“IL DIRITTO DI TUTTI I BAMBINI FIN DALLA NASCITA ALLA
FAMIGLIA E
Allegato 5
Proposta di legge della Regione Piemonte per il sostegno alle gestanti
e madri in condizione di disagio
Relazione
1. Oggetto e finalità del disegno di legge
Poiché le
linee guida dell’articolo 58 sono rivolte
all’“esercizio delle competenze”, l’attribuzione della competenza istituzionale
a soggetti gestori diversi da quelli individuati dall’articolo 5, comma 4,
della legge regionale n. 1/2004[2] deve
necessariamente essere prevista con una modifica legislativa, si è scelto
quindi di predisporre un testo snello che si limita a sancire la competenza
istituzionale demandando ad un successivo atto di giunta regionale il dettaglio dell'esercizio della funzione. Ciò appare più confacente allo spirito della legge
regionale n. 1/2004 che sancisce principi e competenze più che disciplina di
dettaglio e consente inoltre di approfondire le modalità
di esercizio della funzione con un atto amministrativo, per propria natura più
agile e facilmente modificabile nel tempo.
Con questo disegno di legge si intende quindi modificare la legge regionale n. 1/2004 nel senso di affidare solo ad alcuni enti gestori delle funzioni socio-assistenziali istituzionali del Piemonte, individuati dalla Giunta regionale di concerto con i Comuni, le competenze relative agli interventi socio-assistenziali nei confronti delle gestanti che necessitano di specifici sostegni in ordine al riconoscimento o meno dei loro nati, compresi quelli volti a garantire il segreto del parto, ed ai necessari interventi a favore dei loro neonati. Per i neonati non riconosciuti gli interventi sono garantiti fino all’adozione definitiva.
2. Obiettivi
dell’intervento.
Le vigenti leggi riconoscono alle donne tre importanti
diritti: il diritto alla scelta se riconoscere come figlio il bambino
procreato, il diritto alla segretezza del parto per chi non riconosce il
proprio nato, il diritto all’informazione, compresa quella relativa
alla possibilità di un periodo di riflessione successivo al parto per
decidere in merito al riconoscimento.
Per quanto riguarda il diritto alla scelta, la
sentenza n. 171 del 5 maggio 1994 della
Corte costituzionale recita: «qualunque donna partoriente, ancorché
da elementi informali risulta trattarsi di coniugata,
può dichiarare di non volere essere nominata nell’atto di nascita». È da sottolineare che la gravidanza può innestarsi in una
condizione di disagio preesistente della donna, ed essere quindi vissuta con
estrema difficoltà e fatica. Laddove la
gravidanza si colloca
in un percorso di grave problematicità sono necessari interventi di
sostegno mirati, per consentire alla donna stessa una maggiore serenità, per
valutare la possibilità del
riconoscimento o del non riconoscimento.
Il diritto alla segretezza del parto, che deve essere
garantito da tutti i servizi sanitari e sociali coinvolti, è assicurato dalla
redazione dell’atto di nascita da parte dell’Ufficiale
di Stato civile. I passaggi istituzionali successivi (dichiarazione dello stato
di adottabilità, sua eventuale sospensione per un
periodo massimo di due mesi, nonché particolari casistiche relative alle
partorienti minorenni) sono normati dalla legge 183/1984 e successive modifiche disposte dal Tribunale
per i minorenni.
Il diritto all’informazione va inteso come il diritto di ogni donna a ricevere una corretta e tempestiva
conoscenza della disciplina legislativa e degli aiuti sociali per poter
decidere liberamente nei riguardi del riconoscimento.
L’esercizio dei diritti di cui sopra può essere
adeguatamente garantito soltanto in un’ottica globale
d’intervento che prenda in esame e tenda al superamento della situazione
complessiva della gestante fin dalle prime fasi della gravidanza o comunque dal
manifestarsi dello stato di difficoltà.
La presente modifica di legge nasce dalla
considerazione che i predetti diritti in capo alle gestanti e madri possano
essere efficacemente ed efficientemente tutelati da parte di soggetti
istituzionali di ampia dimensione territoriale
(soprattutto in ordine all’esigenza di segretezza) e in grado di garantire
operatori con specifica preparazione professionale in una materia oltremodo
delicata.
3. Aspetti
contabili e finanziari
Il disegno di
legge non comporta ulteriori oneri a carico
dell’amministrazione regionale rispetto a quanto già previsto nella legge
regionale n. 1/2004, bensì solo una diversa allocazione delle risorse.
Considerato
che il fenomeno su cui interviene la presente modifica di legge non è
prevedibile, poiché la spesa storica distinta riguarda soltanto gli interventi relativi ai nati non riconosciuti, la delibera della Giunta
regionale prevista al comma 9 contemplerà una fase sperimentale e transitoria
anche ai fini dell’assegnazione delle risorse.
Testo
1.
Dopo il comma 5 dell’articolo 9 della legge regionale 8 gennaio 2004, n. 1
(Norme per la realizzazione del sistema regionale integrato di
interventi e servizi sociali e riordino della legislazione di
riferimento)[3], sono aggiunti, infine, i
seguenti commi:
«5
bis. Le funzioni relative agli interventi socio-assistenziali
nei confronti delle gestanti che necessitano di specifici sostegni in ordine al
riconoscimento o non riconoscimento dei loro nati e al segreto del parto sono
gestite dai soggetti gestori individuati dalla Giunta regionale, sentita la
competente Commissione consiliare e previa concertazione con i comuni.
«5 ter. Nei primi sessanta giorni
dopo il parto, tali soggetti gestori garantiscono alle donne di cui al comma 5
bis, già assistite come gestanti, e ai loro nati, gli interventi
socio-assistenziali, al fine di sostenere il loro reinserimento sociale. Dopo
tale periodo ai medesimi soggetti è assicurata la continuità assistenziale
secondo i criteri e le modalità attuative previsti dal comma 5 quinquies. Gli
interventi socio-assistenziali a favore dei neonati non riconosciuti sono garantiti dai medesimi soggetti fino alla adozione
definitiva.
«5 quater. Gli interventi di cui
al comma 5 bis sono erogati su richiesta delle donne
interessate e senza ulteriori formalità, indipendentemente dalla loro residenza
anagrafica.
«5 quinquies. Con il
provvedimento di individuazione dei soggetti gestori
competenti di cui al comma 5 bis,
«5 sexties. Le risorse necessarie
a finanziare le attività trovano specifico stanziamento nel fondo regionale di
cui all’articolo 35, comma 7».
[2] (N.d.R.) Il 4° comma dell’articolo 5 della legge della Regione Piemonte n. 1/2004 stabilisce quanto segue: «Entro i termini e sulla base di indicazioni individuati dalla Giunta regionale di concerto con le Province e gli enti gestori istituzionali, le Province trasferiscono agli enti gestori istituzionali del proprio territorio la gestione delle funzioni di cui all’articolo 5 della legge 18 marzo 1993, n. 67 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 18 gennaio 1993, n. 9, recante disposizioni urgenti in materia sanitaria e socio assistenziale) relative ai non vedenti, agli audiolesi, ai figli minori riconosciuti dalla sola madre, ai minori esposti all’abbandono, ai figli minori non riconosciuti ed alle gestanti e madri in difficoltà, mettendo a disposizione di tali enti le risorse umane, patrimoniali e finanziarie utilizzate alla data di entrata in vigore della legge nazionale».
[3] (N.d.R.) L’articolo 9 della legge della Regione Piemonte
n. 1/2004 sancisce quanto segue: «1.
«2. La gestione in forma singola dei Comuni capoluogo di provincia è idonea a garantire
l’efficacia e l’efficienza degli interventi e dei servizi sociali.
«3. Per la gestione associata delle
funzioni, i Comuni adottano le forme associative previste dalla legislazione
vigente che ritengono più idonee ad assicurare una ottimale
realizzazione del sistema integrato degli interventi e servizi sociali,
compresa la gestione associata tramite delega all’Asl, le cui modalità
gestionali vengono definite con l’atto di delega.
«4. Gli enti gestori istituzionali che
esercitano le attività secondo le forme associative di cui al comma 3
applicano, qualora previsto dai rispettivi statuti, le norme relative
all’ordinamento finanziario e contabile di cui alla parte II del decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento
degli enti locali), nonché, in quanto applicabili, le norme di cui al titolo IV
del medesimo decreto legislativo in riferimento al personale dipendente.
«5. Le attività sociali a rilievo
sanitario per la tutela materno-infantile e dell’età evolutiva nonché per adulti ed anziani con limitazione dell’autonomia,
le attività di formazione professionale del personale dei servizi sociali e
quelle relative all’autorizzazione, accreditamento e vigilanza sui servizi e
sulle strutture sono obbligatoriamente gestite in forma associata ai sensi dei
commi 1, 2 e 3 o dai Comuni capoluoghi di provincia o dalle Asl delegate. I
soggetti gestori assicurano le attività sociali a rilievo sanitario
garantendone l’integrazione, su base distrettuale, con le attività sanitarie a
rilievo sociale e con le prestazioni ad elevata integrazione sanitaria di
competenza delle Asl».
[4] Il documento base del “Gemellaggio sociale” è riportato in allegato nel capitolo riguardante le conclusioni operative.
[5] Il testo integrale del disegno di legge è riportato nell’allegato 5 delle conclusioni operative.