Convegno: “Persone sole e malate: un problema non solo estivo”

Torino, 21 maggio 2004

 

 

Introduzione alla tavola rotonda  “Perché l’estate non sia emergenza: come garantire tutto l’anno la continuità terapeutica a  casa o in struttura sanitaria per chi è malato,  specialmente se solo”

Maria Grazia Breda, Csa-Comitato per la difesa dei diritti degli assistiti

 

 

Che cosa ci  insegna quanto è capitato nell’estate 2003

 

            Le associazioni promotrici del convegno si sono poste due obiettivi: promuovere un momento di formazione/informazione per i volontari e tutti gli operatori del settore (che si è svolto nella mattinata) e un momento di incontro/confronto con i responsabili delle istituzioni che si svilupperà nella tavola rotonda del pomeriggio, per cominciare a individuare modalità diverse di operare al fine di impedire il ripetersi dei fatti tragici accaduti nell’estate 2003.

 

            Molto semplicemente ci proponiamo di:

 

ü      Non dimenticare quanto accaduto la scorsa estate ed evitare che, passato il clamore del momento,  tutto torni come prima, come se niente fosse successo;  

 

ü      Sollecitare la riflessione sulle cause della morte di migliaia di anziani, prendendo atto che la morte ha colto persone che erano sì sole, ma in primo luogo malate, affette cioè da malattie croniche, che le rendevano particolarmente a rischio in situazioni eccezionali, come quelle verificatesi la scorsa estate, tanto più  se in condizioni  economicamente e socialmente deprivate;

 

ü      Evitare che tutto (o quasi) si risolva dando la colpa della moria dei vecchi alla solitudine, che è il ritornello che sempre viene riproposto quando le autorità si esprimono sul problema degli anziani, peraltro senza il supporto di alcuna ricerca scientifica valida. Ad esempio, mentre il Ministro degli interni, Giuseppe Pisanu ha dichiarato “Ho l’impressione che la solitudine ne abbia uccisi più del caldo” (Cfr. La Repubblica del 19 agosto 2003), dalla ricerca svolta dall’Osservatorio sulle dinamiche sociali, costituito da Cisl e Confcooperative risultava che “la non autosufficienza, più della povertà, della criminalità, perfino della solitudine è la principale preoccupazione degli anziani” (cfr. Vita del 26.3.2004).

 

A sostegno di questa nostra preoccupazione vi è la  lettera pubblicata su La Repubblica del 30 agosto 2003, di Massimo Tabaton del Dipartimento di Neuroscienze dell’università di Genova, che proprio in merito alla moria degli anziani, precisa quanto segue: “Si è parlato del fatto come un problema sociale, mentre è prevalentemente un problema medico, che deve essere affrontato sul piano scientifico. La morte delle persone anziane è causata dalle complicanze della loro malattia primaria,  che si chiama malattia di Alzheimer. C’è ancora molta confusione in Italia sull’invecchiamento e la demenza. In realtà la malattia di Alzheimer è la caricatura dell’invecchiamento del cervello, che non è mai normale, ma sempre patologico, per cui al di là degli 85 anni il 50% dei soggetti ha un decadimento cognitivo, che  corrisponde alla malattia di Alzheimer, Queste persone hanno quindi una malattia misconosciuta perché ritenuta la semplice espressione della vecchiaia, Le complicanze di questo stato sono la perdita dello stimolo della sete, con una disidratazione che ovviamente si acuisce con temperature costantemente elevate, e porta ad infezioni, turbe cardiache e un disordine metabolico globale”.

 

ü      Richiamare il Servizio sanitario (a partire dal suo Ministro e dall’Assessore regionale alla sanità fino ai Direttori Generali delle Asl), perché si prenda atto della realtà delle cose mettendo a disposizione risorse e professionalità sanitarie per assicurare le funzioni di prevenzione, diagnosi e cura tutti i giorni dell’anno a tutte le persone malate, giovani o anziane, colpite da patologie guaribili o non guaribili, autosufficienti o non autosufficienti;

 

Lo studio, predisposto dall’istituto Superiore di Sanità che ha condotto un’indagine confrontando i deceduti  dello stesso periodo del 2002, con quelli del 2003, ha rilevato che su 8000 morti si è trattato soprattutto di cittadini anziani, il 92% sopra i 75 anni,  affetti da patologie croniche invalidanti.

Una parte di questi viveva da solo  e in condizioni sociali assai modeste.

Un’altra parte era ricoverato in strutture residenziali convenzionate. Non ci sono dati su quelle private.

 

ü      Impedire che  l’integrazione tra i servizi sanitari e i servizi assistenziali  continui ad essere un pretesto per “scaricare” sui Comuni i cittadini affetti da patologie croniche, perché, come ha purtroppo dimostrato la strage estiva degli anziani, il personale assistenziale non può certamente sostituirsi ai medici nella cura di un paziente grave, mettendo come si è visto a rischio la stessa sua vita.

L’indagine su citata dell’Istituto superiore di Sanità (fonte Ministero della salute www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/anziani_caldo/index.html) ha rilevato che anche “nei Comuni con i più avanzati sistemi di assistenza socio-sanitaria non sembra abbiano avuto un impatto significativo nel ridurre le catastrofiche conseguenze dell’onda di calore”.

 

ü      Sollecitare  i Sindaci, che sono la massima autorità sanitaria,  perché siano garantite dal Servizio sanitario nazionale  le cure  ai cittadini maggiormente a rischio a causa delle loro precarie condizioni di salute e di vita, mettendo a loro disposizione  tutte le informazioni utili per l’accesso alle cure del servizio sanitario e accompagnandoli nel caso non siano  in grado di provvedere autonomamente (persone sole con problemi di demenza o malattia mentale, giovani e adulti affetti da patologie croniche invalidanti, anziani parzialmente non autosufficienti), assicurando in misura adeguata al fabbisogno i  servizi assistenziali, ai soggetti che ne hanno diritto e che sono di sua competenza (circa il 3% della popolazione), interagendo con le nostre associazioni di volontariato, senza venir meno ai suoi doveri istituzionali.

 

 

Che cosa si dovrebbe fare

 

ü      Angelo Benassa, su la Stampa  dell’8 febbraio 2004 ha scritto che “Nel nome dello spirito santo, Parigi abolisce la pentecoste per una buona causa”. Si riferiva alla decisione assunta dal Governo francese di destinare le risorse recuperate con il prelievo dell’0,3% sulla massa salariale pubblica e privata della nuova giornata lavorativam per alimentare un fondo speciale per finanziare per metà la nuova legge a sostegno dei soggetti con handicap e per l’altra metà il promesso intervento a favore degli anziani.

 

ü      Nel 2002 anche il premier britannico Tony Blair aveva deciso di impegnare altri 8 miliardi di euro per migliorare il servizio sanitario inglese.

 

ü      L’ Italia, invece, secondo i dati forniti da Irene Mathis, presidente dell’Associazione Medici cattolici, investe nella sanità cifre di molto inferiori rispetto agli altri Paesi europei, per cui non sarebbe certo scandaloso aumentare di almeno un punto la percentuale del pil (prodotto interno lordo) da destinare al Servizio sanitario nazionale.

 

In ogni caso secondo una ricerca effettuata dall’Associazione Nuovo welfare dall’intervista di un campione di 20 mila persone emerge che “non è vero che in cima ai desideri degli italiani ci sia il taglio delle tasse”.  Anzi “le tasse possono anche aumentare purchè allo stesso tempo migliorino e si sviluppino i servizi” (Cfr. La Repubblica, del 25 giugno 2003).

Dal rapporto risulta che “il 64% degli utenti (quasi due su tre) è disposto a fare il sacrifico, mentre solo il 22% pensa che sia meglio pagare di meno per avere eno servizi”. Ancora più alta la percentuale degli italiani convinti che “il Servizio sanitario debba restare fondamentalmente pubblico e gestito dalle Regioni”.

           

 

Le nostre proposte:

 

         

1.       destinare maggiori risorse al Servizio sanitario,  ma con il vincolo di utilizzarle esclusivamente  per le prestazioni da assicurare  ai soggetti affetti da patologie croniche invalidanti;

 

2.      assicurare da parte delle Asl e dei Comuni informazioni scritte, e perciò attendibili, sui diritti/doveri dei cittadini malati compresi i soggetti affetti da patologie croniche invalidanti;

 

3.      approvare una legge regionale che obblighi le Asl ad istituire le cure domiciliari, a riconoscere  l’assegno di cura  e il volontariato intra-familiare praticato dai congiunti che si rendono disponibili ad accogliere un soggetto affetto da malattie croniche e  non autosufficienza, in tutti i casi in cui detto intervento è meno oneroso di un ricovero ospedaliero o in casa di cura convenzionata o in Rsa;

 

4.      promuovere la medicina di gruppo tra i medici di famiglia al fine di garantire una   maggiore reperibilità quotidiana per tutti i giorni dell’anno e, quindi, favorire la continuità terapeutica e minor ricorso al pronto soccorso; o almeno organizzare le cure domiciliari  in modo che per i pazienti a rischio sia previsto il passaggio di consegne tra il personale infermieristico e il servizio di pronto soccorso per le giornate di sabato e festivi;

 

5.      realizzare   almeno 1 centro diurno per i malati di Alzheimer per ogni Asl i cui costi dovrebbero essere assunti totalmente dal Servizio sanitario regionale;

 

6.      garantire le cure in ospedale o in altra struttura sanitaria alle persone affette da patologie croniche invalidanti, tanto più se sole, quando non è praticabile la loro cura a domicilio;

 

7.      creare posti letto di deospedalizzazione protetta in misura adeguata in ogni Asl, affinché siano assicurate le cure sanitarie, anche riabilitative, agli anziani nella fase di post-acuzie, tenendo presente che abbastanza spesso al momento delle dimissioni ospedaliere sono ancora presenti patologie non stabilizzate;

 

8.      aumentare i posti letto di riabilitazione e lungodegenza e i ricoveri di sollievo;

 

9.      superare le carenze delle Raf, residenze sanitarie flessibili prevedendo solo la Rsa, residenza sanitaria assistenziale come risposta extraospedaliera per gli anziani cronici non autosufficienti che non possono essere curati a domicilio;

 

10.   assegnare  ai Comuni e ai Consorzi socio-assistenziali risorse per:
investire  nella prevenzione  e, quindi, nelle attività domiciliari in sinergia con le disponibilità del volontariato presenti nel territorio;        
incentivare  azioni di buon vicinato;         
monitorare zone abitative particolarmente a rischio come ad esempio le case popolari che registrano alte concentrazioni di soggetti con problematiche: anziani parzialmente autosufficienti, adulti affetti da malattia psichiatrica, soggetti con handicap fisici e limitata autonomia.