Convegno nazionale

“IL DIRITTO DI TUTTI I BAMBINI FIN DALLA NASCITA ALLA FAMIGLIA  E LA PREVENZIONE DELL’ABBANDONO”

 Torino, 21 ottobre 2005

 Allegato  3

Proposte per un linguaggio appropriato in materia di adozione[1]

 Riportiamo le proposte avanzate da un gruppo di genitori adottivi per l’uso corretto di termini usati nel campo dell’adozione. Occorre, infatti, tenere presente che l’uso di questo o quel vocabolo può avere ripercussioni anche molto negative sulla vita delle persone coinvolte. Inoltre, com’è noto, le parole hanno tutte un significato con profondi riflessi sul piano sociale e istituzionale. 

1. I bambini non si tolgono

I bambini adottati (ma lo stesso si potrebbe dire per quelli affidati) non sono stati tolti ai loro genitori dai giudici minorili: i magistrati, invece, con i loro provvedimenti, li hanno sottratti ad una vita di privazioni che spesso li hanno segnati anche duramente.

Non usiamo più questo verbo quando si parla di bambini allontanati dal loro nucleo familiare: è un dovere delle istituzioni tutelarli e proteggerli.

È però necessario che questi bambini non vengano dimenticati dagli operatori e dai giudici per anni negli istituti e nelle comunità. Nei casi in cui la situazione non sia risolvibile mediante adeguati aiuti psico-sociali alle famiglie d’origine, occorre che le istituzioni procedano al più presto al loro inserimento, a seconda delle situazioni, in una famiglia adottiva o affidataria, come previsto dalla legge 184/1983. 

2. Bambini abbandonati

La scelta che compie la donna, che decide per motivi anche drammatici, di non diventare la madre del piccolo che ha partorito non riconoscendolo come figlio, compie una scelta responsabile che merita il rispetto di tutti: quel piccolo non è abbandonato bensì consegnato alle istituzioni perché lo inseriscano al più presto in una famiglia.

Il bambino non riconosciuto, e quindi affidato alle istituzioni, non è abbandonato; va considerato tale solo quello che viene lasciato in luoghi dove la sua vita è messa a repentaglio!

Se passa del tempo prima che sia inserito in famiglia e quindi è costretto a trascorrere mesi di vita in ospedale o in comunità, privo delle cure familiari indispensabili per la crescita di ogni bambino, la responsabilità di questa situazione non è della donna che non l’ha riconosciuto, ma delle istituzioni che non sono intervenute tempestivamente.

Il problema tempo è sovente molto sottovalutato: alcuni giudici minorili e operatori sociali pensano ancora che non sia grave se questo neonato passa alcuni mesi in comunità prima dell’inserimento in una famiglia, in attesa del decreto di adottabilità. Invece cambia molto se ci mettiamo dal punto di vista del bambino e non dell’adulto. Esiste ancora troppa ignoranza o noncuranza riguardo alle conseguenze delle carenze di cure affettive sul bambino! 

3. I figli adottati sono figli veri

Il rapporto che unisce figli e genitori adottivi è fondato sulla conoscenza reciproca, su legami affettivi costruiti giorno dopo giorno, in modo non sempre facile e lineare, ma forte ed autentico. Siamo diventati i loro genitori veri conquistandoci giorno dopo giorno un posto nel loro cuore. Siamo i loro genitori, senza nulla togliere a quelli che hanno dato loro la vita e non sono riusciti a fare loro da  madre e padre.

È quindi ora di smettere di usare il termine “veri” riferito ai genitori d’origine. 

4. Adozioni fallite

Se ne parla molto in questi ultimi anni. Ma vogliamo fermarci a riflettere su chi ha fallito? Si sbaglia, e di grosso, a scaricare solo sui genitori la responsabilità di inserimenti spesso tardivi di bambini e bambine, che hanno subito a volte non solo la privazione di cure dalla famiglia d’origine, ma che continuano a pagare, in prima persona, i ritardi, le incertezze delle istituzioni (amministratori, operatori, giudici, ecc.) che avrebbero dovuto occuparsi presto e bene di loro.

Sono le stesse istituzioni che dovrebbero scegliere la famiglia migliore per loro e che invece si sono talvolta limitati a prendere atto di disponibilità che devono essere attentamente verificate, perché non sempre coincidono con la capacità di far fronte alle esigenze di bambini chiaramente provati. L’amore non basta!

Forse dovremmo, più propriamente, parlare di amministratori, giudici, operatori che hanno fallito, facendo pagare alle famiglie (figli, per primi, e genitori adottivi) la loro impreparazione, le loro scelte, i loro pregiudizi.

Le vere adozioni fallite sono quelle che non sono state realizzate, quelle dei minori che pur essendo in stato di adottabilità non sono stati adottati. Cogliamo anche questa occasione per denunciare le gravissime inadempienze del Ministro della giustizia che non ha ancora istituito la banca dati relativa ai minori dichiarati adottabili e non adottati: questi bambini, grandicelli, malati o handicappati – di cui nessuno parla – hanno diritto ad avere una famiglia. 

5. Sostegno a distanza

È scorretto utilizzare la denominazione adozione a distanza per indicare iniziative dirette a supportare progetti nei confronti di bambini e dei loro familiari nei Paesi del Sud del mondo.

L’adozione è l'atto sociale e giuridico in base al quale i bambini diventano figli a tutti gli effetti di genitori che non li hanno procreati e, parallelamente, i genitori diventano padre e madre di un figlio non nato da loro. Pertanto utilizzare la denominazione adozione a distanza in questo contesto comporta connotazioni riduttive per l'adozione. Analoghe considerazioni negative valgono per le varie “adozioni” fasulle propagandate continuamente da giornali, radio e televisioni (adotta un nonno, adotta un delfino, adotta un cane, adotta una strada, adotta un monumento…).

 www.fondazionepromozionesociale.it


[1] Testo tratto da Prospettive assistenziali, n. 149, 2005.