del Maria Vittoria sono pazzi a sottoporre una simile paziente a quel trasporto, che è un modo per ucciderla e quindi la rispedisce con una relazione al Maria Vittoria, nello stesso reparto. È inutile descrivere le scene terribili accadute al Maria Vittoria nel reparto neurologia, dove viene riammessa. Il risultato è un immediato peggioramento della paziente (catarro, piaghe da decubito, depressione). Il 2 gennaio si trova finalmente una infermiera a pagamento per la notte e l’assistenza diurna è fatta da una vicina di casa. Ciò nonostante la richiesta è sempre quella di portarla via. Quando finalmente si ha la possibilità di avere un posto dove ricoverarla a pagamento, l’accompagnatrice parla con il medico del reparto richiedendo per la dimissione un certificato in cui si dichiari che la paziente non aveva più bisogno di cure ospedaliere e che quindi poteva essere ricoverata in una casa di riposo. Il medico non fa la dichiarazione e la paziente rimane nel reparto dove muore il 9 gennaio dopo due settimane di vero calvario».

C.3. Ospedale Nuovo Martini di Torino: fuori i vecchi lungodegenti

Dalla Gazzetta del Popolo del 16 dicembre 1979 si riportano le parti principali dell’articolo “L’ospedale non la vuole. Ammalata troppo vecchia”: «Per mesi i parenti hanno pagato 18mila lire al giorno all’Istituto di ricovero di corso Casale per vedere l’anziana mamma deperire a vista d’occhio, assistita male, curata peggio. Ridotta al lumicino, quasi in coma, la donna è stata ricoverata in ospedale al Nuovo Martini. Si è ripresa, sta bene anche se patisce i mali dell’età avanzata e ora l’ospedale la vuole dimettere. Per i malati cronici i cosiddetti “lungodegenti” non c’è posto, la donna deve ritornare nell’istituto di ricovero. Un controsenso, una delle tante situazioni assurde delle quali gli anziani sono vittime».

C.4. Inferma anziana non autosufficiente abbandonata su un’ambulanza

Su “Il Lavoro” del 3 novembre 1989 viene riferito quanto segue: «L.P. una pensionata di 73 anni, vedova, senza figli, residente a Prà […] per sette ore è stata sballottata a bordo di una ambulanza alla ricerca di un posto per tutti gli ospedali dell’8a Usl per approdare infine al Martinez di Pegli. L’incredibile incivile odissea della donna ha inizio all’ospedale di Campoligure dove è ricoverata da 15 giorni a seguito della angiosclerosi diffusa e alla conseguente emiparesi che immobilizza l’intera parte sinistra del corpo. L. è sola al mondo se si esclude una sorella più giovane di alcuni anni che però ha seri problemi di salute. Attorno alle 13 di ieri i medici decidono di dimettere L. dall’ospedale dopo averne constatato il miglioramento – dice il foglio di accompagnamento – L. che ha comunque un catetere permanente, viene affidata ai militi della Pubblica assistenza per essere ricondotta a casa, dove giunge intorno alle 14. I militi cercano della famiglia S., i vicini di casa che hanno in custodia le chiavi dell’appartamento. V. S. avverte che è impossibile lasciare l’anziana in casa da sola. Si telefona al marito della sorella che è a letto con la febbre. Allora la famiglia S. decide di accompagnare L. all’ospedale di Voltri. L’ambulanza riparte alla volta del San Carlo dove L. viene ricoverata per poche ore. Poi di nuovo contrordine, si decide di ricondurre la paziente a casa. Questa volta è la Croce Verde di Prà che si occupa del trasporto. Alle 19 i vicini devono nuovamente spiegare ai militi che non è possibile abbandonare la donna da sola e questa volta avvisano la polizia. La polizia ed i vicini di casa decidono di trasportare l’anziana al Martinez di Pegli. E’ l’ultimo tentativo. Nuovo viaggio e finalmente, dopo sette ore trascorse in barella con il catetere L.P. viene ricoverata all’ospedale. Sono le 20 e può abbandonare l’ambulanza. Il medico di guardia rivela che è in stato di ipertensione arteriosa. La donna non si è mai lamentata per tutto il giorno, ma il suo sguardo la dice tutta. L. non parla ma la famiglia S., che da molto tempo, insieme ad altri inquilini del palazzo si occupa di lei, non se la sentono più di tacere. “E’ una cosa inconcepibile, assurda, vergognosa! Una donna sola, anziana, incapace di muoversi, non dovrebbe sopportare queste cose”. Ancora una volta la grave inefficienza e la disorganizzazione che imperano nell’ottava Usl ha colpito, come sempre, i più deboli e indifesi».

C.5. La Procura della Repubblica di Torino archivia un esposto: approvate le dimissioni ospedaliere di una persona con esigenze sanitarie indifferibili

In data 8 ottobre 1980 un gruppo di responsabili di organizzazioni aderenti al Csa, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base, invia il seguente esposto alla Procura della Repubblica di Torino: «I sottoscritti a titolo personale e quali rappresentanti delle organizzazioni a fianco indicate segnalano per i provvedimenti del caso che la Signora C. L. di anni 89, già abitante a Torino, (…), è stata ricoverata il 18 settembre u.s. presso la Casa di riposo Carlo Alberto con sede in Torino, Corso Casale 56.Il ricovero presso la Casa di riposo è stato effettuato poiché l'Astanteria Martini di Largo Gottardo 143 aveva certificato che la signora C.L. non necessitava più di cure ospedaliere. Al momento del ricovero le condizioni della signora C.L. erano talmente preoccupanti (deperimento organico gravissimo con peso di 37 kg, piaghe da decubito estesissime) che la Casa di riposo, non essendo in grado di fornire cure richiedenti un ricovero ospedaliero, chiedeva im-mediatamente l'intervento della Ripartizione XVI del Comune di Torino che a sua volta informava subito l'Ufficiale sanitario di Torino. Questi disponeva una visita di controllo, effettuata il giorno seguente del ricovero, da cui risultava che la paziente era intrasportabile a causa delle sue gravissime condizioni. Gli scriventi chiedono pertanto alla Procura della Repubblica di Torino di accertare:
- se le cure e l'assistenza praticate alla signora C.L. durante la degenza presso l'Astanteria Martini di Largo Gottardo 143 sono state adeguate alle necessità della paziente;
- se il gravissimo stato di deperimento organico e le estesissime piaghe da decubito sono stati determinati da incuria o da abbandono;
- se, tenuto conto delle condizioni della paziente e delle norme vigenti in materia sanitaria, l'Astanteria Martini poteva disporre le dimissioni della paziente;
- i motivi per cui il giorno 18 settembre le condizioni di salute della signora C.L. consentivano il trasporto dall'Astanteria Martini alla Casa di riposo Carlo Alberto e poche ore dopo, come da dichiarazione del medico inviato dall'Ufficiale sanitario di Torino, ne veniva accertata l'intrasportabilità».

La vicenda della signora C.L. non è purtroppo un caso isolato. Infatti nel territorio di competenza della Procura della Repubblica di Torino sono migliaia gli anziani definiti cronici che, pur avendo in base alle leggi vigenti diritto al ricovero ospedaliero gratuito e senza limiti di durata quando le cure non sono praticabili a domicilio o in ambulatorio, sono dimessi dagli ospedali spesso di forza o con ricatti di vario genere e ricoverati in istituti di assistenza e beneficenza.
Si segnala che molto sovente agli anziani, durante il ricovero ospedaliero, non vengono somministrati gli alimenti.
Inoltre la carenza dei più elementari interventi di assistenza negli ospedali determina il sorgere di dolorosissime piaghe da decubito, che spesso sono la dimostrazione lampante dell'incuria e dell'abbandono.
Circa il problema degli anziani cronici si segnalano i seguenti fatti:
1) all'interrogazione dei Consiglieri regionali Anna Maria Vietti e altri presentata il 24 febbraio 1977, gli Assessori regionali alla sanità Ezio Enrietti e all'assistenza Mario Vecchione rispondevano in data 4 aprile 1977 affermando che nell'istituto di riposo per la vecchiaia di Torino, corso Unione Sovietica, nel luglio 1976 erano ricoverati “476 lungodegenti non autosufficienti affetti da malattie specifiche della vecchiaia di cui al Decreto Ministeriale del Lavoro 21-12-1956 (G.U. 2 gennaio 1957 n. 1) e pertanto necessitanti di cure sanitarie continue non praticabili a livello domi-ciliare o ambulatoriale”.
Nonostante l'accertata violazione delle leggi vigenti, nessuno dei 476 lungodegenti è stato ricoverato in ospedale;
2) il Prof. Ettore Strumia, Dirigente medico della casa di riposo Carlo Alberto, ha scritto nella lettera pubblicata dalla Gazzetta del Popolo del 5 gennaio 1980 quanto segue: “In carenza di specifiche strutture, i cronici spesso ancora necessitanti di terapie ed in parte ancora recuperabili se adeguatamente trattati, vengono indirizzati dagli ospedali agli Istituti geriatrici, i quali privi di adeguati servizi, devono far fronte alle gravi esigenze di questi malati. Oltre l'80% dei ricoverati di questo istituto giungono direttamente dagli ospedali cittadini e necessitano prosecuzione della terapia”;
3) nessuna risposta è stata data e nessun risultato è stato raggiunto dalle numerosissime istanze presentate alla Regione Piemonte e agli Enti ospedalieri dirette ad ottenere che si ponesse termine alle violazioni di legge conseguenti al ricovero in istituti di assistenza di anziani cronici necessitanti di cure ospedaliere.
Si citano in particolare:
- la lettera inviata nel maggio 1977 dal Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base ai Presidenti e ai Direttori sanitari degli Enti ospedalieri del Piemonte e agli Assessori regionali alla sanità e all'assistenza;
- la lettera inviata il 2 luglio 1980 dal Comitato di difesa dei diritti degli assistiti alle Presidenze e alle Direzioni sanitarie degli Enti ospedalieri del Piemonte.
A sostegno dell'obbligo per gli ospedali di assicurare i trattamenti agli anziani cronici non curabili a domicilio o in ambulatori gli scriventi fanno riferimento:
- all'interrogazione presentata al Consiglio comunale di Torino dal Consigliere Avv. Giorgio Santilli in data 4 febbraio 1975;
- alla risposta dell'Assessore Nardullo del 21 febbraio 1975 all'interrogazione di cui sopra, in cui sono ammesse le dimissioni illegittime di anziani cronici dagli ospedali;
- l'articolo “Gli anziani definiti cronici vengono calpestati nei loro diritti” pubblicato da Prospettive assistenziali, n. 44.
«Si segnala inoltre che tutte le volte che persone o organizzazioni collegate con i firmatari del presente esposto sono intervenute contro le dimissioni di anziani cronici dagli Enti ospedalieri, le dimissioni stesse non sono state attuate. Nel dicembre 1978, a seguito di interventi fatti a titolo personale dall'assistente sociale Jole Meo, abitante a Torino, (…), l'ospedale Maria Vittoria di Torino non dava corso alle dimissioni della signora G. A. che decedeva presso l'ospedale suddetto il 9 gennaio 1979. La vicenda è illustrata nell'articolo “Il dramma di una povera vecchia” pubblicato sul n. 25 di Controcittà. Su intervento dell'Unione per la lotta contro l'emarginazione sociale con sede in Torino, Via Artisti 34, l'Ospedale Civile Santa Croce di Moncalieri ritirava le dimissioni e continuava ad assistere il signor G. M., già abitante in (…), Nichelino, deceduto nell'ospedale suddetto il 28 marzo 1979. Iniziative assunte dalla signora A. C. Torino, (…), figlia della paziente e dal Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti, gli articoli pubblicati sulla Gazzetta del Popolo del 16 dicembre 1979 e sulla Voce del Popolo del 23 dicembre 1979, portavano al ritiro delle dimissioni insistentemente richieste dall'Ospedale Martini Nuovo, via Tofane 71, della signora B. P., ricoverata presso l'Ospedale suddetto e tuttora ivi degente. Presso il suddetto ospedale Nuovo Martini il Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti doveva nuovamente intervenire in data 11 luglio 1980 con una manifestazione e relativa distribuzione di un volantino per impedire le dimissioni della signora F. A. in M. che continuava a rimanere ricoverata e quindi decedeva all'ospedale stesso.
Infine si segnala l'intervento fatto nei confronti dell'Astanteria Martini di Largo Gottardo per evitare le dimissioni del Signor R. E., ivi ricoverato il 16 agosto 1980, dimissioni che anche in questo caso venivano ritirate dall'ospedale. Ciò premesso e tenuto conto che gli enti ospedalieri sono enti pubblici e quindi tutti gli addetti sono pubblici ufficiali o quanto meno incaricati di un pubblico servizio, gli scriventi chiedono alla Procura della Repubblica di accertare la sussistenza di reato di omissione di atti di ufficio e di altri reati:
- per quanto riguarda il caso sopra illustrato della signora C.L., sia in merito alle cure e all'assistenza prestata, sia in relazione alle dimissioni dall'ospedale Astanteria Martini;
- per quanto concerne le migliaia di dimissioni e non ammissioni negli ospedali pubblici di anziani cronici non curabili a domicilio o in ambulatorio in relazione agli obblighi delle vigenti leggi
».
Nel provvedimento di archiviazione del 2 luglio 1984 (sono trascorsi ben 4 anni!) la Procura della Repubblica di Torino, ha evidenziato che la dimissione della signora C.L. e il suo trasferimento presso l’istituto Carlo Alberto «furono indubbiamente disposti in una situazione di difficoltà [non comprovata, ndr.], di cattiva sopportazione da parte dell'Astanteria Martini per una condizione patologica bisognosa di cure di tipo geriatrico e con prospettive di lungodegenza». Nonostante le sopra citate considerazioni, senza tenere in alcun conto le norme costituzionali e la legge 833/1978 il cui articolo 2 obbliga il Servizio sanitario nazionale ad assicurare "la diagnosi e la cura degli eventi morbosi quali ne siano le cause, la fenomenologia e la durata", la Procura della Repubblica ha scelto la seguente motivazione pilatesca, affermando che «non risulta in alcun modo provato – ed anzi tutto fa ritenere [senza precisare alcun dato oggettivo, ndr.] che vi sia la prova negativa – che il trasferimento in istituto abbia apprezzabilmente aggravato le condizioni della paziente», omettendo anche di considerare che la casa di riposo aveva segnalato, come era stato evidenziato nell’esposto, di non essere in grado di fornire cure richiedenti il ricovero ospedaliero.

C.6. Vademecum per i medici: come rispedire a casa gli anziani malati

In data 17 luglio 1984, protocollo n. 122, il Presidente dell’Usl Roma 9 e il Dirigente del Servizio sanitario della stessa Usl hanno inviato alla Direzione sanitaria dell’Ospedale San Giovanni e dell’Addolorata di Roma la seguente comunicazione: «Con l'approvazione del Comitato di Gestione si dispone quanto segue: ogni volta che si riscontrino difficoltà nel far rientrare presso i familiari un paziente posto in dimissione, il Servizio Sociale curerà quanto segue:
1) in prima istanza, curerà che sia inviato ai familiari, a firma del Direttore Sanitario, un invito telegrafico a prendersi in casa il paziente;
2) ove tale invito telegrafico non abbia esito alcuno, il giorno successivo sarà inviata ai familiari e per conoscenza al Sindaco, al presidente dell'Usl di residenza ed al suo Medico di base una lettera raccomandata in cui sarà indicata la data e l'ora in cui il paziente sarà accompagnato a casa in ambulanza insieme a un assistente sociale e ad un infermiere;
3) nel caso in cui tale tentativo fallisse, se ne darà comunicazione scritta al Direttore Sanitario, che interesserà a sua volta il Coordinatore Amministrativo per i necessari atti legali nei confronti dei familiari.
Con l'occasione si prega voler ricordare ai Signori Primari che la denuncia di lungodegenza esclude di per sé fa possibilità di seguire la prassi di cui sopra
».
Molto significativa l’ultima frase/avvertenza rivolta ai Primari: non segnalate che si tratta di lungodegenti, perché questi malati hanno diritto alle cure sanitarie senza limiti di durata!

C.7. Altre devastanti conferme relative alla violazione delle vitali esigenze e dei vigenti diritti degli anziani malati cronici non autosufficienti e delle persone con demenza senile

Al riguardo si veda sul sito www.fondazionepromozionesociale.it l’articolo “Storie di anziani” pubblicato sul n. 69/1985 di “Prospettive assistenziali”. Altre tragiche vicende sono riportate ni seguenti libri: Francesco Santanera e Maria Grazia Breda, Vecchi da morire. Libro bianco sui diritti violati degli anziani malati cronici: manuale per pazienti e familiari e, degli stessi autori, Per non morire d’abbandono. Manuale di autodifesa per pazienti, familiari, operatori e volontari, entrambi con prefazione di Norberto Bobbio, pubblicati da Rosenberg&Sellier rispettivamente nel 1987 e nel 1990.

www.fondazionepromozionesociale.it