Convegno:
“Persone sole e malate: un problema non solo
estivo”
Introduzione
alla tavola rotonda
“Perché l’estate non sia emergenza: come garantire tutto
l’anno la continuità terapeutica a
casa o in struttura sanitaria per chi è malato, specialmente se
solo”
Maria
Grazia Breda, Csa-Comitato per la difesa dei diritti degli
assistiti
Le associazioni promotrici del convegno si sono
poste due obiettivi: promuovere un momento di formazione/informazione per i
volontari e tutti gli operatori del settore (che si è svolto nella mattinata) e
un momento di incontro/confronto con i responsabili delle istituzioni che si
svilupperà nella tavola rotonda del pomeriggio, per cominciare a individuare
modalità diverse di operare al fine di impedire il ripetersi dei fatti tragici
accaduti nell’estate 2003.
Molto semplicemente ci proponiamo
di:
ü
Non
dimenticare quanto accaduto la scorsa estate ed evitare che, passato il clamore
del momento, tutto torni come
prima, come se niente fosse successo;
ü
Sollecitare
la riflessione sulle cause della morte di migliaia di anziani, prendendo atto
che la morte ha colto persone che erano sì sole, ma in primo luogo malate,
affette cioè da malattie croniche, che le rendevano particolarmente a rischio in
situazioni eccezionali, come quelle verificatesi la scorsa estate, tanto
più se in condizioni economicamente e socialmente deprivate;
ü
Evitare
che tutto (o quasi) si risolva dando la colpa della moria dei vecchi alla
solitudine, che è il ritornello che sempre viene riproposto quando le autorità
si esprimono sul problema degli anziani, peraltro senza il supporto di alcuna
ricerca scientifica valida. Ad esempio, mentre il Ministro degli interni,
Giuseppe Pisanu ha dichiarato “Ho l’impressione che la solitudine ne abbia
uccisi più del caldo” (Cfr. La Repubblica del 19 agosto 2003), dalla
ricerca svolta dall’Osservatorio sulle dinamiche sociali, costituito da Cisl e
Confcooperative risultava che “la non autosufficienza, più della povertà,
della criminalità, perfino della solitudine è la principale preoccupazione degli
anziani” (cfr. Vita del 26.3.2004).
A
sostegno di questa nostra preoccupazione vi è la lettera pubblicata su La
Repubblica del 30 agosto 2003, di Massimo Tabaton del Dipartimento di
Neuroscienze dell’università di Genova, che proprio in merito alla moria degli
anziani, precisa quanto segue: “Si
è parlato del fatto come un problema sociale, mentre è prevalentemente un
problema medico, che deve essere affrontato sul piano scientifico. La morte
delle persone anziane è causata dalle complicanze della loro malattia
primaria, che si chiama malattia di
Alzheimer. C’è ancora molta confusione in Italia sull’invecchiamento e la
demenza. In realtà la malattia di Alzheimer è la caricatura dell’invecchiamento
del cervello, che non è mai normale, ma sempre patologico, per cui al di là
degli 85 anni il 50% dei soggetti ha un decadimento cognitivo, che corrisponde alla malattia di Alzheimer,
Queste persone hanno quindi una malattia misconosciuta perché ritenuta la
semplice espressione della vecchiaia, Le complicanze di questo stato sono la
perdita dello stimolo della sete, con una disidratazione che ovviamente si
acuisce con temperature costantemente elevate, e porta ad infezioni, turbe
cardiache e un disordine metabolico globale”.
ü
Richiamare
il Servizio sanitario (a partire dal suo Ministro e dall’Assessore regionale
alla sanità fino ai Direttori Generali delle Asl), perché si prenda atto della
realtà delle cose mettendo a disposizione risorse e professionalità sanitarie
per assicurare le funzioni di prevenzione, diagnosi e cura tutti i giorni
dell’anno a tutte le persone malate, giovani o anziane, colpite da patologie
guaribili o non guaribili, autosufficienti o non autosufficienti;
Lo
studio, predisposto dall’istituto Superiore di Sanità che ha condotto
un’indagine confrontando i deceduti
dello stesso periodo del 2002, con quelli del 2003, ha rilevato che su
8000 morti si è trattato soprattutto di cittadini anziani, il 92% sopra i 75
anni, affetti da patologie croniche
invalidanti.
Una
parte di questi viveva da solo e in
condizioni sociali assai modeste.
Un’altra
parte era ricoverato in strutture residenziali convenzionate. Non ci sono dati
su quelle private.
ü
Impedire
che l’integrazione tra i servizi
sanitari e i servizi assistenziali
continui ad essere un pretesto per “scaricare” sui Comuni i cittadini
affetti da patologie croniche, perché, come ha purtroppo dimostrato la strage
estiva degli anziani, il personale assistenziale non può certamente sostituirsi
ai medici nella cura di un paziente grave, mettendo come si è visto a rischio la
stessa sua vita.
L’indagine
su citata dell’Istituto superiore di Sanità (fonte Ministero della salute www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/anziani_caldo/index.html)
ha rilevato che anche “nei
Comuni con i più avanzati sistemi di assistenza socio-sanitaria non sembra
abbiano avuto un impatto significativo nel ridurre le catastrofiche conseguenze
dell’onda di calore”.
ü
Sollecitare i Sindaci, che sono la massima autorità
sanitaria, perché siano garantite
dal Servizio sanitario nazionale le
cure ai cittadini maggiormente a
rischio a causa delle loro precarie condizioni di salute e di vita, mettendo a
loro disposizione tutte le
informazioni utili per l’accesso alle cure del servizio sanitario e
accompagnandoli nel caso non siano
in grado di provvedere autonomamente (persone sole con problemi di
demenza o malattia mentale, giovani e adulti affetti da patologie croniche
invalidanti, anziani parzialmente non autosufficienti), assicurando in misura
adeguata al fabbisogno i servizi
assistenziali, ai soggetti che ne hanno diritto e che sono di sua competenza
(circa il 3% della popolazione), interagendo con le nostre associazioni di
volontariato, senza venir meno ai suoi doveri istituzionali.
ü
Angelo
Benassa, su la Stampa dell’8
febbraio 2004 ha scritto che “Nel nome dello spirito santo, Parigi abolisce
la pentecoste per una buona causa”. Si riferiva alla decisione assunta dal
Governo francese di destinare le risorse recuperate con il prelievo dell’0,3%
sulla massa salariale pubblica e privata della nuova giornata lavorativam per
alimentare un fondo speciale per finanziare per metà la nuova legge a sostegno
dei soggetti con handicap e per l’altra metà il promesso intervento a favore
degli anziani.
ü
Nel
2002 anche il premier britannico Tony Blair aveva deciso di impegnare altri 8
miliardi di euro per migliorare il servizio sanitario
inglese.
ü
L’
Italia, invece, secondo i dati forniti da Irene Mathis, presidente
dell’Associazione Medici cattolici, investe nella sanità cifre di molto
inferiori rispetto agli altri Paesi europei, per cui non sarebbe certo
scandaloso aumentare di almeno un punto la percentuale del pil (prodotto interno
lordo) da destinare al Servizio sanitario
nazionale.
In
ogni caso secondo una ricerca effettuata dall’Associazione Nuovo welfare
dall’intervista di un campione di 20 mila persone emerge che “non è vero che
in cima ai desideri degli italiani ci sia il taglio delle tasse”. Anzi “le tasse possono anche aumentare
purchè allo stesso tempo migliorino e si sviluppino i servizi” (Cfr. La
Repubblica, del 25 giugno 2003).
Dal
rapporto risulta che “il 64% degli utenti (quasi due su tre) è disposto a
fare il sacrifico, mentre solo il 22% pensa che sia meglio pagare di meno per
avere eno servizi”. Ancora più alta la percentuale degli italiani convinti
che “il
Servizio sanitario debba restare fondamentalmente pubblico e gestito dalle
Regioni”.
Le
nostre proposte:
1.
destinare
maggiori risorse al Servizio sanitario,
ma con il vincolo di utilizzarle esclusivamente per le prestazioni da assicurare ai soggetti affetti da patologie
croniche invalidanti;
2.
assicurare
da parte delle Asl e dei Comuni informazioni scritte, e perciò attendibili, sui
diritti/doveri dei cittadini malati compresi i soggetti affetti da patologie
croniche invalidanti;
3.
approvare
una legge regionale che obblighi le Asl ad istituire le cure domiciliari, a
riconoscere l’assegno di cura e il volontariato intra-familiare
praticato dai congiunti che si rendono disponibili ad accogliere un soggetto
affetto da malattie croniche e non
autosufficienza, in tutti i casi in cui detto intervento è meno oneroso di un
ricovero ospedaliero o in casa di cura convenzionata o in
Rsa;
4.
promuovere
la medicina di gruppo tra i medici di famiglia al fine di garantire una maggiore reperibilità quotidiana
per tutti i giorni dell’anno e, quindi, favorire la continuità terapeutica e
minor ricorso al pronto soccorso; o almeno
organizzare
le cure domiciliari in modo che per
i pazienti a rischio sia previsto il passaggio di consegne tra il personale
infermieristico e il servizio di pronto soccorso per le giornate di sabato e
festivi;
5.
realizzare almeno 1 centro diurno per i
malati di Alzheimer per ogni Asl i cui costi dovrebbero essere assunti
totalmente dal Servizio sanitario regionale;
6.
garantire
le cure in ospedale o in altra struttura sanitaria alle persone affette da
patologie croniche invalidanti, tanto più se sole, quando non è praticabile la
loro cura a domicilio;
7.
creare
posti letto di deospedalizzazione protetta in misura adeguata in ogni Asl,
affinché siano assicurate le cure sanitarie, anche riabilitative, agli anziani
nella fase di post-acuzie, tenendo presente che abbastanza spesso al momento
delle dimissioni ospedaliere sono ancora presenti patologie non
stabilizzate;
8.
aumentare
i posti letto di riabilitazione e lungodegenza e i ricoveri di
sollievo;
9.
superare
le carenze delle Raf, residenze sanitarie flessibili prevedendo solo la Rsa,
residenza sanitaria assistenziale come risposta extraospedaliera per gli anziani
cronici non autosufficienti che non possono essere curati a domicilio;
10.
assegnare ai Comuni e ai Consorzi
socio-assistenziali risorse per:
investire nella prevenzione e, quindi, nelle attività domiciliari in
sinergia con le disponibilità del volontariato presenti nel territorio;
incentivare azioni di
buon vicinato;
monitorare zone abitative particolarmente a rischio come ad esempio
le case popolari che registrano alte concentrazioni di soggetti con
problematiche: anziani parzialmente autosufficienti, adulti affetti da malattia
psichiatrica, soggetti con handicap fisici e limitata
autonomia.