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In occasione del dibattito tenutosi a Torino il 12 dicembre 1989 sul
tema “Principi etici e giuridici in merito al disegno di legge n. 512
della Giunta della Regione Piemonte per la privatizzazione delle Ipab”,
organizzato dal Csa, Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di
base e la rivista Prospettive assistenziali, Mons. Giovanni Nervo, già
Coordinatore della Conferenza episcopale italiana per i rapporti Chiesa-territorio e Presidente della Fondazione Zancan, ha dichiarato (cfr.
Prospettive assistenziali, n. 90, 1990) quanto segue:
«1. Il primo
principio etico equivale per i credenti ad un Comandamento di Dio: non
rubare. I patrimoni delle Ipab sono stati donati da privati cittadini
per i poveri. Prima che fossero donati erano di proprietà dei privati,
dopo che sono stati donati sono diventati proprietà dei poveri. Questo
principio rimane, qualunque siano state le vicissitudini storiche e
giuridiche.
«Ripeto qui quello che ho avuto modo di scrivere su Italia
Caritas Documentazione del novembre 1988 e che Santanera ha fedelmente
riportato in una sua nota sul problema che dibattiamo oggi: “Come
Caritas e come Chiesa mi sembra che dovremmo essere vigilanti e decisi
su un punto: sia che i patrimoni delle Ipab passino ai Comuni, sia che
passino ai privati, è doveroso e necessario che venga rispettata la
volontà dei donatori e che i patrimoni rimangano destinati ai poveri. La
cosa non è scontata e finora non c'è nessuna garanzia. Non sarebbe
accettabile che il Comune nell'edificio della Ipab facesse il museo, o
il centro culturale, o il centro sportivo. Sarebbe ancora meno
accettabile che il Consiglio di amministrazione di una Ipab privatizzata
ne ricavasse un albergo, o vendesse il patrimonio per investirlo in
speculazione edilizia, per altri scopi e per interessi diversi da quelli
fissati dal donatore”.
«Certo le finalità devono essere aggiornate e
adeguate ai bisogni attuali, ma non disattese e stravolte. La Chiesa su
questo punto ha una precisa responsabilità morale perché questi
patrimoni sono stati messi a disposizione dai donatori nelle sue mani
per i poveri».
Mons. Nervo ha quindi posto alcune domande:
«Il primo
quesito riguarda le Ipab che hanno cessato la loro attività e perciò
sono state sciolte dalle Regioni. I loro patrimoni dove sono finiti? Non
sarebbe giusto e doveroso che rimanessero nel capitolo dell'assistenza?
Lo garantisce questo la legge? Oppure è possibile ottenerlo? Un esperto
mi diceva che questo deve essere contenuto nel decreto di scioglimento.
Se è così perché a Roma ad esempio un enorme edificio, nel centro, che
era sorto per i ragazzi devianti, il S. Michele – avrà il valore di
molte decine di miliardi – è stato trasformato in sede di riunioni, di
mostre, di convegni: è rimasto un servizio pubblico, ma non dei poveri
per i quali era stato donato.
«Mi sembra che la Regione Piemonte abbia
sciolto una quarantina di Ipab: che fine hanno fatto i patrimoni?
Per le Ipab che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale
potranno venir privatizzate, ad esempio con questa legge regionale,
quali vincoli e quali garanzie giuridiche ci sono, ed eventualmente
quali vincoli e quali garanzie dovrebbe porre il legislatore regionale
perché comunque i patrimoni vengano destinati con i dovuti aggiornamenti
a servizi di assistenza per i poveri?
«2. Un secondo principio etico: se
i patrimoni delle Ipab sono beni di privati destinati a servizi di
assistenza per i poveri, il dovere primario di chi detiene questi
patrimoni e di chi è responsabile del bene comune è di assicurare che
con quei patrimoni siano prestati dei buoni servizi per i poveri.
«Su
questo punto ho osservato una preoccupante distorsione che a mio avviso
è etica, ancor prima che politica e organizzativa.
«Io ho seguito da
vicino il dibattito e le trattative fra le diverse e contrastanti forze
politiche per sciogliere il nodo delle Ipab e giungere alla approvazione
della legge quadro sull'assistenza e ho avuto l'impressione che dei
poveri e del buon funzionamento dei servizi per i poveri non
interessasse proprio nulla a nessuno.
«Quello che interessava erano i
patrimoni, a chi andava la proprietà dei patrimoni, se ritornava ai
privati o se andava ai Comuni per i riflessi che l'una o l'altra
soluzione aveva sugli elettori e quindi sul consenso dei voti. In uno
scambio confidenziale una personalità di sinistra diceva: “Non riusciamo
a dare nulla ai Comuni per l'assistenza, almeno dobbiamo dare le Ipab se
no i nostri Comuni si ribellano”.
«Un'altra personalità della DC diceva:
“Non possiamo perdere le scuole materne. I nostri elettori ci direbbero
che li abbiamo traditi”.
«In fondo se io fossi povero e fossi
destinatario dei patrimoni di una Ipab, a me interesserebbe poco che
giuridicamente siano intestati a un ente privato che ha personalità
giuridica o al Comune: a me interesserebbe che non mi rubino i patrimoni
e che mi facciano un buon servizio. Penserei altrettanto se fossi il
donatore.
«Perciò il vero problema etico non è l'intestazione dei
patrimoni, ma il controllo dei servizi: questo è il problema vero,
questo è il dovere morale, civico, credo anche giuridico.
«E non è detto
che i servizi siano fatti per il bene perché li gestisce il Comune, o
perché li gestisce una istituzione privata. Ci sono buoni servizi fatti
dai Comuni e buoni servizi fatti da istituzioni private; come ci sono
pessimi servizi fatti dai Comuni e pessimi servizi fatti da istituzioni
private. Sicché il vero problema morale è il controllo: ma non mi sembra
siano molti a pensarci.
«3. Una terza considerazione. Mi sembra che
questo modo di impostare il problema, contrapponendo il pubblico e il
privato, rifletta una cultura inadeguata ad affrontare i problemi della
povertà e della emarginazione così come si presentano oggi.
Qui affiora
un altro principio etico, quello della solidarietà, su cui del resto è
basata la nostra Costituzione che all'articolo 2 dice che “La Repubblica
riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo... e richiede
l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica
e sociale”».
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