H - VIGENTI DIRITTI ESIGIBILI DA SEGNALARE E DA RIVENDICARE |
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1. Diritto alle cure sanitarie delle persone
malate croniche non autosufficienti: violati i diritti umani degli infermi
anziani ricoverati nelle Rsa, Residenze sanitarie assistenziali A conclusione delle 98 pagine della documentata ricerca “Abbandonati”, Amnesty International, «movimento globale di oltre sette milioni di persone impegnate per un mondo dove tutti godano dei diritti umani», viene precisato che «la risposta del Governo italiano alla pandemia Covid-19 non è stata adeguata a proteggere e a garantire i diritti umani degli ospiti delle strutture sociosanitarie e socioassistenziali per persone anziane». Pertanto viene avanzata la richiesta di «un’inchiesta pubblica totalmente indipendente per esaminare in profondità la preparazione generale e la risposta alla pandemia per quanto riguarda i presidi residenziali sociosanitari e socioassistenziali per persone anziane». Mentre è auspicabile l’effettuazione di una indagine approfondita, se non altro per il dovuto rispetto alle migliaia di anziani deceduti e al dolore dei loro congiunti, nonché per evitare analoghi futuri disastri, rileviamo l’esigenza primaria e urgentissima della cessazione di tutte le numerose e gravissime violazioni delle vigenti norme costituzionali e legislative. In particolare occorre agire per ottenere il puntuale rispetto della Costituzione, il cui articolo 3 stabilisce che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali», mentre l’articolo 32 dispone che «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti, […]». Bisogna anche considerare che la Corte costituzionale ha precisato (fra le altre, si ricordano le sentenze n. 509/2000 e 275/2016) che «è la garanzia dei diritti incomprimibili [del settore sanitario, n.d.r.] ad incidere sul bilancio e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione». Si ricorda altresì che l’articolo 23 della Costituzione sancisce che «nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge» e che non vi sono leggi che obbligano i congiunti a fornire prestazioni sanitarie ai loro familiari colpiti da patologie e/o da disabilità invalidanti [1]. Ne consegue che il Servizio sanitario nazionale deve obbligatoriamente attuare la legge 833/1978 siano le sopra citate persone guaribili o inguaribili, autosufficienti o non autosufficienti, colpite da patologie acute o croniche. In particolare il Servizio sanitario deve operare «senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del Servizio» (articolo 1 della legge 833/1978) e deve garantire «la diagnosi e la cura degli eventi morbosi, quali ne siano le cause, la fenomenologia e la durata», nonché provvedere «alla tutela della salute degli anziani, anche al fine di prevenire e di rimuovere le condizioni che possono concorrere alla loro emarginazione» (articolo 2 della stessa legge 833/1978). Ciò premesso, occorre considerare con la massima attenzione che ognuno di noi e dei nostri cari, anche da un momento all’altro, può essere colpito da patologie e/o da disabilità invalidanti. Secondo i dati dell’Istat, al 31 dicembre 2018 (ultimi dati disponibili) erano ben 1.537.398 le persone ultrasessantacinquenni che ricevevano l’indennità di accompagnamento (nel 2020 euro 520,29 al mese) poiché, come stabiliscono le leggi vigenti, o abbisognavano «di un’assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita» e pertanto erano totalmente non autosufficienti, oppure erano «nell’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore». Tenuto conto che il numero delle persone ultrasessantacinquenni che ricevono l’indennità di accompagnamento dovrebbe essere aumentato del gruppo degli infrasessantacinquenni che beneficiano di detta indennità e ridotto dell’ammontare di coloro che sono nell’impossibilità di deambulare, ma sono autosufficienti ad esempio per lo svolgimento di attività lavorative, poiché non vi sono dati statistici in merito a queste due situazioni, si può ragionevolmente ritenere che attualmente (dicembre 2020) siano oltre un milione i nostri concittadini ultrasessantacinquenni non autosufficienti a causa di patologie e/o di disabilità così gravemente invalidanti da aver causato la loro totale e definitiva dipendenza da altre persone e spesso anche l’incapacità di autodifendersi: hanno quindi la quotidiana necessità di essere curati anche per limitare in tutta la misura del possibile sia il dolore, sia gli aggravamenti. Inoltre, si tratta –lo sottolineiamo con forza – di infermi che hanno altresì il diritto alle prestazioni sanitarie stabilite dalla legge 38/2010 “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del doloro”, cure palliative che, ai sensi dell’articolo 2 sono «l’insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare». Al riguardo evidenziamo di non avere mai avuto alcuna conferma, da parte delle centinaia di Rsa, in merito al rispetto della sopra citata legge 38/2010. Caratteristiche salienti delle prestazioni sanitarie adeguate alle esigenze delle persone colpite da patologie/disabilità gravemente invalidanti e quindi non autosufficienti Anche se già segnalato in precedenza, ripetiamo che in primo luogo è assolutamente necessaria l’approvazione di una legge che riconosca il diritto alle prestazioni domiciliari sanitarie in tutti i casi in cui i congiunti o terze persone sono volontariamente disponibili a garantire una presenza attiva alle persone non autosufficienti a causa di patologie, più spesso di pluripatologie, gravemente invalidanti, nonché ai cittadini con disabilità e autonomia limitatissima o nulla. Le prestazioni domiciliari dovrebbero essere considerate prioritarie dal Servizio sanitario, nel caso in cui possano essere assicurate dal medico di medicina generale dell’infermo, che ne abbia riconosciuto la validità e l’assenza di controindicazioni nei confronti dell’accuditore domiciliare. Quest’ultimo si impegna direttamente, o tramite altre persone di sua scelta, a garantire 24 ore su 24 una presenza attiva volta ad assicurare all’infermo gli interventi necessari, nonché provvedere alle eventuali emergenze, richiedendo, se occorre, l’intervento dei servizi delle Asl, anche al fine di evitare, nei casi di autolesionismo dell’infermo o di eterolesionismo causato da terzi magari introdottisi abusivamente nell’abitazione, di essere accusato del reato di abbandono di persona incapace. Al malato (adulto o anziano) non autosufficiente o alla persona che lo rappresenta giuridicamente, l’Asl di competenza in base alla residenza dell’infermo, dovrebbe predisporre un progetto individualizzato di cure comprensivo di un contributo economico, mediamente non inferiore al 70% dell’onere a carico del Servizio sanitario nei casi di degenza presso le Rsa, Residenze sanitarie assistenziali, di infermi aventi analoghe esigenze diagnostiche e terapeutiche. Le Regioni dovrebbero assumere le necessarie iniziative per l’organico collegamento delle prestazioni domiciliari con i servizi di ospedalizzazione a domicilio per infermi con patologie acute. Sia le Rsa che le prestazioni domiciliari devono rientrare nella piena competenza esclusiva del Servizio sanitario: vi è quindi la necessità di collegare continuamente le azioni da intraprendere per il conseguimento dei due obiettivi. Per quanto concerne le cure sanitarie, alle quali hanno diritto – senza limiti di durata – tutte le persone non autosufficienti indipendentemente dalle cause e dalle conseguenze, è assolutamente indispensabile che esse vengano garantite riconducendo le relative prestazioni nell’ambito degli interventi di competenza del Servizio sanitario, senza – pertanto – creare strutture di fatto separate, com’è stato fatto per la Rsa, Residenze sanitarie assistenziali, utilizzando vari espedienti: la creazione – mediante le norme sui Lea, Livelli essenziali di assistenza – del settore socio-sanitario, proposto come insieme di attività non solo sanitarie, ma anche sociali (Cfr. “Vitali esigenze delle persone non autosufficienti e palesi violazioni delle Asl del diritto alle cure sanitarie”, predisposto dall’Ulces e pubblicato sul n. 211, 2020 di “Prospettive assistenziali”). Ne consegue la necessità che in ogni ospedale sia prevista la creazione di reparti per la degenza di anziani e adulti non autosufficienti e per persone colpite da Alzheimer o da altre forme di demenza senile in tutti i casi in cui non sono praticabili le cure domiciliari, se del caso integrate dalle attività di centri diurni, o l’accoglienza presso comunità alloggio sanitarie inserite nel vivo del contesto sociale ed aventi non più di 8-10 posti. I previsti reparti ospedalieri dovrebbero svolgere anche l’importantissimo compito della preparazione e aggiornamento del personale medico e infermieristico, nonché degli altri addetti in modo che anche questi nostri concittadini (domani noi stessi e/o i nostri cari) siano curati da personale preparato. Inoltre questi reparti dovrebbero essere istituiti anche allo scopo di creare le condizioni opportune affinché gli operatori, anche mediante il lavoro in équipe, siano in grado di: - valutare nel concreto le esigenze specifiche di questi utenti al fine della definizione delle norme di comportamento occorrenti per un’effettiva prevenzione della non autosufficienza, per cure valide, per combattere la cronicità, nonché per l’erogazione di adeguate cure palliative e di efficaci terapie del dolore; - acquisire gli elementi necessari per l’individuazione corretta del personale necessario (professionalità e numero) che deve obbligatoriamente essere messo a disposizione delle strutture private che provvedono – previa valutazione del settore pubblico – alle cure sanitarie delle persone non autosufficienti e dei soggetti colpiti da Alzheimer o da analoghe forme di demenza senile ad esse inviate dal Servizio sanitario. Detta acquisizione è altresì indispensabile per la corretta determinazione dei compensi; - equiparazione totale del ruolo, della denominazione, dei controlli e delle attività delle strutture private che provvedono alla cura di persone non autosufficienti alle case di cura che intervengono nei riguardi di infermi con patologie acute autosufficienti o non autosufficienti. L’attuazione del principio etico-giuridico del pieno e, se necessario, immediato diritto alle cure sanitarie senza accanimenti terapeutici e senza abbandono esige, com’è ovvio, la cessazione di tutte le iniziative volte alle dimissioni dalle prestazioni residenziali delle persone non autosufficienti a causa di patologie e/o disabilità gravemente invalidanti. Al riguardo occorre tener presente che le dimissioni ospedaliere di persone aventi ancora l’indifferibile esigenza di prestazioni sanitarie (diagnosi, terapie, riabilitazione) non solo sono illegittime, ma anche crudeli in quanto, purtroppo in molti casi, queste persone non ricevono tutte le cure necessarie, comprese quelle rivolte alla massima possibile riduzione delle sofferenze. Inoltre esse sono una rilevante causa di impoverimento. Infatti, come risulta dal VII Rapporto redatto da Rbm Assicurazione salute – Censis Sanità pubblica, privata e integrativa, che reca la data del 7 giugno 2017 «ben il 51,4% delle famiglie con un non autosufficiente che ha affrontato spese sanitarie di tasca propria [spesso per l’illegittimo confinamento di detti infermi in crudeli liste di attesa, nonostante l’indifferibilità delle loro esigenze sanitarie, n.d.r.] ha avuto difficoltà nell’affrontarle: ne discende che chi ha più bisogno di cure, più soffre sul piano economico», che nell’area dei “saluteimpoveriti” [denominazione utilizzata da Rbm – Censis che non fa certamente onore alla Sanità pubblica e privata] e cioè delle persone (1,8 milioni) che «dichiarano di essere entrate nell’area della povertà a causa di spese sanitarie pagate di tasca propria […] ci sono finiti anche il 3,7% di persone con redditi medi, a testimonianza del fatto che la malattia può generare flussi di spesa tali da colpire duro anche ci si posiziona sui livelli non bassi della piramide sociale». Occorre tener presente che gli infermi non autosufficienti sono nostri concittadini destinati, senza alcuna eccezione, a morire nel giro di 5-6 giorni se non ricevono le occorrenti ed indifferibili prestazioni diagnostiche (rese spesso complesse dall’impossibilità degli utenti di segnalarne la durata, l’intensità e, a volte, anche la localizzazione delle loro sofferenze) e terapeutiche (da monitorare con attenzione e continuità soprattutto nei casi in cui i pazienti non siano in grado di comunicare l’efficacia dei trattamenti ricevuti). Inoltre hanno la pressante esigenza di essere alimentati (spesso mediante imboccamento, curati nella loro igiene personale (sovente è presente la doppia incontinenza), movimentati (allo scopo di evitare l’anchilosi e le piaghe da decubito), nonché di ricevere tutte le altre prestazioni necessarie in base alle loro personali esigenze. Nonostante l’estrema gravità di queste situazioni e gli obblighi indubbi del Servizio sanitario nazionale, vi sono state strutture pubbliche e private che hanno dimesso e continuano a dimettere questi nostri concittadini al termine delle fasi acute delle patologie che avevano determinato il ricovero o appena terminato il periodo prestabilito dall’Asl per la riabilitazione. Esempio tipico quello dell’ospedale S. Paolo di Milano: appena guarita dalla polmonite, la signora A. B., anziana colpita da demenza senile, viene dimessa come se non si trattasse di una malattia e il Servizio sanitario non avesse l’obbligo giuridico ed etico di garantire la prosecuzione delle cure. Un altro esempio è quello dell’Usl Umbria 2, di cui si riporta il certificato medico del 18 dicembre 2018 utilizzato per dimettere un anziano malato cronico non autosufficiente. Un ulteriore espediente di violazione delle vigenti norme di legge è il confinamento in illegittime e crudeli liste di attesa le persone non autosufficienti, negando in tal modo non solo la loro dignità, ma anche i vigenti diritti esigibili alle cure sanitarie. Come emerge dall’articolo “Le richieste di differenziazione della Regione Piemonte in materia di tutela della salute”, pubblicato sul n. 1, 2019 della rivista “Il Piemonte delle Autonomie”, il giurista Francesco Pallante, sulla base dei dati comunicati dagli uffici regionali, segnala che solamente in Piemonte erano ben 26.653 gli anziani malati cronici non autosufficienti intrappolati in illegali e disumane liste di attesa per mesi e a volte per anni, con la conseguente assenza di interventi sanitari e la rilevante estensione della povertà indotta, nuova piaga sociale fondata sulla violazione della Costituzione e delle leggi vigenti in materia sanitaria. Purtroppo fra le strutture che dimettono illegittimamente infermi non autosufficienti vi sono state (e vi sono ancora?) case di cura private che operano nell’ambito della Chiesa cattolica [2]. Altri ostacoli, spesso molto forti diretti contro le esigenze ed i diritti delle persone non autosufficienti, sono stati frapposti dai Sindacati, in particolare dalle sezioni dei pensionati della Cgil, Cisl e Uil. Essi, non solo non hanno mai operato affinché fossero attuate le leggi 841/1953 e 692/1955, che stabilivano il diritto pienamente esigibile alle cure sanitarie senza limiti di durata e gratuite ai pensionati dei settori pubblico e privato colpiti dalle malattie di cui al decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale del 21 dicembre 1956 [3], ma hanno sostenuto l’approvazione della legge 30/1979 della Regione Emilia Romagna, con la quale, dopo nemmeno un anno dall’entrata in vigore della legge n. 833/1978 istitutiva del Servizio sanitario universalistico, venivano create e finanziate le case protette, strutture del settore assistenziale, destinate anche e soprattutto agli anziani malati cronici non autosufficienti, ai quali veniva richiesto di contribuire alle spese, nonostante che la citata legge 833/1978 imponesse la totale gratuità (e durata) delle prestazioni comprese quelle ospedaliere. Un’altra devastante botta, approvata dai Sindacati, era stata inferta al diritto alle cure sanitarie dalla stessa Regione Emilia Romagna con l’approvazione della legge 5/1994 in base alla quale l’emarginazione nelle case protette era estesa agli ultradiciottenni non autosufficienti «a causa di forme morbose a forte prevalenza nell’età senile», mentre la responsabilità del controllo dell’attuazione degli interventi sanitari (ad esempio la verifica della validità delle cure oncologiche) era assegnata agli assistenti sociali che, com’è noto, non hanno, né devono avere alcuna competenza diagnostica e terapeutica. Evidentemente soddisfatti della cancellazione del diritto alle cure ospedaliere gratuite e senza limiti di durata e il trasferimento oneroso all’incompetente settore dell’assistenza sociale delle funzioni concernenti le cure degli infermi anziani e adulti non autosufficienti operato dalla Regione Emilia Romagna, i Sindacati dei pensionati Cgil, Cisl e Uil avevano presentato al Parlamento con iniziativa popolare la proposta di legge “Un piano per interventi integrati sulla non autosufficienza finanziato da un fondo regionale”, il cui testo era stato depositato alla Corte di Cassazione il 10 ottobre 2005, la cui base è l’inaccettabile non riconoscimento delle indifferibili esigenze sanitarie di tutte le persone non autosufficienti [4]. Poiché le iniziative dei Sindacati Cgil, Cisl e Uil continuano (dicembre 2020) ad essere rivolte alla creazione di un settore socio-assistenziale per gli anziani (e in certi casi anche per gli adulti) non autosufficienti, occorre tenere nella massima considerazione le relative iniziative dirette all’emarginazione sanitaria di questi nostri concittadini, domani ognuno di noi, ai quali verrebbe revocato l’attuale diritto pienamente e, se necessario, immediato diritto esigibile alle cure sanitarie senza limiti di durata. 2. Le fondamentali questioni relative al “Dopo di noi” delle persone con disabilità e limitata o nulla autonomia”: diritti esigibili e falsità Com’è ovvio, i genitori delle persone con disabilità e limitata o nulla autonomia sono giustamente molto preoccupati del futuro dei loro figli, specialmente pensando a quando non saranno più in grado di assicurare le indispensabili prestazioni, spesso comprendenti: alzarli, imboccarli e garantire – essi stessi o altri soggetti – una presenza attiva 24 ore su 24 per rispondere alle loro necessità e per evitare l’accusa di abbandono di persona incapace. Tenuto conto che – come troppo sovente capita – le istituzioni ed i relativi operatori dichiarano alle persone interessate che non vi sarebbero leggi che assicurano a questi nostri concittadini il “Dopo di noi”, vi sono molte organizzazioni che, mentre asseriscono di tutelare i soggetti colpiti da disabilità, negano l’esistenza dei vigenti diritti pienamente e, se necessario, immediatamente esigibili. Al riguardo la Fondazione promozione sociale, sulla base delle iniziative assunte dall’Ulces e dal Csa, ha incessantemente fornito, fin dalla sua costituzione, le occorrenti informazioni, segnalando che, fin dall’entrata in vigore del regio decreto 6535/1889, il settore pubblico doveva garantire il “Dopo di noi” [5]. In particolare la Fondazione ha segnalato alle persone e alle organizzazioni interessate che, come risulta dall’articolo “Come abbiamo procurato un ricoveri d’emergenza a un nostro congiunto colpito da grave handicap intellettivo”, pubblicato sul n. 123, 1998 di “Prospettive assistenziali”, sulla base dell’articolo 154 del citato regio decreto 773/1931, era stato ottenuto dal Cisa, Consorzio intercomunale socio-sanitario dei Comuni di Candiolo, Nichelino, None e Vinovo, dopo 21 giorni dalla prima richiesta, il ricovero in una comunità alloggio di un adulto colpito da disabilità intellettiva e limitatissima autonomia, con oneri interamente a carico dell’utente (pensione e indennità di accompagnamento, dedotta la quota destinata alle spese personali) [6]. Si ricorda altresì l’articolo di M. Benetti, pubblicato sul n. 189/2015 della stessa rivista “Come mia moglie ed io abbiamo assicurato il durante e il dopo di noi a nostra figlia colpita da grave disabilità intellettiva”, a dimostrazione del diritto di ottenere l’accoglienza a tempo pieno in una comunità alloggio di un figlio, anche mentre i genitori sono viventi. Nonostante la dimostrazione dell’esistenza del diritto pienamente e, se necessario, immediatamente esigibile, concernente il “Dopo di noi”, il Parlamento ha approvato la legge 112/2016, sbandierata come “legge sul dopo di noi”, che non stabilisce alcun diritto, ma, consente alle Regioni di fornire ad alcune associazioni, che gestiscono servizi residenziali per le persone con disabilità, con finanziamenti non indifferenti: 90 milioni di euro nel 2017 e 56,1 milioni a partire dal 2018 [7]. Da tener presente che la legge 112/2016 è stata approvata sulla base delle false informazioni fornite da numerose organizzazioni di persone con disabilità ed è stata addirittura definita dall’allora Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi, una iniziativa avente lo scopo di «assicurare un futuro alle persone con disabilità quando non ci saranno più i genitori a seguirli» [8]. Attualmente (dicembre 2020) le prestazioni relative al “Dopo di noi” devono obbligatoriamente essere assicurate senza limiti di durata dal Servizio sanitario nazionale ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001, dell’articolo 54 della legge 289/2002 e del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 12 gennaio 2017. 3. Il “Durante noi” delle persone con disabilità gravi Purtroppo vi sono tuttora organizzazioni che considerano valida l’emarginante affermazione contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica del 4 ottobre 2013, secondo cui «la nozione di non autosufficiente, che è in aperta contraddizione con la visione di disabilità introdotta dalla Convenzione Onu, dovrebbe essere rivista e ridefinita». Ne consegue che, non solo si esprime disprezzo nei confronti delle persone con disabilità intellettiva così grave da aver determinato condizioni di autonomia estremamente limitate o nulle, tali da non consentire l’auspicabile indipendenza personale almeno per lo svolgimento degli atti quotidiani della vita, ma si vorrebbe addirittura – da parte dei gruppi più estremisti – che la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, approvata a New York il 13 dicembre 2006, non riguardasse anche i nostri concittadini non autosufficienti. A questo proposito ricordiamo che, nonostante le ripetute richieste avanzate dalla Fondazione promozione sociale, del Csa e delle relative organizzazioni aderenti, né il Governo, né il Parlamento, né il Presidente della Repubblica sono intervenuti per migliorare il testo della sopra citata Convenzione, ratificata senza aver proposto alcun emendamento migliorativo, com’era consentito agli Stati [9]. Un’altra importante questione. Partendo dall’assurdo principio che le persone con disabilità fisiche e/o sensoriali e/o intellettive non siano colpite da carenze anche gravi delle loro condizioni di salute (l’Organizzazione Mondiale della Salute ha affermato più volte che la salute deve essere intesa come massimo benessere fisico e psichico), vi sono organizzazioni di persone con disabilità che accettano passivamente la posizione di alcune istituzioni, in particolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che premono per ottenere, per inaccettabili scopi di potere, l'assegnazione al settore dell'assisteza sociale delle competenze relative alle persone non autosufficienti o con disabilità gravissime. In merito occorre tenere ben presente che, mentre il settore sanitario è fondato su diritti pienamente e, se necessario, immediatamente esigibili (si vedano, fra le altre, le sentenze della Corte costituzionale n. 509/2000 e 275/2016), quello socio-assistenziale è ancora basato, salvo le pensioni, su discrezionalità come è stato evidenziato dalla sentenza n. 157/2020 della stessa Corte costituzionale. Inoltre le prestazioni economiche devono essere erogate dal settore dell’assistenza sociale, escluse anche in questo caso le pensioni, secondo i limiti stabiliti dal primo comma dell’articolo 38 della Costituzione che recita: «Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale». Preso atto dell’attuale situazione, è necessario continuare ad operare affinché venga riconosciuto non solo dal legislatore e dalle istituzioni, ma anche da Sindacati e dalle organizzazioni che operano a tutela delle esigenze vitali delle persone più deboli, in particolare delle centinaia di migliaia di malati cronici/disabili non autosufficienti, che si tratta indiscutibilmente di persone con rilevanti e indifferibili esigenze sanitarie[10]. Ciò premesso occorre, a nostro avviso, operare attivamente per ottenere dal Servizio sanitario nazionale le prestazioni alle quali hanno il pieno e immediato diritto esigibili tutte le persone colpite da disabilità, ovviamente comprese quelle con autosufficienza limitata o nulla. Le prestazioni obbligatorie, previste dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 12 gennaio 2017, non riguardano solamente l’erogazione di protesi, ortesi e altri ausili tecnologici nell’ambito di un piano riabilitativo «volto alla prevenzione, alla correzione o alla compensazione di menomazioni o disabilità funzionali conseguenti a patologie o lesioni, al potenziamento delle abilità residue, nonché alla promozione dell’autonomia dell’assistito». Infatti il sopra citato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, definisce altresì i diritti concernenti le cure domiciliari (articolo 22), le cure palliative domiciliari (articolo 23), le prestazioni sociosanitarie ai minori, alle donne, alle coppie, alle famiglie (articolo 24), gli interventi sociosanitari alle persone con disabilità (articolo 27), le prestazioni sanitarie extra ospedaliere ad elevato impegno sanitario (articolo 29), nonché gli interventi sociosanitari semiresidenziali e residenziali alle persone con disabilità (articolo 34). Al riguardo è assai importante tener conto che si tratta di interventi garantiti e finanziati dal Servizio sanitario nazionale (articolo 1 del sopra citato decreto). NOTE [1] Vi è quindi la necessità di promuovere il volontariato intrafamiliare e di sostenerlo anche sotto il profilo economico, soprattutto nei casi in cui occorra assicurare una presenza attiva 24 ore su 24. [2] Cfr. gli articoli pubblicati su “Prospettive assistenziali”: “Importanti precisazioni del Difensore civico della Regione Piemonte indirizzate all’Ospedale Cottolengo a Torino”, n. 182, 2013; “Anche le case di cura private devono rispettare le norme sulla continuità terapeutica degli anziani malati cronici non autosufficienti”, (riguardante anche il Centro “Don Gnocchi” di Torino), n. 187, 2014; “Dimissioni truffaldine da ospedali e da case di cura di anziani malati cronici non autosufficienti e di persone con demenza senile”, n. 189, 2015; “Credere e non informare? Mancano da parte delle organizzazioni cattoliche iniziative d’informazione sui diritti esigibili degli anziani malati cronici non autosufficienti e sulla difesa delle loro indifferibili esigenze terapeutiche”, di A. Ciattaglia e F. Santanera, n. 192, 2015; “Informare sui diritti delle persone non autosufficienti: sollecitazione ai mezzi di comunicazione e informazione cattolici”, n. 194, 2016; “Tutti gli altri Alfie”, n. 201, 2018; “Quando la Chiesa cattolica riconoscerà le proprie responsabilità sul diritto negato agli anziani malati non autosufficienti alle indifferibili cure sanitarie e socio-sanitarie, n. 203, 2018; “Il Servizio sanitario che esclude: anziani malati e persone con disabilità non autosufficienti. Chi tace è complice”, n. 205, 2019; “Diritto alla salute: ripartire dalle radici del Servizio sanitario universalistico”, n. 206, 2019. Ricordiamo, inoltre, le segnalazioni inviate dalla Fondazione promozione sociale al Centro Don Gnocchi di Torino in data 14 marzo 2014 e il 25 febbraio 2014 a Mons. Angelo Bazzari, Presidente della Fondazione Don Gnocchi; il 12 luglio, il 24 agosto e il 28 settembre 2018 al Dott. Renzo Bragando e a Don Vincenzo Barbante, Direttore sanitario e Presidente della Fondazione Don Gnocchi; il 22 maggio 2019 al Presidente e al Direttore sanitario del Centro di riabilitazione Santa Maria Bambina; il 7 agosto 2019 alla Direzione del Centro Santa Maria al Castello e il 9 agosto 2019 a Suor Maurizia Maria Cardone, al Prof. Roberto Russo e all’Avv. Giampaolo Zanetta del Cottolengo di Torino, nonché quelle indirizzate alle più importanti Autorità della Chiesa cattolica, a tutti i Vescovi italiani, ai Parroci di Torino e Provincia, ai Responsabili delle sedi nazionale e locali della Caritas per segnalare, senza mai ricevere alcun riscontro, la violazione dei vigenti diritti esigibili degli anziani malati cronici non autosufficienti e delle persone con demenza senile, violazioni che hanno notevolmente contribuito al decesso di migliaia di ricoverati nelle Rsa, Residenze sanitarie assistenziali. Copia delle comunicazioni è a disposizione di tutti coloro che le chiederanno. [3] Per fronteggiare i maggiori oneri economici erano stati contemporaneamente aumentati i contributi previdenziali, ulteriormente incrementati dalla legge n. 386/1974. Si noti che, nello stesso periodo in cui erano state approvate le citate leggi 841/1953 e 692/1955, i lavoratori in servizio avevano solamente diritto alle cure ospedaliere gratuite non oltre 180 giorni all’anno, salvo situazioni particolari, ad esempio nei casi fossero colpiti dalla tubercolosi. Cfr. il volume di F. Santanera e Maria Grazia Breda, Vecchi da morire. Libro bianco sui diritti violati degli anziani malati cronici: manuale per pazienti e familiari, Prefazione di Norberto Bobbio, Rosenberg & Sellier, 1987. [4] Al riguardo si ricorda che nel documento del 6 luglio 2015, l’Ordine provinciale dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Torino ha precisato che «gli anziani malati cronici non autosufficienti e le persone colpite da demenza senile sono soggetti colpiti da gravi patologie che hanno avuto come esito la devastante compromissione della loro autosufficienza e pertanto hanno in tutti i casi esigenze sanitarie e socio-sanitarie indifferibili in relazione ai loro quadri clinici e patologici». Segnaliamo altresì che nel documento del 21 marzo 2016, lo stesso Ordine dei Medici aveva evidenziato la necessità e l’urgenza dell’istituzione di «un unico servizio di cure domiciliari per i pazienti acuti o cronici, adulti o anziani, attivato dai medici di medicina generale» e che in quello del 21 novembre 2016 aveva confermato che «spetta al Servizio sanitario nazionale assicurare la diagnosi e la cura degli eventi morbosi quali ne siano le cause, la fenomenologia e la durata (legge 833/1978)». Inoltre, nella lettera del 5 ottobre 2017, lo stesso Ordine aveva risposto ad una richiesta di parere deontologico, chiarendo il concetto di indifferibilità delle prestazioni sanitarie. I documenti sopra richiamati sono riportati nei numeri 191/2015, 193/2016 e 200/2017 di “Prospettive assistenziali”. Cfr. il sito www.fondazionepromozionesociale.it. [5] Successivamente sono stati approvati i regi decreti 773/1931 e 383/1934. [6] Il ricovero nella stessa comunità alloggio è ancora in atto alla data in cui è redatto questo testo (dicembre 2020). In merito alla gestione della struttura, si veda l’articolo di C. Bonasera, S. Savoldi e A. Visentin, “Caratteristiche della comunità alloggio ‘La Crisalide’ per soggetti con grave disabilità intellettiva”, “Prospettive assistenziali”, n. 184, 2013. [7] Purtroppo la gestione non riguarda solamente comunità alloggio di 8-10 posti, ma anche strutture assolutamente inidonee. A questo proposito si veda il capitolo “La sconcertante vicenda del villaggio del subnormale di Rivarolo (Torino), ora Comunità "La Torre", consultabile nel “Memoriale delle vittime dell’emarginazione sociale”, pubblicato in questo sito. [8] Cfr. l’articolo: “Legge 112/2016 sul ‘Dopo di noi’: omessi i previgenti diritti da Ministri, Parlamentari, esperti e associazioni di tutela delle persone con disabilità grave” e quello di F. Santanera “Matteo Renzi ‘Un’altra strada’, ma con il passo sbagliato: nel welfare riferimenti generici o errati”, “Prospettive assistenziali” n. 198, 2017 e 205, 2019. [9] Si vedano i seguenti articoli di “Prospettive assistenziali”: M. Perino, “La Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con handicap”, n. 159, 2007; M. Perino, “Richiesta al Parlamento in merito alla ratifica della Convenzione delle Nazioni Unte sui diritti delle persone con handicap”, n. 165, 2009; “Documento sui diritti delle persone con disabilità: integrazioni necessarie”, n. 182, 2013; “In base a quali motivi il Presidente della Repubblica e l’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità hanno ignorato gli anziani disabili?”, n. 186, 2012; “Considerazioni in merito all’incontro del 18 giugno 2014 sulla non autosufficienza tra Ministeri, Anci, Aisla, Comitato 16 Novembre, Fand e Fish”, n. 187, 2014; “Ingannevoli dirottamenti dei finanziamenti statali destinati alle persone non autosufficienti e strumentale definizione delle disabilità gravissime”, n. 188, 2014; “Le Regioni continuano a sottrarre alle persone colpite da patologie e/o disabilità invalidanti e da non autosufficienza quote rilevanti dei finanziamenti erogati dallo Stato”, n. 190, 2015; “I disabili non autosufficienti: poveri solamente da assistere o persone con gravi carenze della loro salute?”, n. 194, 2016; “È vero che la Sanità sta cercando di fagocitare la disabilità”, n. 198, 2017; “Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali continua a non voler riconoscere la vigente competenza del settore sanitario nei riguardi delle persone non autosufficienti”, n. 199, 2017; “Secondo programma dell’Osservatorio nazionale sulle condizioni delle persone con disabilità: ignorati i più gravi”, n. 202, 2018; “Persone con disabilità intellettiva grave: ignorati i vigenti diritti esigibili e proclamati diritti inesistenti”, n. 205, 2019; M. Perino, “Un falso assegno di cura, che esclude la sanità: il «Piano per la non autosufficienza» nega i diritti dei malati/persone con disabilità non autosufficienti”, n. 209, 2020. [10] Purtroppo vi sono ancora Sindacalisti Cgil. Cisl e Uil che fanno riferimento alla citata proposta di iniziativa popolare “Un piano per interventi integrati sulla non autosufficienza finanziata da un fondo nazionale”. www.fondazionepromozionesociale.it |
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INDICE A - PRINCIPI ETICI E GIURIDICI DEL VOLONTARIATO DEI DIRITTI a1 - METODI DI LAVORO DEL VOLONTARIATO DEI DIRITTI a2 - ATTIVITA’ INFORMATIVE DEL VOLONTARIATO DEI DIRITTI a3 - PUBBLICAZIONI SU ADOZIONE, PERSONE CON DISABILITA’, EMARGINAZIONE, INFERMI CRONICI NON AUTOSUFFICIENTI B - RISULTATI OTTENUTI DAL VOLONTARIATO DEI DIRITTI DAL 1962 AL 2020 C - IMPORTANZA DEI RICORSI ALLA MAGISTRATURA E DELLE SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE D - PRINCIPALI ATTIVITÀ SVOLTE DALL’ANFAA E BASILARI RISULTATI RAGGIUNTI E - IMPEGNI ASSUNTI DALL’ULCES ED I PIÙ IMPORTANTI RISULTATI CONSEGUITI F - RISULTATI OTTENUTI DALLE INIZIATIVE PROMOSSE DALLA COLLABORAZIONE FRA L'ULCES ED IL CSA G - ESPERIENZE E RISULTATI OTTENUTI DALLA FONDAZIONE PROMOZIONE SOCIALE H - VIGENTI DIRITTI ESIGIBILI DA SEGNALARE E DA RIVENDICARE |