emoriale delle vittime dell'emarginazione sociale

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  IPAB IN "PILLOLE"
In merito alla lotta contro la povertà e all’aiuto alle persone più deboli è molto istruttiva la vicenda dei patrimoni delle Ipab e dei 50mila enti assistenziali disciolti. 
 





Finalità delle Ipab
Come risulta dalla legge 753/1862, approvata subito dopo l’Unità d’Italia, le Ipab sono strutture pubbliche aventi lo scopo di «soccorrere le classi meno agiate, tanto in istato di sanità che di malattia, di prestare loro assistenza, educarle, istruirle ed avviarle a qualche professione, arte o mestiere». Detto scopo è confermato dalla legge 6972/1890.

Natura pubblica delle Ipab
Anche se “Ipab” significa “Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza”, da parte di alcuni – soprattutto di coloro che hanno operato per ottenere il trasferimento gratuito dei relativi patrimoni – è stato affermato che si trattava di enti privati. Al riguardo si ricorda che nella relazione al progetto “Riforma della legge sulle istituzioni di beneficenza”, presentato il 1° dicembre 1887, il Ministro dell’interno Nicotera rileva quanto segue: «È costume di molti chiamare private le istituzioni di beneficenza perché fondate in origine da privati benefattori (…). Ma nulla di più erroneo. Le istituzioni di beneficenza provvedono a necessità pubbliche, disimpegnano a pubblici servizi (…). D’altra parte la legge – col riconoscere nelle istituzioni di beneficenza la personalità civile – ne assicura l’esistenza (…). Che ne sarebbe del patrimonio della beneficenza, se considerato come cosa privata si regolasse soltanto con i principi del Codice civile, come avviene per il patrimonio di privati cittadini? Abbandonato alla buona fede e alla irresponsabilità dei suoi amministratori, esso non reggerebbe all’urto dei secoli, alla ingordigia delle passioni». 

Rubare impunemente ai poveri
Per mettere ordine nel settore della beneficenza pubblica, un’apposita Commissione reale, istituita con regio decreto 3 giugno 1880, lavora per ben nove anni, individuando 21.819 Ipab ed i relativi patrimoni.Al fine di assicurare un continuo e preciso aggiornamento della situazione di detti enti, l’articolo 102 della legge 6972/1890 impone quanto segue: «Ogni anno il Ministro dell’interno deve presentare al Senato e alla Camera dei Deputati una relazione intorno ai provvedimenti di concentrazione, raggruppamento e trasformazione delle Ipab e di revisione dei relativi statuti e regolamenti emanati nell’anno precedente. Deve pure presentare un elenco delle amministrazioni disciolte, coll’indicazione dei motivi che avranno determinato lo scioglimento».Non essendo state presentate le suddette relazioni, né avviate dalle forze politiche e sindacali iniziative per il rispetto dell’articolo 102 sopra riportato, né effettuate ricerche approfondite, non è mai stato possibile dopo l’entrata in vigore della citata legge 6972/1890 accertare il numero effettivo delle Ipab funzionanti, né la destinazione dei patrimoni di quelle disciolte.Dalle 21.819 Ipab individuate dalla Commissione reale nel 1888, il loro numero scende si riduce a circa 9.000 come sostiene il Ministero dell’interno nel 1970.Il loro numero diminuisce ancora e, secondo il rapporto trasmesso il 30 agosto 1999 al Parlamento dal Ministro per la solidarietà sociale, sono solo più 4.200 circa.A chi sono stati assegnati i patrimoni delle Ipab “sparite nel nulla”, mai si saprà. 

Attività svolte dalle Ipab
Dai dati dell’Istat relativi al 1976, le Ipab gestiscono istituti di ricovero per bambini, fanciulli, soggetti con handicap e anziani.Su 4.842 strutture residenziali ben 1.710 sono gestite da Ipab (35%); i ricoverati sono rispettivamente 280.425 e 114.782 (41%).Le altre attività concernono soprattutto le scuole materne e le mense per i poveri.Secondo una indagine della Caritas italiana, i cui risultati sono pubblicati nel volume “Chiesa ed emarginazione in Italia”, Edizioni Dehoniane, Bologna 1979, tra le istituzioni assistenziali operanti sotto qualsiasi forma nella sfera di responsabilità della Chiesa, le Ipab rappresentano solamente il 12% del totale.

I consistenti patrimoni delle Ipab
Non solo non si hanno dati attendibili sul numero delle Ipab funzionanti e di quelle “sparite nel nulla”, ma anche in merito alla loro consistenza patrimoniale.Nella seduta della Camera dei Deputati del 17 febbraio 1982, l’On. Marisa Galli valuta il loro valore in 30-45mila miliardi delle ex lire il patrimonio complessivo delle Ipab in quel tempo funzionanti.Sul numero 6, dicembre 1996 della rivista IPaboggi, i beni delle Ipab sono stimati in 50mila miliardi delle ex lire.l’On. Elsa Signorino, relatrice delle proposte confluite nella legge 328/2000, nella seduta della Commissione Affari sociali della Camera dei Deputati, tenutasi il 20 giugno 1999, rileva che le 4.200 Ipab allora esistenti detenevano un patrimonio di circa 37mila miliardi delle ex lire e che «l’offerta dei posti residenziali per anziani ammonta ad un terzo di quella complessiva del Paese: gli anziani assistiti sono, infatti, 67mila, mentre gli addetti, di varia professionalità, sono circa 60mila. Il 44% delle entrate derivano dalla corresponsione delle tariffe per i servizi erogati e sono, quindi, di natura pubblica».Per quanto concerne i patrimoni delle Ipab, Maria Grazia Breda, Donata Micucci e Francesco Santanera, autori del volume La riforma dell’assistenza e dei servizi sociali - Analisi della legge 328/2000 e proposte attuative, Utet Libreria, 2001, sostengono che la suddetta legge «sottrae all’esclusiva destinazione a favore dei poveri ben 107-140mila miliardi delle ex lire». Infatti le proprietà delle 4.200 Ipab «ancora funzionanti sono state valutate in 37-50mila miliardi; 40-50mila miliardi è la stima dei beni delle Ipab estinte, trasferite ai Comuni e ad altre istituzioni pubbliche, infine ammontano a 30-40mila miliardi i patrimoni (alloggi, negozi, terreni, ecc.) assegnati a titolo gratuito ad associazioni private a seguito della sconcertante sentenza della Corte costituzionale n. 386 del 1988».  

Regalate ai privati le Ipab educativo-religiose
A seguito di un accordo fra tutti i principali partiti, il decreto del Presidente della Repubblica 616/1977 esclude dal trasferimento ai Comuni le Ipab che «svolgono in modo precipuo attività inerenti la sfera educativo-religiosa». Ne consegue che migliaia di Ipab sono diventate enti privati ai quali sono stati assegnati a titolo assolutamente gratuito, i relativi patrimoni immobiliari e mobiliari. 

Prima devastante sentenza della Corte costituzionale
Con la sentenza n. 173 del 1981 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 616/1977.Detto articolo 25 disponeva che tutte le funzioni amministrative relative all’organizzazione ed erogazione dei servizi di assistenza fossero attribuite ai Comuni singoli e associati. Di conseguenza sono state annullate le disposizioni che prevedevano il trasferimento ai Comuni delle Ipab infraregionali e dei relativi beni.Pertanto, anche per il fatto che il legislatore non è intervenuto per modificare la normativa in modo da rendere attuabile detto trasferimento, il Parlamento e il Governo hanno creato le condizioni per la loro privatizzazione e cioè la consegna ai privati dei beni mobili e immobili a titolo gratuito non solo di Ipab che operavano nell’ambito della «sfera educativo-religiosa» (v. sopra), ma anche di quelle con sfera d’azione infraregionale.   

Seconda distruttiva sentenza della Corte costituzionale
La sentenza della Corte costituzionale n. 396 del 1988, che si fonda su due presupposti inveritieri (la legge 6972 del 1980 avrebbe imposto «un sistema di pubblicizzazione generalizzato» e avrebbe determinato «l’esclusione dalla possibilità che, nell’area dell’assistenza e beneficenza, esistano fondazioni ed associazioni dotate di personalità giuridica privata») ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1 della sopra citata legge 6972/1980 «nella parte in cui non prevede che le Ipab regionali e infraregionali possano continuare a sussistere assumendo la personalità giuridica di diritto privato, qualora abbiano tuttora i requisiti di una istituzione privata».Con questa sentenza sono state spalancate le porte alla privatizzazione di moltissime Ipab, iniziativa che, a nostro avviso, è avvenuta spesso in netto contrasto, come vedremo in seguito, con le vitali esigenze della fascia più debole della colazione. 

Non si deve rubare ai poveri
In occasione del dibattito tenutosi a Torino il 12 dicembre 1989 sul tema “Principi etici e giuridici in merito al disegno di legge n. 512 della Giunta della Regione Piemonte per la privatizzazione delle Ipab”, organizzato dal Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base e la rivista Prospettive assistenziali, Mons. Giovanni Nervo, già Coordinatore della Conferenza episcopale italiana per i rapporti Chiesa-territorio e Presidente della Fondazione Zancan, ha dichiarato (cfr. Prospettive assistenziali, n. 90, 1990) quanto segue:«1. Il primo principio etico, equivale per i credenti ad un Comandamento di Dio: non rubare. I patrimoni delle Ipab sono stati donati da privati cittadini per i poveri. Prima che fossero donati erano di proprietà dei privati, dopo che sono stati donati sono diventati proprietà dei poveri. Questo principio rimane, qualunque siano state le vicissitudini storiche e giuridiche.«Ripeto qui quello che ho avuto modo di scrivere su Italia Caritas Documentazione del novembre 1988 e che Santanera ha fedelmente riportato in una sua nota sul problema che dibattiamo oggi: “Come Caritas e come Chiesa mi sembra che dovremmo essere vigilanti e decisi su un punto: sia che i patrimoni delle Ipab passino ai Comuni, sia che passino ai privati, è doveroso e necessario che venga rispettata la volontà dei donatori e che i patrimoni rimangano destinati ai poveri. La cosa non è scontata e finora non c'è nessuna garanzia. Non sarebbe accettabile che il Comune nell'edificio della Ipab facesse il museo, o il centro culturale, o il centro sportivo. Sarebbe ancora meno accettabile che il Consiglio di amministrazione di una Ipab privatizzata ne ricavasse un albergo, o vendesse il patrimonio per investirlo in speculazione edilizia, per altri scopi e per interessi diversi da quelli fissati dal donatore”.«Certo le finalità devono essere aggiornate e adeguate ai bisogni attuali, ma non disattese e stravolte. La Chiesa su questo punto ha una precisa responsabilità morale perché questi patrimoni sono stati messi a disposizione dai donatori nelle sue mani per i poveri». Mons. Nervo ha quindi posto alcune domande:«Il primo quesito riguarda le Ipab che hanno cessato la loro attività e perciò sono state sciolte dalle Regioni. I loro patrimoni dove sono finiti? Non sarebbe giusto e doveroso che rimanessero nel capitolo dell'assistenza? Lo garantisce questo la legge? Oppure è possibile ottenerlo? Un esperto mi diceva che questo deve essere contenuto nel decreto di scioglimento. Se è così perché a Roma ad esempio un enorme edificio, nel centro, che era sorto per i ragazzi devianti, il S. Michele – avrà il valore di molte decine di miliardi – è stato trasformato in sede di riunioni, di mostre, di convegni: è rimasto un servizio pubblico, ma non dei poveri per i quali era stato donato.«Mi sembra che la Regione Piemonte abbia sciolto una quarantina di Ipab: che fine hanno fatto i patrimoni?
Per le Ipab che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale potranno venir riprivatizzate, ad esempio con questa legge regionale, quali vincoli e quali garanzie giuridiche ci sono, ed eventualmente quali vincoli e quali garanzie dovrebbe porre il legislatore regionale perché comunque i patrimoni vengano destinati con i dovuti aggiornamenti a servizi di assistenza per i poveri?«2. Un secondo principio etico: se i patrimoni delle Ipab sono beni di privati destinati a servizi di assistenza per i poveri, il dovere primario di chi detiene questi patrimoni e di chi è responsabile del bene comune è di assicurare che con quei patrimoni siano prestati dei buoni servizi per i poveri.«Su questo punto ho osservato una preoccupante distorsione che a mio avviso è etica, ancor prima che politica e organizzativa.«Io ho seguito da vicino il dibattito e le trattative fra le diverse e contrastanti forze politiche per sciogliere il nodo delle Ipab e giungere alla approvazione della legge quadro sull'assistenza e ho avuto l'impressione che dei poveri e del buon funzionamento dei servizi per i poveri non interessasse proprio nulla a nessuno.«Quello che interessava erano i patrimoni, a chi andava la proprietà dei patrimoni, se ritornava ai privati o se andava ai Comuni per i riflessi che l'una o l'altra soluzione aveva sugli elettori e quindi sul consenso dei voti. In uno scambio confidenziale una personalità di sinistra diceva: “Non riusciamo a dare nulla ai Comuni per l'assistenza, almeno dobbiamo dare le Ipab se no i nostri Comuni si ribellano”.«Un'altra personalità della DC diceva: “Non possiamo perdere le scuole materne. I nostri elettori ci direbbero che li abbiamo traditi”.«In fondo se io fossi povero e fossi destinatario dei patrimoni di una Ipab, a me interesserebbe poco che giuridicamente siano intestati a un ente privato che ha personalità giuridica o al Comune: a me interesserebbe che non mi rubino i patrimoni e che mi facciano un buon servizio. Penserei altrettanto se fossi il donatore.«Perciò il vero problema etico non è l'intestazione dei patrimoni, ma il controllo dei servizi: questo è il problema vero, questo è il dovere morale, civico, credo anche giuridico.«E non è detto che i servizi siano fatti per il bene perché li gestisce il Comune, o perché li gestisce una istituzione privata. Ci sono buoni servizi fatti dai Comuni e buoni servizi fatti da istituzioni private; come ci sono pessimi servizi fatti dai Comuni e pessimi servizi fatti da istituzioni private. Sicché il vero problema morale è il controllo: ma non mi sembra siano molti a pensarci.«3. Una terza considerazione. Mi sembra che questo modo di impostare il problema, contrapponendo il pubblico e il privato, rifletta una cultura inadeguata ad affrontare i problemi della povertà e della emarginazione così come si presentano oggi. Qui affiora un altro principio etico, quello della solidarietà, su cui del resto è basata la nostra Costituzione che all'articolo 2 dice che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo... e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”». 

Un esempio molto significativo di Ipab privatizzate
Come risulta dalla delibera assunta il 19 ottobre 1992 dalla Giunta della Regione Piemonte, l’Opera Pia Barolo di Torino, a seguito di una semplice istanza presentata dal Consiglio di amministrazione dello stesso ente, ha ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica privata.Prima del citato provvedimento della Regione Piemonte, il Consiglio di amministrazione svolgeva funzioni pubbliche e le sua attività socio-assistenziale e la gestione dell’enorme patrimonio (v. più avanti) erano sottoposti ai numerosi vincoli giuridico-amministrativi stabiliti dalla legge 6972/1980 allo scopo di garantire l’osservanza delle disposizioni volte alla tutela dei soggetti deboli. Dopo l’approvazione della delibera regionale, il patrimonio diventa di natura privata senza l’esborso di alcuna somma e lo stesso Consiglio di amministrazione assume compiti di natura esclusivamente privata.
Le norme vigenti sono tali per cui al settore pubblico non è consentito esercitare controlli veri e propri circa l’effettiva destinazione delle attività e dei beni mobiliari e immobiliari alle persone e ai nuclei familiari in condizioni di disagio socio-economico.Come risulta dalla pubblicazione della Regione Piemonte, Assessorato all’assistenza “Le Ipab in Piemonte”, 1980, e dal volume di Piercarlo e Renato Grimaldi, Il potere della beneficenza – Il patrimonio delle ex opere pie, Franco Angeli Editore, 1983, al momento della privatizzazione i beni immobili e mobili dell’Opera Pia Barolo risultano essere i seguenti:1) 119 particelle accatastate per un totale di 3 milioni 57mila 740 metri quadrati di terreni localizzati in quattro Comuni del Piemonte: Venaria Reale mq. 759.419, Leinì 684.079, Borgaro Torinese 284.490, Saluzzo 1.329.752;2) Fabbricati siti ina) Torino, Piazza Savoia 6, Via Corte d’Appello 20/22 e Via delle Orfane 7, comprendente la sede della stessa Opera Pia, l’Istituto famiglie operaie, 13 negozi e 31 alloggi;b) Torino, Via Cottolengo 22, 24 e 24 bis, dove hanno sede l’Istituto delle Maddalene e il Pensionato S. Giuseppe;c) Torino, Via Consolata 18 e 20 (Istituto Sant’Anna);d) Torino, Via Santa Giulia 7;e) Venaria Reale (Torino), Via Scesa 9, 11, 13, 15 e 17 (vani complessivi 250) e Via Amati 118/1-2-3-4-5-6 e 7 (totale vani 284);f) Ceres (Torino), Via Ala, Case operaie vani 15 e Pensionato S. Giuseppe vani 10;g) Mondrone (Torino) vani 10;h) Moncalieri (Torino), Istituto Sant’Anna;3) distributore benzina, magazzino e terreno, Torino Via Cigna;4) titoli per un valore nominale di 26 milioni, 483mila 784 lire.Per quanto riguarda le attività svolte dall’Opera Pia Barolo, da dati del censimento della Regione Piemonte risultava che quella statutaria era indicata in «Istituto educativo assistenziale - Istituto per adulti», mentre quella effettiva era di «Istituto per minori normali, comunità alloggio, istituto per anziani autosufficienti, pensionato per lavoratori e studenti».Per quanto riguarda il personale risultava che quello «direttamente dipendente» era costituito da «5 laici con funzioni amministrative».Nonostante detti accertamenti evidenziassero che l’istituto non svolgeva attività educativo-religiosa, il riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato veniva deliberato dalla Giunta della Regione Piemonte il 19 ottobre 1992 proprio sulla base delle norme concernenti le Ipab con funzioni operative di natura educativo-religiosa.

Indispensabile una ricerca sulla destinazione dei beni ex Ipab
Se si vogliono realmente difendere le esigenze della fascia più debole della popolazione (ognuno di noi può cadere in una situazione di totale incapacità a seguito di malattie invalidanti), è necessario e urgente che il Governo o il Parlamento o le Regioni conducano una indagine conoscitiva sulla destinazione dei beni delle Ipab privatizzate. È sperabile che l’attuale classe politica sia coraggiosa come quella che, come abbiamo già segnalato, con regio decreto 3 giugno 1880 aveva disposto l’istituzione di una commissione di inchiesta sulle opere pie. Detta Commissione, durante i lavori durati ben nove anni, aveva accertato che «gran numero di opere pie, con dispregio della legge, mancano di statuto, di regolamento, di inventario», che «la materia dei bilanci preventivi e dei conti consuntivi [è] (…) quella in cui le irregolarità, le inosservanze della legge e del regolamento si rilevano più che in qualsiasi altra con uno straordinario carattere di gravità», che «in alcuni centri, e non dei meno importanti, intorno alle opere pie si costituiscono delle clientele, non sempre ispirate al desiderio del pubblico bene», che ben 2.169 istituzioni su 8.127 rispondono con il silenzio alle richieste della Commissione reale sulle modalità degli appalti, che non è infrequente il caso di persone che stipulano contratti con le opere pie da essi stessi amministrate, che «si ha indizio di moltissime beneficenze (…) che sono usurpate da chi le dovrebbe adempiere», che c’è «la necessità di riformare la legge vigente sulle opere pie rafforzando la vigilanza dello Stato». Non crediamo che oggi la situazione sia migliorata rispetto al 1888. Dunque l’indagine è quanto mai opportuna anche allo scopo di accertare se e come le Ipab privatizzate rispettano la volontà di coloro che hanno devoluto i loro patrimoni a favore dei soggetti deboli.

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