Notiziario della Fondazione promozione sociale (n. 4)

(tratto da Prospettive Assistenziali, 150/2005)

RIFLESSIONI SUGLI INCONTRI REALIZZATI SUL TEMA DELL’ORIENTAMENTO SCOLASTICO DEGLI ALLIEVI CON HANDICAP INTELLETTIVO

Premessa

Come anticipato nel numero 148 di Prospettive assistenziali[1], la Fondazione promozione sociale ha partecipato agli incontri promossi dall’Utim (Unione per la tutela degli insufficienti mentali) organizzati a Torino e in altri Comuni della provincia nei mesi compresi tra novembre 2004 e gennaio 2005[2]. Nel corso di tali appuntamenti è stato affrontato il tema dell’orientamento degli allievi con handicap intellettivo che nasceva da due esigenze:

-          richiamare l’attenzione degli insegnanti della scuola dell’obbligo sull’importanza di considerare attentamente le potenzialità effettive dell’allievo in situazione di handicap intellettivo al fine di suggerire percorsi idonei alle sue capacità per l’assolvimento dell’obbligo formativo[3];

-          raggiungere le famiglie di questi allievi per fornire loro le informazioni utili relative ai diritti esigibili e/o ai percorsi praticabili per poterli ottenere, mettendo a loro disposizione l’opuscolo informativo predisposto per tale scopo[4] e due libri di racconto-testimonianza di integrazioni sociali raggiunte[5].

 

Metodologia adottata per la realizzazione del ciclo di incontri

Possiamo senz’altro affermare che è stato premiato il lavoro di preparazione degli incontri, consistito principalmente in contatti con le associazioni di volontariato e di tutela dell’handicap del territorio e i referenti dei servizi coinvolti nel progetto. Sono stati rispolverati indirizzi e recapiti di operatori, insegnanti, volontari di associazioni conosciuti in precedenti appuntamenti e, insieme a loro, si è impostato un cammino di riflessione. Era importante non calare dall’alto le nostre proposte ma, a partire dalle esigenze della realtà locale, individuare le azioni praticabili per soddisfare al meglio le richieste degli allievi con handicap intellettivo.

Questo modo di procedere ha altresì favorito il passaparola tra operatori e famiglie e, conseguentemente, la partecipazione agli incontri è stata buona sia in termini di presenze (in media dalle 60 alle 70 persone per ogni incontro realizzato), sia per quanto concerne la rappresentatività dei soggetti intervenuti: insegnanti della scuola dell’obbligo, della scuola superiore e della formazione professionale, dei corsi prelavorativi; personale dei centri provinciali per l’impiego; operatori dei servizi socio-assistenziali e delle Asl; genitori e rappresentanti di associazioni di volontariato. In alcune zone il confronto è stato allargato anche alle istituzioni e abbiamo così avuto la possibilità di interloquire anche con gli assessori competenti.

La scelta di privilegiare la realizzazione degli incontri all’interno delle scuole o, comunque, di coinvolgere come referente privilegiato una scuola del territorio, si è rivelata una decisione positiva.

In questo modo abbiamo ottenuto la partecipazione degli insegnanti preposti all’orientamento non solo dell’istituto prescelto, ma anche delle altre strutture scolastiche presenti nella realtà interessata, già in contatto con la scuola ospitante per quel che riguardava gli allievi normodotati.

Positivo è stato anche il coinvolgimento degli altri settori (centri provinciali per l’impiego e servizi assistenziali, sanitari, per l’inserimento lavorativo), che hanno potuto conoscere il ventaglio di opportunità esistenti nel territorio per i giovani allievi con handicap intellettivo che hanno terminato l’obbligo scolastico.

 

Che cosa abbiamo proposto

Abbiamo deciso di affrontare gli stessi temi ma in zone diverse per favorire la partecipazione. Le relazioni presentate ad ogni appuntamento[6] si proponevano di:

a) sottolineare l’importanza di un corretto orientamento e gli errori da evitare alla luce dell’esperienza fin qui maturata;

b) presentare le offerte formative della Regione Piemonte per i soggetti con handicap intellettivo che consistono in:

-      corsi di formazione professionale aperti anche a persone con lievissimo handicap intellettivo;

-      corsi prelavorativi riservati a persone con handicap intellettivo medio o medio-grave;

-     corsi di formazione al lavoro (corsi Fal) per persone con handicap intellettivo ultradiciottenni;

c) indicare i servizi assistenziali a cui ha diritto chi è dichiarato “non occupabile” dai centri provinciali per l’impiego e cioè:

-      interventi di prevenzione del ricovero in strutture residenziali attuabili mediante il riconoscimento del volontariato intrafamiliare, il pronto intervento, il servizio di tregua, gli aiuti economici e/o domiciliari, gli affidamenti educativi, la frequenza dei centri diurni assistenziali;

-      risposte residenziali di tipo familiare, quali le comunità alloggio, in alternativa al ricovero in istituto per chi non può continuare a restare in famiglia.

 

Che cosa è emerso

Sin dai primi contatti telefonici abbiamo riscontrato un ampio interesse e un fattivo coinvolgimento, perché quasi sempre si era in presenza di un “fai da te”, basato sulle proprie convinzioni e sui propri saperi, qualche volta anche su una personale “autoreferenzialità” del servizio o della scuola, con evidenti scollamenti tra i servizi dello stesso territorio, la mancata conoscenza delle risorse esistenti e, purtroppo, sovente l’incapacità ad andare oltre le proprie competenze (in genere limitate) aprendosi alla realtà del territorio in cui si opera, alla ricerca delle risposte più idonee a soddisfare al meglio le esigenze dei soggetti con handicap intellettivo. Inoltre, ci siamo resi conto che prosegue la mancanza di programmazione dei servizi assistenziali per i soggetti con handicap in situazione di gravità, sia per quanto riguarda i centri diurni assistenziali sia per le comunità alloggio.

Pressoché dappertutto è emerso che le famiglie quasi mai richiedono i servizi suddetti per iscritto, ma anche che i servizi assistenziali non registrano le domande e non segnalano il fabbisogno che emerge agli amministratori: in questo modo non possono avere una fotografia della realtà e investire le risorse necessarie.

 Riportiamo alcune situazioni emerse nel corso degli incontri a titolo di esempio:

 a) educatori che passano dal centro diurno assistenziale al servizio inserimento lavorativo senza prima acquisire la formazione necessaria ad esercitare la nuova competenza

L’educatore di un centro diurno assistenziale racconta di essersi trasferito da qualche tempo al servizio per l’inserimento lavorativo. Peccato che questo trasferimento non abbia implicato anche un suo aggiornamento sulle norme che regolano il settore lavoro. Scopriamo che non sa assolutamente nulla della formazione professionale e dei corsi prelavorativi esistenti sul territorio in cui opera che, com’è noto, sono rivolti ai giovani con handicap intellettivo che hanno potenzialità lavorative. Succede, quindi, che  ai soggetti con queste caratteristiche, che si presentano al centro provinciale per l’impiego, l’educatore continui a proporre “tirocini socializzanti assistenziali”, gli unici che conosce per la sua precedente esperienza professionale. Grazie all’incontro, viene a sapere che dovrebbe invece  indirizzarli al corso prelavorativo del centro di formazione professionale, che è  in grado di offrire una reale preparazione al lavoro;

b) scuola superiore di Stato e formazione professionale regionale: due mondi sovente separati

In un altro caso gli insegnanti della scuola superiore statale  lamentano di avere bussato alla formazione professionale per chiedere l’opportunità di organizzare attività nei loro laboratori e di non avere avuto risposte positive. Approfondiamo con i responsabili del centro di formazione professionale regionale presenti all’incontro e si scopre che la scuola di Stato non conosce le delibere regionali e le procedure da attivare per usufruire delle attività di integrazione scuola-formazione professionale;

 c) scarsa pubblicità dei corsi prelavorativi

Un centro di formazione professionale, che organizza i corsi prelavorativi per i giovani con handicap intellettivo, negli ultimi due anni ci segnala che non ha più iniziato nuovi corsi, perché – dichiara l’insegnante presente – non sono riusciti ad ottenere iscrizioni sufficienti di allievi. D’altro lato, gli insegnanti della scuola media e della scuola superiore precisano stupefatti di non avere mai saputo dell’esistenza di questo corso prelavorativo nella loro zona e di aver suggerito alle famiglie l’iscrizione negli istituti professionali statali o addirittura nelle scuole superiori, non perché fossero idonei alle esigenze dei loro figli, ma perché erano le uniche risorse sul territorio da loro conosciute che avevano dato la disponibilità all’inserimento di persone con handicap, di qualunque tipologia. A fronte di quanto emerso nel corso dell’incontro, si erano resi conto che non era certo stata la soluzione più appropriata. Si viene poi a sapere che l’insegnante dei corsi prelavorativi presente in sala è intervenuto in rappresentanza di se stesso e per un suo personale interesse al problema, in quanto il responsabile dell’orientamento del suo centro (assente invece all’incontro) gli aveva proibito di intervenire;

 d) servizi assistenziali che non registrano le richieste delle famiglie con soggetti in situazione di gravità

Succede che i responsabili dei servizi assistenziali di una località in provincia di Torino elenchino le loro numerose (sembra) attività previste per i soggetti con handicap intellettivo in situazione di gravità e neghino la presenza di liste d’attesa o l’erogazione di servizi ridotti. Da alcune famiglie presenti emerge, al contrario, che nonostante siano anni che richiedono un centro diurno a tempo pieno per i loro figli handicappati intellettivi in situazione di gravità, essi beneficiano solo di qualche ora di attività al giorno. Peccato che non possano dimostrarlo perché non hanno mai avanzato richieste scritte, né tantomeno i servizi assistenziali si sono preoccupati di registrare le loro istanze;

 e) unità di valutazione dell’handicap (Uvh) che non certificano il bisogno effettivo dell’utente

La presidente di una commissione di valutazione dell’handicap (Uvh) conferma che i loro accertamenti non tengono conto del bisogno espresso dall’interessato e dalla sua famiglia, per cui i servizi sono erogati limitatamente  alle risorse a disposizione; ammette che, in effetti, il loro ruolo dovrebbe essere quello di fotografare la realtà e indicare i servizi necessari, altrimenti difficilmente gli enti locali e le Asl si attiveranno per attuare e potenziare ciò che oggi manca o è insufficiente;

 f) centri per l’impiego non collegati con la scuola superiore

Una scuola superiore del territorio, grazie ad una preside illuminata e volenterosa, ha organizzato al suo interno attività pratiche e tirocini esterni per i giovani con handicap intellettivo finalizzati a scoprire quali sono le loro effettive capacità lavorative. Si lamenta perché non ha nessun aiuto al centro provinciale per l’impiego. A suo avviso,  sarebbe utile, invece, che nella fase finale del percorso scolastico le attività di tirocinio degli allievi con handicap intellettivo venissero promosse direttamente dal servizio di inserimento lavorativo del centro provinciale per l’impiego e  realizzati per quanto possibile in aziende soggette agli obblighi della legge 68/1999 per favorire il loro inserimento definitivo in azienda;

 g) quasi sconosciuto il servizio provinciale di orientamento

Quasi nessuno è al corrente dei compiti dell’ufficio per l’orientamento, istituito presso la Provincia di Torino, con operatori distaccati in ogni centro per l’impiego, che ha lo scopo di andare nelle scuole dell’obbligo e nelle classi del primo biennio delle superiori per informare gli insegnanti e gli allievi di tutte le opportunità formative e/o assistenziali esistenti, affinché possano suggerire alle famiglie  percorsi idonei per i loro figli, basati sulle loro effettive potenzialità e autonomie.

 

Riflessioni conclusive

La nostra presenza è stata ritenuta utile per aver saputo collegare i diversi aspetti del problema e, soprattutto, per aver offerto quel supporto normativo indispensabile per ottenere diritti esigibili per i soggetti con handicap intellettivo, di cui ciascuno conosceva solo le parti riguardanti le proprie competenze. Tuttavia dagli incontri è emerso un quadro non proprio positivo.

 Scarsa collaborazione tra scuola e servizi sociali provinciali per l’orientamento

Infatti, come abbiamo visto, sono assai scarse le conoscenze  sulle offerte formative e, soprattutto, sulla rete dei servizi assistenziali (per chi è in situazione di gravità e non è avviabile al lavoro). Scarsissimo è il collegamento con i servizi di orientamento dei centri provinciali per l’impiego, anche se, in base al regolamento attuativo della legge sull’obbligo formativo[7], le scuole sono obbligate a segnalare ai suddetti centri già i percorsi scelti da ogni allievo dopo la scuola dell’obbligo[8]. Manca anche la consapevolezza, da parte degli insegnanti della scuola dell’obbligo della possibilità di utilizzare il personale dei centri provinciali per l’impiego, preposti all’orientamento, che hanno il compito di affiancare gli insegnanti in modo da assicurare, anche nei riguardi dei soggetti con handicap intellettivo, una corretta informazione alle famiglie sulle offerte formative regionali e sulle integrazioni possibili con le scuole superiori presenti nel territorio. Al riguardo, si ricorda che compete alle Province programmare in Piemonte le attività formative e finanziarle sulla base delle richieste pervenute.

 Non valorizzati appieno i corsi prelavorativi

Questo aspetto è importante – e ci preoccupa – perché è emerso, ad esempio, che pochi insegnanti conoscono l’esperienza positiva dei corsi prelavorativi per allievi con handicap intellettivo medio-grave[9], organizzati nell’ambito delle attività regionali di formazione professionale. Di conseguenza non consigliano l’iscrizione a questi corsi. Il rischio a cui si va incontro è che, a fronte di una programmazione da parte dei centri di formazione professionale e di finanziamenti da parte della Regione dei corsi stessi, questi non si realizzino perché non vi è un numero sufficiente di iscrizioni.

Costruire per tempo il passaggio dalla scuola alla formazione professionale o prelavorativa

L’assolvimento dell’obbligo formativo attraverso i corsi prelavorativi oppure la loro frequenza al termine del biennio della scuola superiore sono due soluzioni da considerare attentamente perché facilitano, attraverso i tirocini in azienda, la ricerca del posto di lavoro. Nella Regione Piemonte sono previsti anche corsi brevi di formazione al lavoro (Fal) per i giovani inoccupati dai 18 ai 25 anni. Anche in questo caso, se il giovane ha frequentato prima un corso prelavorativo, può accedere più facilmente ad un corso di formazione al lavoro (Fal), per il fatto che ha acquisito alcune abilità lavorative che il corso si propone di migliorare per raggiungere l’obiettivo lavoro.

A rischio esclusione sociale chi non è stato correttamente orientato ai percorsi formativi

Molto più problematico è l’inserimento lavorativo se si attende la fine della scuola superiore, senza attivare nel contempo percorsi prelavorativi, puntando soltanto sulla socializzazione e trascurando nei fatti l’apprendimento di abilità utili da spendere nel mercato del lavoro. Se l’allievo giunge al termine dell’obbligo formativo senza che sia stato già predisposto dagli insegnanti il passaggio alla formazione professionale o ai corsi prelavorativi, vi è il serio rischio di esclusione sociale. Sono molti, purtroppo, i giovani che arrivano alle nostre associazioni a 25-30 anni e che al massimo si sono visti offrire dal settore assistenziale qualche ora di tirocinio socializzante, perché non sono stati correttamente orientati dalla scuola. A quel punto, non è più possibile inserirli in corsi prelavorativi. È vero che un percorso di tirocini formativi in azienda si può attivare con l’articolo 11 della legge 68/1999, se il giovane è preso in carico dai servizi per l’inserimento lavorativo del centro provinciale per l’impiego, ma è altrettanto noto che, a fronte delle aziende scoperte e con mansioni idonee per questi giovani, vi sono liste d’attesa di centinaia di soggetti e, quindi, la maggior parte resta esclusa da tale possibilità.

Non va meglio neppure con l’inserimento nelle cooperative sociali. Anche qui i posti disponibili per chi ha un handicap intellettivo sono sempre meno e, in ogni caso, le cooperative non possono diventare l’unico posto di lavoro disponibile per queste persone.

Un fatto è certo: se il giovane con handicap intellettivo medio-lieve riesce a proseguire passando dalla scuola al corso prelavorativo senza interruzioni, avrà maggiori possibilità di essere inserito nelle aziende scoperte attraverso i servizi di inserimento lavorativo. Questo soggetto è certamente preferito dalle aziende rispetto ad un giovane uscito dal circuito formativo da alcuni anni. Quest’ultimo incontrerà difficoltà notevoli ad inserirsi, semmai ci riuscirà, nel mondo del lavoro.

La scelta del centro diurno assistenziale per chi è in situazione di gravità

Anche per chi è in situazione di gravità è necessario che la scuola cominci ad affrontare insieme alle famiglie il futuro del loro figlio. Spesso ci siamo trovati di fronte a genitori che non volevano inserire i propri ragazzi nei centri diurni assistenziali, ritenuti dei ghetti perché rivolti solo a soggetti handicappati intellettivi in situazione di gravità.

Nel corso degli incontri abbiamo cercato di spiegare che questi centri sono organizzati con attività diversificate. Anche nei riguardi dei centri diurni i genitori devono impegnarsi in prima persona per promuoverne il buon funzionamento: è dimostrato che laddove le famiglie sono attive, anche con il supporto delle nostre associazioni, la qualità dell’assistenza in questi centri è buona.

In ogni caso, a distanza di vent’anni e più dalle prime esperienze realizzate con i fondi della Comunità europea, si può senz’altro affermare che il centro diurno assistenziale è stato ed è una valida alternativa al ricovero delle persone handicappate in situazione di gravità. Non si può trascurare questo aspetto perché, pur con tutti i limiti, resta il fatto indiscutibile che i genitori trovano un valido sollievo e, dunque, riescono a mantenere presso di sé il figlio con handicap grave anche quando invecchiano. Tuttavia il centro diurno non è un servizio sempre presente nel territorio, o non lo è – come abbiamo visto – in misura adeguata alle esigenze delle famiglie.

È importante che l’insegnante accompagni la famiglia ai servizi socio-assistenziali. Abbiamo quindi insistito molto per far comprendere agli insegnanti quanto sia importante il loro ruolo nell’accompagnare la famiglia ai servizi assistenziali, affinché sia presentata per tempo, e per iscritto, la domanda rivolta ad ottenere questo servizio.

Il giovane potrà frequentare per qualche tempo ancora la scuola superiore, ma va predisposto il “dopo”, che non può essere improvvisato. Il rischio, altrimenti, è che, una volta terminato l’obbligo formativo, la famiglia si ritrovi con il figlio handicappato in situazione di gravità, a 18 anni, chiuso in casa tutto il giorno.

Non si deve trascurare il fatto che, nel caso in cui la situazione familiare sia anche problematica (ad esempio un solo genitore oppure la presenza di congiunti malati), questo fatto può rendere impossibile la convivenza e provocare la richiesta anticipata del ricovero del giovane.

 Preparare per tempo il “dopo di noi” in comunità alloggio di tipo familiare

Su questo punto ci siamo soffermati a lungo perché il “dopo di noi” può consistere ancora oggi nel ricovero in un istituto vecchia maniera, con concentrazioni di utenti anche con tipologie incompatibili. Oppure, sempre più spesso, accade che si aprano comunità alloggio con otto-dieci posti, ma escludendo la possibilità per gli ospiti di frequentare attività esterne: si ripropone dunque una vita di emarginazione sotto certi aspetti analoga a quella degli istituti tradizionali.

Negli incontri molto tempo è stato dedicato a sottolineare le caratteristiche imprescindibili che deve avere la comunità alloggio per essere ritenuta tale. In quanto naturale proseguimento della vita vissuta in famiglia, deve essere realizzata in normali appartamenti o in piccole unità familiari, in ogni caso non isolate, ma inserite nel vivo del contesto sociale in cui hanno sede. Rappresenta la casa dove si “torna” dopo le attività svolte all’esterno e non può diventare, né essere, l’unico luogo in cui la persona handicappata è costretta a passare il suo tempo.

Che cosa fare per ottenerle? Sono stati ricordati a questo proposito le leggi in vigore sin dal 1889[10], che impongono in capo ai Comuni obblighi ben precisi per quanto riguarda il ricovero.

Abbiamo cercato anche di spiegare la dura realtà in cui ci muoviamo. È certo, infatti, che quasi sempre le comunità alloggio vengono attuate dai Comuni solo quando le associazioni di tutela del territorio e le famiglie interessate organizzano vere e proprie azioni di pressione nei confronti degli enti locali e continuano, anche dopo aver ottenuto la comunità alloggio, a vigilare sul suo funzionamento[11]. 

Prospettive future

 Programmazione annuale dei corsi prelavorativi

Uno dei primi obiettivi è quello di ottenere dalla Provincia di Torino la programmazione di almeno un corso prelavorativo (con attivazione ogni anno del primo modulo) e un corso annuale di formazione al lavoro (Fal) per ogni centro provinciale per l’impiego. Tali corsi devono essere inseriti in maniera stabile e, dunque, avere le garanzie relative al finanziamento, in modo che le famiglie e gli insegnanti delle scuole dell’obbligo e superiori possano contare con sicurezza sulla loro presenza e promuovere i necessari momenti di integrazione e inserimento congiuntamente agli insegnanti della formazione professionale e dei moduli prelavorativi. Occorre, inoltre, premere sulla Regione Piemonte affinché la programmazione di cui sopra sia estesa a tutte le Province, in modo da assicurare il diritto alla formazione professionale e ai corsi prelavorativi su tutto il territorio regionale.

 

Assicurare il trasporto

È necessario, altresì, affrontare con la Regione e con le Province il problema dei trasporti e degli altri supporti da mettere a disposizione degli allievi con handicap intellettivo che, fino a quando non acquisiscono la necessaria e indispensabile autonomia per poter compiere il tragitto da soli, necessitano di sostegni per poter raggiungere il centro di formazione professionale.

 

Promuovere il servizio di orientamento nelle scuole medie e superiori

È opportuno chiedere alle Province di promuovere, attraverso i loro servizi di orientamento e con il coinvolgimento dei centri di formazione professionale che organizzano corsi prelavorativi, le iniziative informative per diffondere le conoscenze e mantenere viva l’attenzione sull’importanza di un adeguato orientamento professionale per gli allievi con handicap intellettivo.

Sostenere le richieste di centri diurni e comunità alloggio per chi è in situazione di gravità

Per quanto riguarda i soggetti con handicap intellettivo in situazione di gravità, deve continuare l’azione di stimolo nelle realtà in cui sono presenti associazioni che operano con il metodo del volontariato dei diritti e che hanno lo scopo di ottenere l’apertura di nuovi centri diurni o il potenziamento delle attività di quelli in funzione, nonché la realizzazione di piccole comunità alloggio di tipo familiare, per rispondere alle esigenze dei soggetti che non possono continuare a restare presso il proprio domicilio, ma anche perché i familiari possano beneficiare di momenti di sollievo e continuare ad occuparsi dei propri figli, benché con limitata o nulla autonomia.

Per quanto riguarda il territorio della Provincia di Torino, si è ricordato l’avvio dei  tavoli di confronto per predisporre i piani di zona previsti dalla legge 328/2000 e dalla successiva legge regionale 1/2004. Sono questi gli appuntamenti importanti in cui si fa emergere il bisogno assistenziale e puntare ad inserire tra le priorità da realizzare i centri diurni e le comunità alloggio.

Riconoscere il volontariato intrafamiliare

Un’altra sfida riguarda il riconoscimento del “volontariato intrafamiliare”. Lo citiamo per ultimo, ma negli incontri è stato affrontato tra i primi argomenti trattati[12].

È un punto su cui intendiamo concentrare il nostro impegno, perché è il presupposto per stabilire una volta per tutte che l’obbligo di assistere le persone handicappate in situazione di gravità è dell’ente pubblico e non della famiglia, come si cerca di far credere, per scaricare la collettività dalle sue responsabilità.



[1] Cfr. “Notiziario dell’Utim, Unione per la tutela degli insufficienti mentali”, Prospettive assistenziali, n. 148, 2004.

[2] Gli incontri hanno avuto per tema: “L’orientamento degli allievi con handicap intellettivo: dall’integrazione scolastica all’integrazione lavorativa e sociale”. Le relazioni previste hanno sviluppato i seguenti argomenti: “Dalla scuola al lavoro: esperienze concrete di assunzioni di giovani con handicap intellettivo ottenute attraverso percorsi mirati scuola, formazione e lavoro”; “Dalla scuola all’inserimento sociale. Opportunità e servizi previsti dalla normativa vigente per il mantenimento in famiglia (anche adottiva o affidataria) della persona con handicap intellettivo in situazione di gravità”.

Gli incontri si sono svolti a: Ciriè (To) 8 e 15 ottobre 2004, Torino città 6, 12, 20 novembre e 2 dicembre 2004, Giaveno (To) 11 dicembre 2004, Pinerolo (To) 13 gennaio 2005, Settimo (To) 22 gennaio 2005.

[3] Sul tema si veda anche Maria Grazia Breda, “L’orientamento degli allievi con handicap intellettivo: dall’integrazione scolastica all’inserimento lavorativo e sociale”, Prospettive assistenziali, n. 142, 2003.

[4] Si tratta dell’opuscolo “Handicap intellettivo: i diritti esigibili, i diritti da conquistare. Breve guida di orientamento per genitori, insegnanti, operatori, volontari”, stampato dall’Utim con il contributo del Centro servizi del volontariato di Torino Vssp, in collaborazione con il Csa (Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base) di Torino e con la consulenza scientifica prestata a titolo gratuito dalla Fondazione promozione sociale.

[5] I libri sono stati i seguenti: Giulia Basano, Nicola, un’adozione coraggiosa. Un bambino handicappato grave conquista una vita adulta autonoma, Rosenberg e Sellier, Torino, 1999; Emilia De Rienzo, Claudia De Figueiredo, Anni senza vita al Cottolengo: il racconto e le proposte di due ex ricoverati, Rosenberg e Sellier, Torino, 2000.

[6] Crf. la nota 2.

[7] Il decreto del Presidente della Repubblica del 12 luglio 2000, n. 257 “Regolamento attuativo dell’articolo 68 della legge n. 144/1999 concernente l’obbligo della frequenza di attività formative”, introduce, tra l’altro, specifici adempimenti per le istituzioni scolastiche, le quali devono rispettare precise scadenze con i centri provinciali per l’impiego al fine di ridurre il fenomeno della dispersione scolastica.

[8]  Il punto 4 dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 257/2000 prevede quanto segue: «Le istituzioni scolastiche comunicano, altresì, tempestivamente ai servizi per l’impiego decentrati i nominativi degli alunni che, nel corso dell’anno scolastico, hanno chiesto ed ottenuto il passaggio ad altre scuole, di quelli che sono passati nel sistema della formazione professionale e di quelli che hanno cessato di frequentare l’istituto prima del 15 marzo». Al successivo articolo 4 si precisa che «a tal fine detti istituti coordinano e integrano la propria attività con quella dei servizi per l’impiego e degli enti locali nonché degli altri servizi individuati dalle regioni».

[9] I corsi prelavorativi sono rivolti a persone con handicap intellettivo medio o medio-grave, con ridotte capacità lavorative. Durano tre anni (per un totale di 2400 ore) e devono essere calibrati sulle loro effettive potenzialità; prevedono una parte di attività di apprendimento teorico e altre finalizzate allo sviluppo dell’autonomia della persona, ma soprattutto contemplano una quota consistente di attività concrete di laboratorio e di tirocinio in azienda, finalizzate a sviluppare quelle abilità che potranno essere spendibili nel mercato del lavoro. Tale azione ha permesso, nell’arco di circa quindici anni, di attivare nei normali centri di formazione professionale pubblici e privati convenzionati di tutte le Province della Regione Piemonte i corsi prelavorativi per allievi con handicap intellettivo. I corsi prelavorativi sono molto utili per valutare concretamente le potenzialità della persona e prepararla nel modo migliore all’ingresso nel mondo del lavoro. Al termine non viene rilasciata una qualifica, ma un attestato in cui sono precisate le competenze acquisite. Possono accedere i giovani dai 15 ai 18 anni (in questo caso il corso serve anche per assolvere l’obbligo formativo) o di età superiore. È possibile essere ammessi a corso già iniziato. Sull’argomento, vedere anche l’articolo “Corsi prelavorativi per handicappati intellettivi: una risposta formativa sempre attuale”, Prospettive assistenziali, n. 134, 2001.

[10] Cfr. il notiziario della Fondazione promozione sociale, “Il dopo di noi non è un fatto privato”, Prospettive assistenziali n. 149, 2004. Sono ancora vigenti gli articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931. Si confronti anche la legge regionale del Piemonte n. 1/2004.

[11]  “Handicap grave: finalmente inaugurata una nuova comunità alloggio a Druento, Controcittà, n. 12, 2004

[12]  L’Utim e il Csa hanno predisposto una proposta di delibera sul volontariato intrafamiliare presentata alla Regione Piemonte e in alcune realtà locali. Per il momento è stata accolta e fatta propria dal Cisap, Consorzio intercomunale dei servizi alla persona dei Comuni di Collegno e Grugliasco (To). In sintesi, si chiede che al nucleo familiare che accoglie volontariamente un congiunto non autosufficiente in situazione di gravità, certificata dalle competenti commissioni mediche delle Asl, sia riconosciuto un rimborso spese forfettario delle spese vive sostenute di almeno 500 euro mensili. Naturalmente tale contributo deve essere aggiuntivo rispetto all’indennità di accompagnamento e alle prestazioni dei servizi assistenziali, compresa la frequenza del centro diurno. Il presupposto da cui si parte è che quando la persona, benché grave, continua a essere accolta in casa (dai genitori o fratelli e sorelle o altri congiunti) la comunità locale ne trae indubbi vantaggi economici, mentre sono rilevanti i benefici per l’interessato che può continuare a godere di un ambiente affettivo e socializzante, che non ha confronti neppure con la migliore comunità alloggio. A fronte dei risparmi economici realizzati, l’ente locale ha, a nostro avviso, il dovere etico di sostenere la famiglia nel compito gravoso che si assuma volontariamente e che con il passare degli anni diventa sempre più pesante.

Sull’argomento si vedano gli articoli “Proposta di delibera sul volontariato intrafamiliare”, Prospettive assistenziali, n.123, 1998; “Seconda proposta di delibera sul volontariato intrafamiliare rivolto ai congiunti colpiti da malattie invalidanti e da non autosufficienza”, Ibidem, n. 124, 1998 e Mauro Perino, “Volontariato intrafamiliare: dalla sperimentazione alla regolamentazione definitiva”, Ibidem, n. 144, 2003.

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