Notiziario della Fondazione promozione sociale (n. 4)
(tratto da Prospettive Assistenziali, 150/2005)
RIFLESSIONI
SUGLI INCONTRI REALIZZATI SUL TEMA DELL’ORIENTAMENTO SCOLASTICO DEGLI ALLIEVI
CON HANDICAP INTELLETTIVO
Premessa
Come anticipato nel numero 148 di Prospettive assistenziali[1],
-
richiamare l’attenzione degli insegnanti della scuola dell’obbligo
sull’importanza di considerare attentamente le potenzialità effettive
dell’allievo in situazione di handicap intellettivo al fine di suggerire
percorsi idonei alle sue capacità per l’assolvimento dell’obbligo formativo[3];
-
raggiungere le famiglie di questi allievi per fornire loro le
informazioni utili relative ai diritti esigibili e/o ai percorsi praticabili
per poterli ottenere, mettendo a loro disposizione l’opuscolo informativo
predisposto per tale scopo[4] e due
libri di racconto-testimonianza di integrazioni sociali raggiunte[5].
Possiamo senz’altro affermare che è stato premiato il
lavoro di preparazione degli incontri, consistito principalmente in contatti
con le associazioni di volontariato e di tutela dell’handicap del territorio e i referenti dei servizi coinvolti nel
progetto. Sono stati rispolverati indirizzi e recapiti di operatori,
insegnanti, volontari di associazioni conosciuti in precedenti appuntamenti e,
insieme a loro, si è impostato un cammino di riflessione. Era importante non
calare dall’alto le nostre proposte ma, a partire dalle esigenze della realtà
locale, individuare le azioni praticabili per soddisfare al meglio le richieste
degli allievi con handicap intellettivo.
Questo modo di procedere ha altresì favorito il
passaparola tra operatori e famiglie e, conseguentemente, la partecipazione
agli incontri è stata buona sia in termini di presenze (in media dalle 60 alle
70 persone per ogni incontro realizzato), sia per quanto concerne la
rappresentatività dei soggetti intervenuti: insegnanti della scuola
dell’obbligo, della scuola superiore e della formazione professionale, dei
corsi prelavorativi; personale dei centri provinciali
per l’impiego; operatori dei servizi socio-assistenziali e delle Asl; genitori
e rappresentanti di associazioni di volontariato. In
alcune zone il confronto è stato allargato anche alle istituzioni e abbiamo
così avuto la possibilità di interloquire anche con gli assessori competenti.
La scelta di privilegiare la
realizzazione degli incontri all’interno delle scuole o, comunque, di
coinvolgere come referente privilegiato una scuola del territorio, si è
rivelata una decisione positiva.
In questo modo abbiamo ottenuto la partecipazione
degli insegnanti preposti all’orientamento non solo dell’istituto prescelto, ma
anche delle altre strutture scolastiche presenti nella realtà interessata, già
in contatto con la scuola ospitante per quel che riguardava gli allievi normodotati.
Positivo è stato anche il coinvolgimento degli altri settori (centri
provinciali per l’impiego e servizi assistenziali, sanitari, per l’inserimento
lavorativo), che hanno potuto conoscere il ventaglio di opportunità esistenti
nel territorio per i giovani allievi con handicap intellettivo che hanno
terminato l’obbligo scolastico.
Che cosa
abbiamo proposto
Abbiamo deciso di affrontare gli stessi temi ma in
zone diverse per favorire la partecipazione. Le relazioni presentate ad ogni
appuntamento[6] si proponevano di:
a)
sottolineare l’importanza di un corretto orientamento
e gli errori da evitare alla luce dell’esperienza fin qui maturata;
b)
presentare le offerte formative della Regione Piemonte per i soggetti con
handicap intellettivo che consistono in:
- corsi di formazione professionale aperti anche a persone
con lievissimo handicap intellettivo;
- corsi prelavorativi riservati a
persone con handicap intellettivo medio o medio-grave;
- corsi di formazione al lavoro (corsi Fal)
per persone con handicap intellettivo ultradiciottenni;
c)
indicare i servizi assistenziali a cui ha diritto chi
è dichiarato “non occupabile” dai centri provinciali per l’impiego e cioè:
- interventi di prevenzione del ricovero in strutture residenziali
attuabili mediante il riconoscimento del volontariato intrafamiliare, il pronto
intervento, il servizio di tregua, gli aiuti economici e/o domiciliari, gli
affidamenti educativi, la frequenza dei centri diurni assistenziali;
- risposte residenziali di tipo familiare, quali le comunità alloggio,
in alternativa al ricovero in istituto per chi non può continuare a restare in
famiglia.
Che cosa è
emerso
Sin dai primi contatti telefonici abbiamo riscontrato
un ampio interesse e un fattivo coinvolgimento, perché quasi
sempre si era in presenza di un “fai da te”, basato sulle proprie
convinzioni e sui propri saperi, qualche volta anche su una personale “autoreferenzialità” del servizio o della scuola, con
evidenti scollamenti tra i servizi dello stesso territorio, la mancata
conoscenza delle risorse esistenti e, purtroppo, sovente l’incapacità ad andare
oltre le proprie competenze (in genere limitate) aprendosi alla realtà del
territorio in cui si opera, alla ricerca delle risposte più idonee a soddisfare
al meglio le esigenze dei soggetti con handicap intellettivo. Inoltre, ci siamo
resi conto che prosegue la mancanza di programmazione dei servizi assistenziali per i soggetti con handicap in situazione di
gravità, sia per quanto riguarda i centri diurni assistenziali sia per le
comunità alloggio.
Pressoché dappertutto è emerso che le famiglie quasi
mai richiedono i servizi suddetti per iscritto, ma anche che i servizi assistenziali non registrano le domande e non segnalano il
fabbisogno che emerge agli amministratori: in questo modo non possono avere una
fotografia della realtà e investire le risorse necessarie.
L’educatore di un centro diurno assistenziale
racconta di essersi trasferito da qualche tempo al servizio per l’inserimento
lavorativo. Peccato che questo trasferimento non abbia
implicato anche un suo aggiornamento sulle norme che regolano il settore lavoro.
Scopriamo che non sa assolutamente nulla della formazione professionale e dei
corsi prelavorativi esistenti sul territorio in cui
opera che, com’è noto, sono rivolti ai giovani con handicap intellettivo che
hanno potenzialità lavorative. Succede, quindi, che ai soggetti con queste caratteristiche, che
si presentano al centro provinciale per l’impiego, l’educatore continui a
proporre “tirocini socializzanti assistenziali”, gli
unici che conosce per la sua precedente esperienza professionale. Grazie
all’incontro, viene a sapere che dovrebbe invece indirizzarli al corso prelavorativo
del centro di formazione professionale, che è
in grado di offrire una reale preparazione al lavoro;
b) scuola superiore di Stato e
formazione professionale regionale: due mondi sovente separati
In un altro caso gli insegnanti della scuola superiore
statale lamentano
di avere bussato alla formazione professionale per chiedere l’opportunità di
organizzare attività nei loro laboratori e di non avere avuto risposte
positive. Approfondiamo con i responsabili del centro di formazione
professionale regionale presenti all’incontro e si scopre che la scuola di
Stato non conosce le delibere regionali e le procedure da attivare per
usufruire delle attività di integrazione scuola-formazione
professionale;
Un centro di formazione professionale, che organizza i
corsi prelavorativi per i giovani con handicap
intellettivo, negli ultimi due anni ci segnala che non ha più iniziato nuovi
corsi, perché – dichiara l’insegnante presente – non sono riusciti ad ottenere
iscrizioni sufficienti di allievi. D’altro lato, gli
insegnanti della scuola media e della scuola superiore
precisano stupefatti di non avere mai saputo dell’esistenza di questo corso prelavorativo nella loro zona e di aver suggerito alle
famiglie l’iscrizione negli istituti professionali statali o addirittura nelle
scuole superiori, non perché fossero idonei alle esigenze dei loro figli, ma
perché erano le uniche risorse sul territorio da loro conosciute che avevano
dato la disponibilità all’inserimento di persone con handicap, di qualunque
tipologia. A fronte di quanto emerso nel corso dell’incontro, si erano resi
conto che non era certo stata la soluzione più appropriata. Si viene poi a
sapere che l’insegnante dei corsi prelavorativi
presente in sala è intervenuto in rappresentanza di se stesso e per un suo
personale interesse al problema, in quanto il
responsabile dell’orientamento del suo centro (assente invece all’incontro) gli
aveva proibito di intervenire;
Succede che i responsabili dei servizi assistenziali di una località in provincia di Torino
elenchino le loro numerose (sembra) attività previste per i soggetti con
handicap intellettivo in situazione di gravità e neghino la presenza di liste
d’attesa o l’erogazione di servizi ridotti. Da alcune famiglie presenti emerge,
al contrario, che nonostante siano anni che richiedono un centro diurno a tempo
pieno per i loro figli handicappati intellettivi in situazione di gravità, essi
beneficiano solo di qualche ora di attività al giorno.
Peccato che non possano dimostrarlo perché non hanno
mai avanzato richieste scritte, né tantomeno i
servizi assistenziali si sono preoccupati di registrare le loro istanze;
La presidente di una commissione di valutazione
dell’handicap (Uvh) conferma che i loro accertamenti
non tengono conto del bisogno espresso dall’interessato e dalla sua famiglia, per cui i servizi sono erogati limitatamente alle risorse a disposizione; ammette che, in effetti,
il loro ruolo dovrebbe essere quello di fotografare la realtà e indicare i
servizi necessari, altrimenti difficilmente gli enti locali e le Asl si
attiveranno per attuare e potenziare ciò che oggi manca o è insufficiente;
Una scuola superiore del territorio, grazie ad una
preside illuminata e volenterosa, ha organizzato al suo
interno attività pratiche e tirocini esterni per i giovani con handicap
intellettivo finalizzati a scoprire quali sono le loro effettive capacità
lavorative. Si lamenta perché non ha nessun aiuto al centro provinciale per
l’impiego. A suo avviso, sarebbe utile,
invece, che nella fase finale del percorso scolastico le attività di tirocinio
degli allievi con handicap intellettivo venissero
promosse direttamente dal servizio di inserimento lavorativo del centro
provinciale per l’impiego e realizzati
per quanto possibile in aziende soggette agli obblighi della legge 68/1999 per
favorire il loro inserimento definitivo in azienda;
Quasi nessuno è al corrente
dei compiti dell’ufficio per l’orientamento, istituito presso la Provincia di
Torino, con operatori distaccati in ogni centro per l’impiego, che ha lo scopo
di andare nelle scuole dell’obbligo e nelle classi del primo biennio delle
superiori per informare gli insegnanti e gli allievi di tutte le opportunità
formative e/o assistenziali esistenti, affinché possano suggerire alle famiglie percorsi idonei per i loro figli, basati
sulle loro effettive potenzialità e autonomie.
La nostra presenza è stata ritenuta utile per aver
saputo collegare i diversi aspetti del problema e, soprattutto, per aver
offerto quel supporto normativo indispensabile per ottenere diritti esigibili
per i soggetti con handicap intellettivo, di cui ciascuno conosceva solo le
parti riguardanti le proprie competenze. Tuttavia dagli incontri è emerso un
quadro non proprio positivo.
Infatti, come abbiamo visto, sono assai scarse le
conoscenze sulle offerte formative e,
soprattutto, sulla rete dei servizi assistenziali (per
chi è in situazione di gravità e non è avviabile al
lavoro). Scarsissimo è il collegamento con i servizi di orientamento
dei centri provinciali per l’impiego, anche se, in base al regolamento attuativo della legge sull’obbligo formativo[7], le
scuole sono obbligate a segnalare ai suddetti centri già i percorsi scelti da
ogni allievo dopo la scuola dell’obbligo[8].
Manca anche la consapevolezza, da parte degli insegnanti della scuola dell’obbligo
della possibilità di utilizzare il personale dei centri provinciali per
l’impiego, preposti all’orientamento, che hanno il
compito di affiancare gli insegnanti in modo da assicurare, anche nei riguardi
dei soggetti con handicap intellettivo, una corretta informazione alle famiglie
sulle offerte formative regionali e sulle integrazioni possibili con le scuole
superiori presenti nel territorio. Al riguardo, si ricorda che compete alle Province
programmare in Piemonte le attività formative e finanziarle sulla base delle
richieste pervenute.
Questo aspetto è importante – e ci preoccupa – perché
è emerso, ad esempio, che pochi insegnanti conoscono l’esperienza positiva dei corsi prelavorativi
per allievi con handicap intellettivo medio-grave[9],
organizzati nell’ambito delle attività regionali di formazione professionale.
Di conseguenza non consigliano l’iscrizione a questi corsi. Il rischio a cui si
va incontro è che, a fronte di una programmazione da parte dei centri di
formazione professionale e di finanziamenti da parte della Regione dei corsi
stessi, questi non si realizzino perché non vi è un numero sufficiente di iscrizioni.
Costruire per tempo il passaggio dalla
scuola alla formazione professionale o prelavorativa
L’assolvimento dell’obbligo formativo attraverso i
corsi prelavorativi oppure la loro frequenza al
termine del biennio della scuola superiore sono due soluzioni da considerare
attentamente perché facilitano, attraverso i tirocini in azienda, la ricerca
del posto di lavoro. Nella Regione Piemonte sono previsti anche corsi brevi di
formazione al lavoro (Fal) per i giovani inoccupati
dai 18 ai 25 anni. Anche in questo caso, se il giovane ha frequentato prima un
corso prelavorativo, può accedere
più facilmente ad un corso di formazione al lavoro (Fal),
per il fatto che ha acquisito alcune abilità lavorative che il corso si propone
di migliorare per raggiungere l’obiettivo lavoro.
A rischio esclusione sociale chi non è
stato correttamente orientato ai percorsi formativi
Molto più problematico è
l’inserimento lavorativo se si attende la fine della scuola superiore, senza
attivare nel contempo percorsi prelavorativi,
puntando soltanto sulla socializzazione e trascurando nei fatti l’apprendimento
di abilità utili da spendere nel mercato del lavoro. Se l’allievo giunge al
termine dell’obbligo formativo senza che sia stato già predisposto dagli
insegnanti il passaggio alla formazione professionale o ai corsi prelavorativi, vi è il serio rischio di esclusione
sociale. Sono molti, purtroppo, i giovani che arrivano alle nostre associazioni
a 25-30 anni e che al massimo si sono visti offrire dal settore assistenziale qualche ora di tirocinio socializzante, perché
non sono stati correttamente orientati dalla scuola. A quel punto, non è più
possibile inserirli in corsi prelavorativi. È vero
che un percorso di tirocini formativi in azienda si può attivare con l’articolo 11 della legge 68/1999, se il giovane è preso in
carico dai servizi per l’inserimento lavorativo del centro provinciale per
l’impiego, ma è altrettanto noto che, a fronte delle aziende scoperte e con
mansioni idonee per questi giovani, vi sono liste d’attesa di centinaia di
soggetti e, quindi, la maggior parte resta esclusa da tale possibilità.
Non va meglio neppure con l’inserimento nelle
cooperative sociali. Anche qui i posti disponibili per
chi ha un handicap intellettivo sono sempre meno e, in ogni caso, le
cooperative non possono diventare l’unico posto di lavoro disponibile per
queste persone.
Un fatto è certo: se il giovane con handicap
intellettivo medio-lieve
riesce a proseguire passando dalla scuola al corso prelavorativo
senza interruzioni, avrà maggiori possibilità di essere inserito nelle aziende
scoperte attraverso i servizi di inserimento lavorativo. Questo soggetto è
certamente preferito dalle aziende rispetto ad un giovane uscito dal circuito
formativo da alcuni anni. Quest’ultimo incontrerà
difficoltà notevoli ad inserirsi, semmai ci riuscirà, nel mondo del lavoro.
La scelta del centro diurno assistenziale per chi è in situazione di gravità
Anche per chi è in situazione di gravità
è necessario che la scuola cominci ad affrontare insieme alle famiglie il
futuro del loro figlio. Spesso ci siamo trovati di fronte a genitori che non
volevano inserire i propri ragazzi nei centri diurni assistenziali,
ritenuti dei ghetti perché rivolti solo a soggetti handicappati intellettivi in
situazione di gravità.
Nel corso degli incontri abbiamo cercato di spiegare
che questi centri sono organizzati con attività diversificate.
Anche nei riguardi dei centri diurni i genitori devono
impegnarsi in prima persona per promuoverne il buon funzionamento: è dimostrato
che laddove le famiglie sono attive, anche con il supporto delle nostre
associazioni, la qualità dell’assistenza in questi centri è buona.
In ogni caso, a distanza di vent’anni
e più dalle prime esperienze realizzate con i fondi della Comunità europea, si
può senz’altro affermare che il centro diurno assistenziale
è stato ed è una valida alternativa al ricovero delle persone handicappate in
situazione di gravità. Non si può trascurare questo aspetto
perché, pur con tutti i limiti, resta il fatto indiscutibile che i genitori
trovano un valido sollievo e, dunque, riescono a mantenere presso di sé il
figlio con handicap grave anche quando invecchiano. Tuttavia il centro diurno
non è un servizio sempre presente nel territorio, o non lo è – come abbiamo
visto – in misura adeguata alle esigenze delle famiglie.
È importante che l’insegnante accompagni la famiglia
ai servizi socio-assistenziali. Abbiamo quindi insistito molto per far
comprendere agli insegnanti quanto sia importante il
loro ruolo nell’accompagnare la famiglia ai servizi assistenziali, affinché sia
presentata per tempo, e per iscritto, la domanda rivolta ad ottenere questo
servizio.
Il giovane potrà frequentare per qualche tempo ancora
la scuola superiore, ma va predisposto il “dopo”, che
non può essere improvvisato. Il rischio, altrimenti, è che, una
volta terminato l’obbligo formativo, la famiglia si ritrovi con il
figlio handicappato in situazione di gravità, a 18 anni, chiuso in casa tutto
il giorno.
Non si deve trascurare il fatto che,
nel caso in cui la situazione familiare sia anche problematica (ad esempio un
solo genitore oppure la presenza di congiunti malati), questo fatto può rendere
impossibile la convivenza e provocare la richiesta anticipata del ricovero del
giovane.
Su questo punto ci siamo soffermati a lungo perché il
“dopo di noi” può consistere ancora oggi nel ricovero in un istituto vecchia
maniera, con concentrazioni di utenti anche con
tipologie incompatibili. Oppure, sempre più spesso, accade che si aprano
comunità alloggio con otto-dieci posti, ma escludendo
la possibilità per gli ospiti di frequentare attività esterne: si ripropone dunque una vita di emarginazione sotto certi
aspetti analoga a quella degli istituti tradizionali.
Negli incontri molto tempo è stato dedicato a sottolineare le caratteristiche imprescindibili che deve
avere la comunità alloggio per essere ritenuta tale. In
quanto naturale proseguimento della vita vissuta in famiglia, deve
essere realizzata in normali appartamenti o in piccole unità familiari, in ogni
caso non isolate, ma inserite nel vivo del contesto sociale in cui hanno sede.
Rappresenta la casa dove si “torna” dopo le attività
svolte all’esterno e non può diventare, né essere, l’unico luogo in cui la
persona handicappata è costretta a passare il suo tempo.
Che cosa fare per ottenerle? Sono stati ricordati a
questo proposito le leggi in vigore sin dal 1889[10], che
impongono in capo ai Comuni obblighi ben precisi per quanto riguarda il
ricovero.
Abbiamo cercato anche di spiegare la dura realtà in
cui ci muoviamo. È certo, infatti, che quasi sempre le
comunità alloggio vengono attuate dai Comuni solo quando le associazioni di
tutela del territorio e le famiglie interessate organizzano vere e proprie
azioni di pressione nei confronti degli enti locali e continuano, anche dopo
aver ottenuto la comunità alloggio, a vigilare sul suo funzionamento[11].
Uno dei primi obiettivi è
quello di ottenere dalla Provincia di Torino la programmazione di almeno un
corso prelavorativo (con attivazione ogni anno del
primo modulo) e un corso annuale di formazione al lavoro (Fal)
per ogni centro provinciale per l’impiego. Tali corsi devono essere inseriti in
maniera stabile e, dunque, avere le garanzie relative al
finanziamento, in modo che le famiglie e gli insegnanti delle scuole
dell’obbligo e superiori possano contare con sicurezza sulla loro presenza e
promuovere i necessari momenti di integrazione e inserimento congiuntamente
agli insegnanti della formazione professionale e dei moduli prelavorativi.
Occorre, inoltre, premere sulla Regione Piemonte affinché la programmazione di
cui sopra sia estesa a tutte le Province, in modo da
assicurare il diritto alla formazione professionale e ai corsi prelavorativi su tutto il territorio regionale.
Assicurare il trasporto
È necessario, altresì, affrontare con
Promuovere il servizio di orientamento nelle scuole medie e superiori
È opportuno chiedere alle Province di promuovere,
attraverso i loro servizi di orientamento e con il
coinvolgimento dei centri di formazione professionale che organizzano corsi prelavorativi, le iniziative informative per diffondere le
conoscenze e mantenere viva l’attenzione sull’importanza di un adeguato
orientamento professionale per gli allievi con handicap intellettivo.
Sostenere le richieste di centri diurni
e comunità alloggio per chi è in situazione di gravità
Per quanto riguarda i soggetti con handicap
intellettivo in situazione di gravità, deve continuare l’azione di stimolo
nelle realtà in cui sono presenti associazioni che operano con il metodo del volontariato
dei diritti e che hanno lo scopo di ottenere l’apertura di nuovi centri diurni
o il potenziamento delle attività di quelli in funzione, nonché
la realizzazione di piccole comunità alloggio di tipo familiare, per rispondere
alle esigenze dei soggetti che non possono continuare a restare presso il
proprio domicilio, ma anche perché i familiari possano beneficiare di momenti
di sollievo e continuare ad occuparsi dei propri figli, benché con limitata o
nulla autonomia.
Per quanto riguarda il territorio della Provincia di
Torino, si è ricordato l’avvio dei
tavoli di confronto per predisporre i piani di zona previsti dalla legge
328/2000 e dalla successiva legge regionale 1/2004. Sono questi gli
appuntamenti importanti in cui si fa emergere il bisogno assistenziale
e puntare ad inserire tra le priorità da realizzare i centri diurni e le comunità
alloggio.
Riconoscere il volontariato intrafamiliare
Un’altra sfida riguarda il riconoscimento del
“volontariato intrafamiliare”. Lo citiamo per ultimo, ma negli incontri è stato
affrontato tra i primi argomenti trattati[12].
È un punto su cui intendiamo concentrare il nostro
impegno, perché è il presupposto per stabilire una volta per
tutte che l’obbligo di assistere le persone handicappate in situazione
di gravità è dell’ente pubblico e non della famiglia, come si cerca di far
credere, per scaricare la collettività dalle sue responsabilità.
[1] Cfr. “Notiziario dell’Utim, Unione per la tutela degli insufficienti mentali”, Prospettive assistenziali, n. 148, 2004.
[2] Gli incontri hanno avuto per tema: “L’orientamento degli allievi con handicap intellettivo: dall’integrazione scolastica all’integrazione lavorativa e sociale”. Le relazioni previste hanno sviluppato i seguenti argomenti: “Dalla scuola al lavoro: esperienze concrete di assunzioni di giovani con handicap intellettivo ottenute attraverso percorsi mirati scuola, formazione e lavoro”; “Dalla scuola all’inserimento sociale. Opportunità e servizi previsti dalla normativa vigente per il mantenimento in famiglia (anche adottiva o affidataria) della persona con handicap intellettivo in situazione di gravità”.
Gli incontri si sono svolti a: Ciriè (To) 8 e 15 ottobre 2004, Torino città 6, 12, 20 novembre e 2 dicembre 2004, Giaveno (To) 11 dicembre 2004, Pinerolo (To) 13 gennaio 2005, Settimo (To) 22 gennaio 2005.
[3] Sul tema si veda anche Maria Grazia Breda, “L’orientamento degli allievi con handicap intellettivo: dall’integrazione scolastica all’inserimento lavorativo e sociale”, Prospettive assistenziali, n. 142, 2003.
[4] Si tratta dell’opuscolo “Handicap intellettivo: i diritti esigibili, i diritti da conquistare. Breve guida di orientamento per genitori, insegnanti, operatori, volontari”, stampato dall’Utim con il contributo del Centro servizi del volontariato di Torino Vssp, in collaborazione con il Csa (Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base) di Torino e con la consulenza scientifica prestata a titolo gratuito dalla Fondazione promozione sociale.
[5] I libri sono stati i seguenti: Giulia Basano, Nicola, un’adozione coraggiosa. Un bambino handicappato grave conquista una vita adulta autonoma, Rosenberg e Sellier, Torino, 1999; Emilia De Rienzo, Claudia De Figueiredo, Anni senza vita al Cottolengo: il racconto e le proposte di due ex ricoverati, Rosenberg e Sellier, Torino, 2000.
[6] Crf. la nota 2.
[7] Il decreto del Presidente della Repubblica del 12 luglio 2000, n. 257 “Regolamento attuativo dell’articolo 68 della legge n. 144/1999 concernente l’obbligo della frequenza di attività formative”, introduce, tra l’altro, specifici adempimenti per le istituzioni scolastiche, le quali devono rispettare precise scadenze con i centri provinciali per l’impiego al fine di ridurre il fenomeno della dispersione scolastica.
[8] Il punto 4 dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 257/2000 prevede quanto segue: «Le istituzioni scolastiche comunicano, altresì, tempestivamente ai servizi per l’impiego decentrati i nominativi degli alunni che, nel corso dell’anno scolastico, hanno chiesto ed ottenuto il passaggio ad altre scuole, di quelli che sono passati nel sistema della formazione professionale e di quelli che hanno cessato di frequentare l’istituto prima del 15 marzo». Al successivo articolo 4 si precisa che «a tal fine detti istituti coordinano e integrano la propria attività con quella dei servizi per l’impiego e degli enti locali nonché degli altri servizi individuati dalle regioni».
[9] I
corsi prelavorativi sono rivolti a persone con handicap intellettivo medio o medio-grave, con ridotte capacità lavorative. Durano tre
anni (per un totale di 2400 ore) e devono essere calibrati sulle loro effettive
potenzialità; prevedono una parte di attività di
apprendimento teorico e altre finalizzate allo sviluppo dell’autonomia della
persona, ma soprattutto contemplano una quota consistente di attività concrete
di laboratorio e di tirocinio in azienda, finalizzate a sviluppare quelle
abilità che potranno essere spendibili nel mercato del lavoro. Tale azione ha
permesso, nell’arco di circa quindici anni, di attivare nei normali centri di
formazione professionale pubblici e privati convenzionati di tutte le Province
della Regione Piemonte i corsi prelavorativi per
allievi con handicap intellettivo. I corsi prelavorativi sono molto utili per
valutare concretamente le potenzialità della persona e prepararla nel modo
migliore all’ingresso nel mondo del lavoro. Al termine non viene
rilasciata una qualifica, ma un attestato in cui sono precisate le competenze
acquisite. Possono accedere i giovani dai 15 ai 18
anni (in questo caso il corso serve anche per assolvere l’obbligo formativo) o
di età superiore. È possibile essere ammessi a corso già iniziato.
Sull’argomento, vedere anche l’articolo “Corsi prelavorativi per handicappati
intellettivi: una risposta formativa sempre attuale”, Prospettive assistenziali, n. 134, 2001.
[10] Cfr. il notiziario della Fondazione promozione sociale, “Il dopo di noi non è un fatto privato”, Prospettive assistenziali n. 149, 2004. Sono ancora vigenti gli articoli 154 e 155 del regio decreto 773/1931. Si confronti anche la legge regionale del Piemonte n. 1/2004.
[11] “Handicap grave: finalmente inaugurata una nuova comunità alloggio a Druento, Controcittà, n. 12, 2004
[12] L’Utim e il Csa hanno predisposto una proposta di delibera sul volontariato intrafamiliare presentata alla Regione Piemonte e in alcune realtà locali. Per il momento è stata accolta e fatta propria dal Cisap, Consorzio intercomunale dei servizi alla persona dei Comuni di Collegno e Grugliasco (To). In sintesi, si chiede che al nucleo familiare che accoglie volontariamente un congiunto non autosufficiente in situazione di gravità, certificata dalle competenti commissioni mediche delle Asl, sia riconosciuto un rimborso spese forfettario delle spese vive sostenute di almeno 500 euro mensili. Naturalmente tale contributo deve essere aggiuntivo rispetto all’indennità di accompagnamento e alle prestazioni dei servizi assistenziali, compresa la frequenza del centro diurno. Il presupposto da cui si parte è che quando la persona, benché grave, continua a essere accolta in casa (dai genitori o fratelli e sorelle o altri congiunti) la comunità locale ne trae indubbi vantaggi economici, mentre sono rilevanti i benefici per l’interessato che può continuare a godere di un ambiente affettivo e socializzante, che non ha confronti neppure con la migliore comunità alloggio. A fronte dei risparmi economici realizzati, l’ente locale ha, a nostro avviso, il dovere etico di sostenere la famiglia nel compito gravoso che si assuma volontariamente e che con il passare degli anni diventa sempre più pesante.
Sull’argomento si vedano
gli articoli “Proposta di delibera sul volontariato intrafamiliare”, Prospettive assistenziali,
n.123, 1998; “Seconda proposta di delibera sul volontariato intrafamiliare
rivolto ai congiunti colpiti da malattie invalidanti e da non autosufficienza”,
Ibidem, n. 124, 1998 e Mauro Perino, “Volontariato intrafamiliare: dalla sperimentazione
alla regolamentazione definitiva”, Ibidem,
n. 144, 2003.